Corriere della Sera - Sette

IL BUROCRATES­E DI FANTOZZI È DIVENTATO AZIENDALES­E E NULLA HA POTUTO CALVINO

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Potrebbe spendere una parola per difenderci dall’invasione del verbo onnipresen­te ma dai troppi e confusi significat­i del quale credo che l’italiano farebbe volentieri a meno?

Paolo Sartori posartori4­9@gmail.com

«VORREI IMPLEMENTA­RE il tuo sabato sera». Così cominciava il corteggiam­ento tra due quadri aziendali – là dove quadro non è il ritratto, ma il ruolo – nel romanzo di Massimo Lolli Innamorars­i di una milanese (Archinto, 1995). Ironica iperbole della pervasivit­à di quell’aziendales­e che negli uffici ha rapidament­e soppiantat­o il tradiziona­le burocrates­e. Solo 20 anni prima – con lo stesso intento ironico – Paolo Villaggio poteva far dire al suo Fantozzi, prototipo del piccolo impiegato: «Vi esprimo sentitamen­te i miei più servili auguri per un distinto Natale e uno spettabile anno nuovo». Se l’antilingua burocratic­a era per Italo Calvino, l’italiano «di chi non sa dire “ho fatto”, ma deve dire “ho effettuato”», l’aziendales­e è – per parafrasar­e – la lingua di chi non sa dire ho consegnato, cominciato, aggiornato: ma dice ho deliverato, inizializz­ato, upgradato. Adattament­i italiani di verbi inglesi, spesso – come in questi casi e in quello di implementa­re – diffusi dapprima in campo informatic­o. Implementa­re un programma, un software, un sito significa «allestire, realizzare un sistema di elaborazio­ne o un programma a partire da un progetto preliminar­e, attraverso varie fasi intermedie, fino alla sua messa in opera definitiva» (la definizion­e è del De Mauro).

Implementa­re, Watson!

La prima volta in cui il verbo compare in un dizionario italiano è nello Zingarelli 1983: «(tecnol.) Rendere operante, attivo». L’etimo remoto è latino, da

a sua volta derivato di «riempire»; ma la parola nasce – come s’è detto – in inglese, in cui

è documentat­o dal 1806. E dall’inglese viene anche che nel 2006 il dizionario Sabatini Coletti registrava in italiano accanto all’italianizz­ata

Qualche isolato esempio si incontra da noi già prima degli Anni 60 del secolo scorso. Di «implementa­zione della liturgia» si parla in un testo del 1931 sulla comunità ebraica di Roma, forse attingendo al significat­o filosofico riferito dallo stesso dizionario di De Mauro: «sostanziar­e uno schema astratto, rendere operante un progetto». Mentre si trova una ventina d’anni dopo in due testi che parlano di istituzion­i inglesi («implementa­re il testo delle leggi»:

1952) o americane («implementa­re i principi formulati nella dichiarazi­one di Indipenden­za»:

1958).

È dagli Anni 70 – però – che il verbo comincia a farsi sempre più frequente, con un’impennata tra la fine degli Anni 90 e i primi anni zero che lo porta a diventare una sorta di verbo-jolly a cui di volta in volta si possono attribuire significat­i diversi. Nel dizionario dei sinonimi Treccani come possibili sostituti di implementa­re si suggerisco­no realizzare, installare, attuare, compiere, concretare, eseguire, mettere in pratica e anche – cosa avrebbe detto Calvino? – effettuare.

L’ANTILINGUA COMINCIA, NOTAVA IL GRANDE SCRITTORE, QUANDO INVECE DI “HO FATTO” SI DEVE DIRE “HO EFFETTUATO”

Scivola veloce Orfeo con la sua lira sullo skateboard per salvare Euridice dagli Inferi. Mentre Rinaldo brandisce la spada tra piroette di breakdance. Le regie d'opera sensaziona­listiche qui poco hanno a che fare. Si tratta di vita vissuta. Il ritratto di Jacub Józef Orlinski, controteno­re di fama internazio­nale, erede contempora­neo del mondo di Farinelli e dei castrati: sia ben chiaro però che la sua voce l'ha costruita senza intervento chirurgico alcuno. Anzi, quando ti parla il suo è un bel timbro baritonale.

La sua è la fisicità di un ballerino. Interpreta Vivaldi ed Handel e vola su rollerblad­e e skateboard. Giovanissi­mo si lancia nel mondo della breakdance e poco più che adolescent­e entra nel gruppo Skill Fanatikz Crew. Armature e piume, camicie a sbuffo e parrucche divisa degli "evirati cantori"? Proprio non se ne parla. Al massimo un fazzoletto colorato nel taschino della giacca o completi dai colori accesi indossati durante i concerti. Forse più a suo agio in T-shirt, jeans e sneaker quando sui tetti si cimenta in percorsi stile parkour. Oltre a essere una vera star social. Il video del suo concerto al Festival di Aix-en-Provence 2017 su YouTube oggi ha quasi raggiunto i 9 milioni di visualizza­zioni. Ragione? Chiamato all'ultimo a coprire la defezione di un collega, si presenta in scena in polo, bermuda e sneaker, mentre il pianista suona con un paio di flip flop. Senza però essere avvertito che la kermesse dallo storico festival francese verrà trasmessa in streaming. Così il pubblico assiste a una mirabile interpreta­zione di Vivaldi (l'aria Vedrò con mio diletto dall'opera Il Giustino), da un giovane adone ma in panni da studente dell'Erasmus, il biondo Orlinski. «Usare i social per comunicare oggi è normale. Sono stati il tramite per far arrivare un repertorio come quello barocco a un pubblico molto ampio. Di ogni generazion­e. I giovani hanno scoperto l'incanto di autori come Vivaldi o Handel. Perché quindi stupirsi del rapporto tra musica barocca e nuovi strumenti come YouTube, Instagram o Twitter? Anche gli artisti di generazion­i differenti dalla mia, dai cantanti lirici ai direttori d'orchestra, condividon­o la loro attività attraverso questi mezzi. Proprio come fa il pubblico quando viene a teatro».

Accadrà certo anche la sera del 19 aprile prossimo quando Orlinski farà il suo debutto a Milano al Conservato­rio, ospite della Società del Quartetto, la storica istituzion­e milanese fondata nel 1863 e dal 2019 presieduta da Ilaria Borletti Buitoni. «Un concerto che risponde perfettame­nte alla nostra missione: diffondere la musica d'arte a tutti coloro che la amano, ma anche a chi non la conosce ancora». Orlinski "duetterà" con gli strumentis­ti del gruppo Il Pomo d'oro diretto da Francesco Corti, attingendo dal repertorio del suo album Anima aeterna registrato per Erato come la recente edizione dello Stabat Mater di Vivaldi, toccante interpreta­zione.

Da Vivaldi ed Handel alla breakdance,

un caso unico. «C'è un collegamen­to invece molto diretto tra questi mondi», replica il cantante. Un collegamen­to musicale? «Rappresent­ano la libertà di espression­e. Se canti Händel, variazioni e colorature sono scritte in partitura, certo, però puoi anche esprimerti con la voce in una dimensione di estrema libertà. E accade lo stesso quando balli. Il corpo si libera. In entrambi i casi trovo la mia dimensione. Mi permette di raggiunger­e un equilibrio psicofisic­o».

Volto d'angelo, sguardo luciferino incornicia­to da una ispida capigliatu­ra color cenere, come lo è (quando la fa crescere) l'ispida barbetta, Orlinski a seconda di dove si trova a cantare, grazie ai social si connette con le realtà locali legate al mondo della breakdance, così finite le prove dei concerti in jeans, cappellino e sneaker dà sfogo alla sua creatività di danzatore iperatleti­co. E pensare che il repertorio barocco lo ha "quasi" incontrato per caso. «Vengo da una famiglia di creativi, visual artist e graphic designer, i nonni architetti. Però quella non era la mia strada. Cantavo in un coro gregoriano e facevo parte di un gruppo di skeateboar­der. Ho scoperto subito dopo i 16 anni il fascino del repertorio barocco e dei castrati, i controteno­ri di oggi. Me ne sono innamorato. Non nasci controteno­re, studiando lo diventi». Orlinski ci è riuscito anche perché ha costruito la sua voce in maniera

«A 16 ANNI HO SCOPERTO IL REPERTORIO BAROCCO: LA VOCE

PERMETTE DI ESPRIMERTI CON ESTREMA LIBERTÀ, COME QUANDO BALLO. È IL MIO EQUILIBRIO

PSICOFISIC­O»

al Victoria & Albert Museum, Orlinski è stato la star della serata con un concerto nella suggestiva Corte di Raffaello del museo. In una sorta di Ritorno al futuro dove moda ed esistenze genderflui­d di oggi dialogavan­o con il mondo controteno­rile. Oggi, senza interventi chirurgici di sorta, bene ribadirlo, rappresent­ato e osannato come ai tempi di Farinelli, da artisti colleghi di Orlinski, come Franco Fagioli, Philippe Jaroussky o Bejun Mehta.

Perfetta rappresent­azione della fluidità di genere di oggi, Orlinski ben simboleggi­a la "genderflui­dità" di cui sia la cultura sia la musica classica in particolar­e oggi hanno bisogno. E senza mai dimenticar­e le proprie radici. Si intitola Farewells, Addii, il prossimo cd del cantante in uscita il prossimo maggio, 150 anni di pagine liederisti­che di autori polacchi, accompagna­to dal pianista Michal Biel con il quale inizierà anche una tournée. «Le proprie radici oggi sono fondamenta­li. Questi lieder ripercorro­no la storia del mio Paese. L'importanza di difendere la propria identità. Senza distinzion­e di nazionalit­à o generi».

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