SÌ, LA RIDONDANZA È CONCESSA ALL’ITALIANO MEDIO
Caro professore, un titolo su 7 del 4 febbraio scorso mi ha fatto dubitare della correttezza in italiano di una determinata espressione. C’era scritto «Che volete di noi?»: ho pensato che quel fosse un errore da matita blu e che al posto dovesse esserci scritto Poi, però ho riflettuto su espressioni del linguaggio parlato come «Che sarà di noi», diventata anche il titolo di un film di Giovanni Veronesi. E mi chiedo: forse anche questa volta l’uso della lingua ha cambiato le regole grammaticali?
Giovanni Pellegrino silvia.barbero@fastwebnet.it
DI QUESTO NON SE NE PARLA TANTO, in effetti: ma la questione la linguistica l’ha chiarita ormai da tempo. Quelle che la grammatica tradizionale considerava ridondanze o pleonasmi sono in realtà strategie comunicative per mettere in rilievo un elemento della frase. Se l’elemento è anticipato e ripreso poi da un pronome, si parla di dislocazione a sinistra (come in «Della guerra che ne pensi?»); se l’elemento è posticipato e il pronome arriva prima ad annunciarlo, si parla di dislocazione a destra (come in «Che ne sarà dell’Ucraina?»). La dislocazione può riguardare vari elementi in diverse funzioni sintattiche: «Il caffè lo bevo amaro» / «Lo bevo amaro il caffè»; «Gliel’hai detto a lei?» / «A lei gliel’hai detto?». Basta un’occhiata all’ultimo esempio, per rendersi conto che uno dei più classici casi di dislocazione è proprio il famigerato amemi,ateti , ecc. «Io un amico lo perdono / mentre a te ti amo» cantava Grignani quasi trent’anni fa.
Trenta anni le possette
A riprova di una tradizione più che millenaria, il fenomeno lo troviamo già nel cosiddetto atto di nascita della nostra lingua, il celebre placito capuano risalente al 960 d. C.: «Sao ko kelle terre … trenta anni le possette». Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, Francesco Sabatini (oggi presidente onorario dell’Accademia della Crusca) individuava nella dislocazione uno dei tratti più tipici di quello che chiamava l’italiano dell’uso medio. Vale a dire, il nuovo italiano – finalmente davvero usato nella vita di tutti i giorni – nel quale stavano diventando normali tratti che a lungo erano stati censurati.
Certo, l’accettazione non è stata immediata. Negli anni Novanta, il diffusissimo Vademecum di giornalismo condannava il costrutto «di questo non vorrei parlarne» (ovvero, appunto, una dislocazione a sinistra). E ancora nei primi Duemila, Luca Serianni osservava che – in nome di una reazionaria «norma sommersa» – nelle correzioni dei compiti in classe «fagli questo bel regalo a tuo nonno» poteva essere segnato errore persino in un tema che chiedeva di scrivere una lettera a un amico.
Ma nel frattempo le dislocazioni hanno (abbiamo) continuato a usarle tranquillamente tutti in quasi tutti i tipi di scrittura: narrativa, giornalistica, epistolare. Al punto che neanche ce ne accorgiamo più di usarle, e leggendole le scorriamo senza che il nostro occhio le noti (quante ce ne sono in questo articolo, esempi esclusi?).
MA, ANCORA ALL’INIZIO DI QUESTO SECOLO, NEI TEMI «FAGLI QUESTO BEL REGALO A TUO NONNO» ERA SEGNATO ERRORE