DUE MESI DOPO
L’IMPEGNO A NON CEDERE ALL’EQUIDISTANZA
Sono trascorsi due mesi da quando, all’alba di Kiev del 24 febbraio, la guerra di Putin è cominciata. Settimane di immagini e video che, dal fronte orientale, rovesciano dentro gli schermi globali tanto orrore da rischiare di spegnere il nostro stupore e il nostro dolore da remoto. Settimane di notizie vere e di “verità alternative” costruite/ricostruite fino a insabbiare la linea che dovrebbe dividere gli aggrediti dagli aggressori. Ogni sondaggio ormai misura la stanchezza degli “spettatori” occidentali, di chi non è sul campo e non rischia di perdere tutto. La vita, la casa, quella patria che è Vaterland, terra dei padri, e Heimat, spazio dell’intimità.
È in questa stanchezza, la nostra, che il tweet di un utente qualunque, senza neppure troppi follower, è riuscito ad attivare un circuito internazionale sulle presunte armi chimiche e biologiche ucraine: un giro distorto capace di convincere oltre un quarto – un quarto! – degli americani sulla solidità di una pura teoria cospirativa: ah, ma allora è questa l’origine dell’invasione!? C’è dunque una mappa di laboratori di ordigni non convenzionali controllati da Zelensky che Putin voleva neutralizzare... Quando il veleno di questo tipo di informazione s’insinua tra le righe di quanto leggiamo o ascoltiamo sempre più distrattamente, dimostrarne l’infondatezza diventa una sfida, un impegno. Il giornalista canadese Justin Ling ci è riuscito (la ricostruzione è raccolta in una puntata del podcast Today In Focus di The Guardian), ma restano infinitamente più potenti i ripetitori della propaganda russa o quelli di Fox News, il canale della destra Usa che punta più che altro a vincere la battaglia degli ascolti.
È sempre in questa stanchezza d’Occidente che si infila come un guanto il talk show sul primo canale tv di Mosca – che fa capo a uno degli amici più stretti di Putin, il magnate Vladimir Soloviev – durante il quale si sottolinea come i soldati russi abbiano dato il massimo: «Ora tocca agli ucraini denazificarsi da soli!». E in questa stessa stanchezza, il professor Orsini può dichiarare – sui nostri, di canali tv – che tante «madri di Mariupol» si rivolgono a lui, proprio a lui, perché ci spieghi quanto sia urgente non indirizzare più armi e munizioni verso Kiev.
Sì, siamo provati dai dispacci di guerra. E giustamente preoccupati per le ripercussioni dei colpi di artiglieria sui bilanci di casa. Ma non possiamo ritirarci, sparire dietro la trincea dell’equidistanza, invocare pace per starcene in pace. Stiamo con Liliana Segre, che ha la guerra scritta sulla pelle da quando era ragazzina e che una volta nonna ha scelto di testimoniare in nome della generazione dei nipoti. Per il 25 Aprile di questo 2022, festa della nostra Liberazione dal fascismo, la senatrice a vita ha detto che era difficile intonare Bella Ciao, oggi canzone di ogni Resistenza, senza pensare agli aggrediti in Ucraina. Contro l’indifferenza, le cui lettere ha voluto fossero incise al Binario21 di Milano. Ma non contro il popolo russo, «vittima delle decisioni disumane del suo leader».