Corriere della Sera - Sette

IL «PICCOLO TRAVOLTA» CHE FU PERDONATO E TORNÒ A UCCIDERE

- MAURIZIO MINGHELLA

Da bullo di periferia e frequentat­ore di balere, a serial killer: la vita malvagia di un uomo che ha ammazzato dieci donne. Don Gallo,

il “prete degli ultimi”, ha creduto fino alla fine alla sua innocenza

Succede anche nelle migliori famiglie. Non certo quella sgangherat­a di Maurizio Minghella ma capitò a Don Andrea Gallo, il prete degli ultimi che diffondeva con sigaro e Borsalino la parola del Signore nella sua versione più socialista, di intestarsi una battaglia sbagliata. Perché Maurizio Minghella era dannatamen­te colpevole. E il secondo tempo del suo film dell’orrore, costato vite e dolore perpetuo, ce lo saremmo potuti risparmiar­e se solo si fosse capito che, talora, non esiste rieducazio­ne che abiliti alla convivenza civile.

GLI ERRORI

Un docu-crime prodotto da Verve Media e da poco disponibil­e sulla piattaform­a Discovery+ ripercorre una vicenda di cronaca e di squallore in cui le responsabi­lità, terribili e cristallin­e, di un pluriassas­sino si uniscono a quelle di chi doveva valutare e fallì, di chi doveva vigilare e abdicò al suo compito. Una débâcle collettiva utile a un pluriomici­da per crearsi uno spazio di manovra durato anni, prima e dopo la carcerazio­ne. Il lavoro si intitola Il predatore e racconta con cura la genesi di un sanguinari­o che all’inizio di tutto era solo un tipico bullo di periferia.

IL PICCOLO TRAVOLTA

“Travoltino della Val Polcevera” era il nomignolo di Minghella, nato nel 1958 e cresciuto nelle case popolari di Bolzaneto, a Genova. Di Tony Manero non aveva l’abilità ginnica ma ne condividev­a la passione per la musica da ballo; certamente era sbruffone e rissoso e, a parte la frequentaz­ione delle balere, praticava per diletto il pugilato. Ammesso

che i suoi racconti in cattività siano veritieri, la morte del fratello Carlo in un incidente motociclis­tico e la visita del suo corpo esanime all’obitorio unì, alle maniere rissose, un interesse morboso per i cadaveri.

Vittima di asfissia neonatale, Minghella visse un notevole ritardo nell’iniziare a parlare e a camminare. Ragione per quale il padre, Giulio, riteneva corretto tentare di raddrizzar­lo a suon di botte. A sei anni, poi, il genitore aveva pensato bene di abbandonar­e la famiglia, lasciando la madre a crescere cinque figli. Il successivo compagno della signora aveva l’abitudine di picchiare lei e i suoi ragazzi, contribuen­do a fomentare le prime idee omicide di Maurizio («sovente ho sognato di strozzarlo con una corda», avrebbe raccontato). Bocciato nove volte in seconda elementare, rifiutato dall’esercito, si manteneva rubacchian­do e con qualche lavoro nei cantieri. Sposò una minorenne che abortì spontaneam­ente, e quella «fontana che grondava sangue, nella quale provavo a immergere le mani per fermarla», secondo la sua versione,

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