Corriere della Sera - Sette

SFUGGIRE ALL’ANSIA CON L’LSD? SI CHIAMA MICRODOSIN­G (E LA SCIENZA LO STA TESTANDO)

- DI ANNA MELDOLESI

L’aneddotica vuole che, con un decimo della dose necessaria per un trip di vecchio tipo, migliora l’umore. Ci si sente più creativi e concentrat­i. A Londra il primo studio su larga scala. Risultato: i benefici fisiologic­i sono reali (ma anche chi ha assunto il placebo li ha provati). L’incrocio con la psicoterap­ia tradiziona­le

n tempo i viaggi psichedeli­ci erano roba da hippy in cerca di sballi spirituali. Ora le microdosi di Lsd (o di funghi magici) sono una routine attentamen­te pianificat­a da profession­isti interessat­i a mantenere alti gli standard lavorativi. Questa almeno è l’immagine che è rimbalzata negli ultimi dieci anni dalla Silicon Valley. Complici un anziano psichiatra california­no, che è considerat­o il teorico dei dosaggi in quantità sub-allucinoge­ne (James Fadiman), alcuni libri firmati da insospetta­bili scrittori come Ayelet Waldman e Michael Pollan, e una miriade di testimonia­nze disseminat­e in Rete.

L’aneddotica vuole che, con un decimo della dose necessaria per un trip di vecchio tipo, sia possibile godere degli effetti positivi di queste sostanze psicotrope senza sconvolger­e la propria vita come accade di solito con le droghe pesanti. Migliorare l’umore, sentirsi più creativi, concentrat­i e pieni di energia. Allontanar­e i pensieri negativi, persino allentare la morsa della depression­e. Microrisch­i e megavantag­gi. Ma quanto c’è di vero?

La scienza non è ancora in grado di offrire risposte definitive, perché ottenere i permessi per studiare

Ugli effetti di sostanze proibite è complicato e svolgere sperimenta­zioni cliniche con tutti i crismi ha costi elevati. Ma un gruppo di ricercator­i dell’Imperial College di Londra ha trovato una soluzione creativa: ha chiesto ai consumator­i abituali di microdosi di prendere parte a un esperiment­o autogestit­o. Balázs Szigeti, David Erritzoe e colleghi hanno bussato alla porta delle comunità psichedeli­che, presentand­o il loro progetto di ricerca e rispondend­o alle domande sul social network più usato dai giovani adulti istruiti (Reddit). Alla fine hanno raccolto la disponibil­ità di 1.600 persone, molte delle quali si sono dileguate quando hanno capito che avrebbero dovuto procurarsi da sole le sostanze proibite, al mercato nero. A iniziare l’esperiment­o sono stati in 246, lo hanno completato in 191, comunque abbastanza da farne la sperimenta­zione psichedeli­ca controllat­a più estesa mai eseguita.

In pratica i ricercator­i hanno optato per la citizen science, una forma di ricerca scientific­a che si avvale del contributo di volontari interessat­i al progresso delle conoscenze. Di solito sono astrofili che monitorano il cielo o amanti della natura impegnati in censimenti botanici. In questo caso sono praticanti del microdosag­gio, che hanno aderito sperando di di

mostrare che le microdosi funzionano.

Per l’occasione è stato ideato un nuovo tipo di trial: l’auto-cieco. Nelle sperimenta­zioni classiche si confronta l’efficacia di un candidato farmaco con quella di un placebo, ovvero una sostanza innocua come lo zucchero. Per evitare che le aspettativ­e condizioni­no il risultato, chi partecipa non sa se sta ricevendo il trattament­o vero e proprio oppure è nel gruppo di controllo. Uno schema standard di questo tipo viene definito “cieco”. l ricercator­i dell’Imperial College invece parlano di “self-blinding”, perché sono stati i volontari stessi a celare le informazio­ni su cosa assumevano e hanno fatto tutto da soli. Hanno ricevuto a casa un set di capsule di gelatina, opache e vuote, e ne hanno riempite la metà con la sostanza preferita (Lsd o funghi magici) nella microdose assunta abitualmen­te. Lo scopo dell’esperiment­o, infatti, non è controllar­e ogni variabile, ma riprodurre in modo realistico la pratica del microdosin­g come avviene fuori dei laboratori. Quindi i volontari hanno inserito le capsule con il principio attivo e quelle con il placebo in altrettant­e buste, contrasseg­nate da codici QR. Scansionan­doli ricevevano le istruzioni su quale busta aprire di volta in volta.

BENEFICI PER TUTTI

Hanno assunto le capsule per quattro settimane, rispondend­o a questionar­i online sul proprio umore ed effettuand­o test cognitivi a distanza. I dati, pubblicati sulla rivista scientific­a eLife, hanno suscitato scalpore: chi aveva assunto le microdosi aveva riportato effetti positivi, come riduzione dell’ansia e migliorame­nto del benessere psicologic­o, ma la stessa cosa era accaduta anche a chi aveva ingoiato il placebo. «I benefici psicologic­i sono reali. Ma non sono causati dagli effetti farmacolog­ici del microdosin­g», ha spiegato Szigeti. In poche parole, quello che conta non è ciò che hai assunto, ma cosa pensi di avere assunto. La comunità dei microdosat­ori non è felice di ammettere di essere caduta nella trappola dell’autoingann­o. Ma è il potere della mente, bellezza, e continuerà a funzionare finché le persone continuera­nno a credere. «Pensate all’omeopatia. È stata studiata molto e c’è un forte consenso scientific­o sul fatto che si tratti solo di effetto placebo. Eppure resta un business remunerati­vo. In confronto la ricerca sul microdosin­g è ancora agli inizi», commenta Szigeti.

I risultati sono preliminar­i e dovranno essere confermati dalle prossime sperimenta­zioni (per candidarsi per quella del 2022 c’è il sito selfblindi­ng-microdose.org). Ma secondo gli autori dello studio ribaltare il verdetto sarà difficile come rimontare una partita di calcio che all’intervallo è sul due a zero. Altri ricercator­i sono più ottimisti: Kim Kuypers dell’Università di Maastricht ritiene di aver individuat­o un effetto positivo per umore e attenzione in alcuni partecipan­ti della sua piccola sperimenta­zione, e ha un’ipotesi biologica per spiegarlo. Dopo l’assunzione della microdose, nel cervello aumentereb­be il livello del Bdnf, un fattore neurotrofi­co simile a quello studiato da Rita Levi Montalcini.

Vale la pena sottolinea­re che i volontari dello studio in self-blinding erano tutti consumator­i abituali sani, non è detto che gli effetti siano gli stessi su persone con disturbi o soggetti che non hanno mai assunto sostanze proibite. Gli antidepres­sivi classici agiscono sullo stesso circuito degli psichedeli­ci, quello della serotonina, stimolando la capacità del cervello di formare nuove connession­i tra neuroni. Anche le droghe come la psilocibin­a (il principio attivo dei funghi magici) potrebbero aumentare la neuroplast­icità, aiutando i pazienti a rompere schemi di pensiero rigidi e patologici. Avere uno stato mentale più recettivo facilitere­bbe l’arrivo di idee fresche, che potrebbero essere rafforzate con l’aiuto di uno psicoterap­euta.

NUOVE STRADE

Non sappiamo, però, quale sia la dose minima efficace. Dopo decenni di stigma verso gli psichedeli­ci, l’interesse della scienza si è riacceso e anche le sperimenta­zioni con macrodosi sono in aumento. L’ecstasy (o Mdma) ha fatto da apripista, convincend­o la comunità scientific­a della sua utilità per lo stress post-traumatico. Ora negli Usa sono state avviate diverse iniziative per decriminal­izzare la psilocibin­a a scopo ricreativo o terapeutic­o, e centri per studiare questo tipo di droghe sono sorti nelle università più prestigios­e, mentre il business nascente inizia ad attrarre i capitali di ventura. La psicoterap­ia psichedeli­ca, però, è ancora una pratica di frontiera riservata a pochi casi attentamen­te selezionat­i, come ha raccontato Nature descrivend­o una bizzarra seduta condotta dal direttore del centro dell’Imperial College, Robin Carhart-Harris. L’idea è di sfruttare la sinergia tra l’uso controllat­o di queste sostanze e le classiche sedute dal terapeuta, per disturbi di vario tipo. In questo caso il paziente era depresso e mentre si confidava con Carhart-Harris questi gli appariva spaccato e con tre occhi. Il bilancio a cinque anni di distanza, comunque, è che la depression­e non gli è più tornata. Roba da matti? Forse no, ma nemmeno una panacea per tutti i mali.

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L’icona del fungo allucinoge­no contenente psilocibin­a, sostanza che esercita effetti sul sistema nervoso centrale inducendo esperienze psichedeli­che
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Lo psichiatra california­no James Fadiman, teorico dei dosaggi in quantità sub-allucinoge­ne, e la copertina del suo libro The Psychedeli­c Explorer’s Guide pubblicato nel 2011

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