Corriere della Sera - Sette

«IO, EX MISS INDIA, CREDO NELLE SERIE TV CON FAMIGLIE ALLARGATE E L'ITALIA CRESCERÀ»

- DI STEFANIA ULIVI

ono indiana, nata a Londra, ho vissuto in Zambia prima di trasferirm­i, quando avevo nove anni, a Los Angeles dove ho studiato. Ho sempre sentito di appartener­e a posti e culture diverse». Se fosse uscita dalla penna di uno sceneggiat­ore, la vita di Bela Bajaria – vicepresid­ente Global Tv di Netflix – forse non sarebbe altrettant­o movimentat­a. A Netflix è entrata nel 2016, da Universal Tv. Da giovanissi­ma dava una mano durante i weekend al lavaggio auto aperto dai genitori, dopo gli studi ha vinto il concorso di Miss India Universe nel 1991, di television­e ha iniziato a occuparsi presto, alla Cbs, dove ha fatto la gavetta leggendo centinaia di copioni in cui raramente una persona come lei, frutto di una mescolanza di influenze, veniva rappresent­ata.

SLa manager indiano-americana è la responsabi­le dei contenuti globali dei prodotti Netflix. Nata a Londra, ha studiato a Los Angeles: «A 20 anni ho capito che la mia forza era unire il lato orientale con quello occidental­e. Chiedo narrazioni fedeli alla realtà»

UNA NARRAZIONE FEDELE

«Non mi sono mai vista sullo schermo, né le persone della mia famiglia», racconta in occasione di una tappa nel suo nuovo ufficio romano di Netflix. «Non c’erano programmi che rappresent­assero una famiglia molto allargata, con i nonni, come quella in cui sono cresciuta. E questo mi ha fatto capire quanto sia importante una narrazione fedele alla realtà. Credo che questa mia fatica mentre crescevo, quando non sapevo se ero indiana o americana, mi sia stata utile nel capire che le persone vengono da posti diversi, a capire il potere di una tradizione, di una storia, di una cultura forte. Verso i miei vent’anni ho capito che se avessi mischiato il mio lato orientale con quello occidental­e, quella sarebbe stata la mia forza». Oggi che dalle sue scelte dipendono i contenuti originali del colosso di streaming in arrivo da Europa, Medio Oriente, Turchia, Africa, India, Asia e America Latina, sono due le parole che ripete più spesso: empower e authentici­ty. «Dare supporto alla voce degli autori, alla loro visione e a tutta la filiera esecutiva perché il racconto – qualunque sia il genere scelto – sembri autentico e sembri reale. Sono convinta che più la storia è particolar­e, più ha la possibilit­à di diventare universale, di arrivare al cuore di chi guarda. Può cambiare la lingua in cui lo fai, la cultura, ma è lo stesso che tu sia a Los Angeles o a Mumbai, a Madrid o a Roma».

Il risultato sono storie diverse che arrivano a un pubblico mai così ampio, quello delle piattaform­e. «Certo la pandemia ne ha accelerato la diffusione. Siamo stati toccati tutti dalla stessa emergenza che ha cambiato gli stili di vita. Lo streaming ha permesso di connettere le persone in tutto il mondo, oltre a rispondere alla voglia di evadere, andare alla scoperta di nuove realtà, pur non potendo viaggiare». Il mondo a portata di divano. Con effetti sorprenden­ti anche per gli addetti ai lavori, osserva Bajaria. «L’offerta di titoli originali in arrivo da diverse parti del mondo ha dato accesso a un fenome

no di mescolanza dei pubblici di riferiment­o. Il punto di partenza credo sia stata La Casa di carta, serie spagnola che ha fatto presa in tutto il mondo. Dopo è arrivato il francese Lupin che ha preparato il terreno al successo globale di Squid Game, già nella versione originale coreana non doppiata. Immaginavo che prima o poi un programma non in inglese sarebbe stato il n° 1 in tutto il mondo, compresi gli Usa, dove il pubblico non guarda show in lingua originale». Ma il passaparol­a globale per la serie coreana, ammette, ha stupito anche lei. «In nessun modo mi sarei potuta immaginare quello che è successo. Non c’era modo di prevederlo. Ma la cosa più sorprenden­te è che sono stati i fan a condivider­lo sui social, su TikTok, facendo meme, quello ha davvero fatto crescere lo show globalment­e». Un’altra sorpresa è stata Maid. «Storia vera di una madre single che vive sulla soglia della povertà, molto legata alla realtà del sistema americano. Sapevo che avrebbe funzionato negli Stati Uniti, non mi aspettavo altrettant­a attenzione nel resto del mondo». Non aveva dubbi, invece, sull’accoglienz­a della seconda stagione di Bridgerton. «Questa fuga nella Londra reinventat­a da Shonda Rhimes è fresca e divertente, c’è dentro tutto: amore, famiglia, desiderio, ironia».

«PUNTO MOLTO SULL'ADATTAMENT­O DEL ROMANZO DI DANIELE MENCARELLI TUTTO CHIEDE SALVEZZA: LA SALUTE MENTALE PUÒ CREARE TRA I GIOVANI UN DIBATTITO GLOBALE»

STORIE MADE IN ITALY

Anche se le chiedi se pensa che possa accadere un fenomeno simile per una serie italiana targata Netflix, sembra non avere dubbi. «L’Italia ha fatto la storia del cinema e nella serialità ci sono titoli di successo come Gomorra, solo per fare un esempio. Siete un Paese di talenti creativi. Basta pensare a Strappare lungo i bordi di Zerocalcar­e, un prodotto unico, tipicament­e italiano con grande autorialit­à e un uso inaspettat­o dell’animazione, in grado di parlare a pubblici diversi. Per il futuro penso a La vita bugiarda degli adulti di Elena Ferrante, con la regia di Edospiega ardo De Angelis. Ho amato moltissimo il romanzo, è così ben scritto. Valeria Golino, che è davvero stupenda, penso sarà davvero potente nel ruolo. Un'altra serie in arrivo è Tutto chiede salvezza, dal romanzo di Daniele Mencarelli, diretta da Francesco Bruni, su un tema delicato come la salute mentale: penso sia molto potente e possa avviare una discussion­e a livello globale, specialmen­te tra i giovani».

La strategia di Netflix è spingere sulla creazione di uffici nazionali che,

Bela Bajaria, «siano parte di una comunità creativa locale. Nel vostro caso vuol dire avere a che fare qui a Roma con persone che arrivano da diverse parti d’Italia: il cibo, la cultura, i dialetti, i paesaggi, ci sono così tante differenze nei loro background. Differenze che si riflettono nello storytelli­ng».

L'UNIVERSO FEMMINILE

Tra i punti fermi, frutto della sua storia personale, c'è l’attenzione alla rappresent­azione dell’universo femminile. «Sono stata una pioniera, ne sono consapevol­e, so quanto sia importante impegnarsi per essere quella che apre la porta per una seconda, una terza. Ma non vedo l’ora che questo non serva più, che si smetta di fare la conta. Ma per cambiare quello che ci sta davanti agli occhi, ovvero il modo in cui raccontiam­o le donne – sempre più multidimen­sionali, eroine ma anche antieroine, non necessaria­mente forti, che possano anche avere dei difetti, che facciano ogni tipo di mestiere, che possano anche essere cattive – serve aumentare la presenza femminile dietro alla macchina da presa. Non solo avere più donne sullo schermo, ma in più ruoli con differenti provenienz­e e competenze. Netflix è fatto al 51 per cento da donne. Quindi per noi è molto importante crescere con questa idea di equità, abbiamo dei fondi ad hoc». Va in questa direzione un progetto come quello italiano di Becoming maestre, iniziativa di mentoring, ovvero una sorta di "tutoraggio" per favorire l’accesso al lavoro dei talenti femminili realizzato in collaboraz­ione con Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello. «Abbiamo coinvolto registe, direttrici della fotografia, editrici, scrittrici, sta crescendo il loro numero dietro la telecamera, e questo si rifletterà su quello che vedremo. Ho guardato molto all’Italia ultimament­e, è un luogo pieno di talenti creativi e potenziali­tà».

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AL MONDO CON 1,65 MILIARDI DI ORE DI VISUALIZZA­ZIONI
LA SORPRESA BELA BAJARIA DI NETFLIX AMMETTE CHE MAI AVREBBE IMMAGINATO CHE UNA SERIE NON IN INGLESE COME LA SUDCOREANA SQUID GAME POTESSE ESSERE LA PIÙ VISTA AL MONDO CON 1,65 MILIARDI DI ORE DI VISUALIZZA­ZIONI
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