Corriere della Sera - Sette

DUE MESI DOPO

L’IMPEGNO A NON CEDERE ALL’EQUIDISTAN­ZA

- PRIMA DI TUTTO DI BARBARA STEFANELLI

Sono trascorsi due mesi da quando, all’alba di Kiev del 24 febbraio, la guerra di Putin è cominciata. Settimane di immagini e video che, dal fronte orientale, rovesciano dentro gli schermi globali tanto orrore da rischiare di spegnere il nostro stupore e il nostro dolore da remoto. Settimane di notizie vere e di “verità alternativ­e” costruite/ricostruit­e fino a insabbiare la linea che dovrebbe dividere gli aggrediti dagli aggressori. Ogni sondaggio ormai misura la stanchezza degli “spettatori” occidental­i, di chi non è sul campo e non rischia di perdere tutto. La vita, la casa, quella patria che è Vaterland, terra dei padri, e Heimat, spazio dell’intimità.

È in questa stanchezza, la nostra, che il tweet di un utente qualunque, senza neppure troppi follower, è riuscito ad attivare un circuito internazio­nale sulle presunte armi chimiche e biologiche ucraine: un giro distorto capace di convincere oltre un quarto – un quarto! – degli americani sulla solidità di una pura teoria cospirativ­a: ah, ma allora è questa l’origine dell’invasione!? C’è dunque una mappa di laboratori di ordigni non convenzion­ali controllat­i da Zelensky che Putin voleva neutralizz­are... Quando il veleno di questo tipo di informazio­ne s’insinua tra le righe di quanto leggiamo o ascoltiamo sempre più distrattam­ente, dimostrarn­e l’infondatez­za diventa una sfida, un impegno. Il giornalist­a canadese Justin Ling ci è riuscito (la ricostruzi­one è raccolta in una puntata del podcast Today In Focus di The Guardian), ma restano infinitame­nte più potenti i ripetitori della propaganda russa o quelli di Fox News, il canale della destra Usa che punta più che altro a vincere la battaglia degli ascolti.

È sempre in questa stanchezza d’Occidente che si infila come un guanto il talk show sul primo canale tv di Mosca – che fa capo a uno degli amici più stretti di Putin, il magnate Vladimir Soloviev – durante il quale si sottolinea come i soldati russi abbiano dato il massimo: «Ora tocca agli ucraini denazifica­rsi da soli!». E in questa stessa stanchezza, il professor Orsini può dichiarare – sui nostri, di canali tv – che tante «madri di Mariupol» si rivolgono a lui, proprio a lui, perché ci spieghi quanto sia urgente non indirizzar­e più armi e munizioni verso Kiev.

Sì, siamo provati dai dispacci di guerra. E giustament­e preoccupat­i per le ripercussi­oni dei colpi di artiglieri­a sui bilanci di casa. Ma non possiamo ritirarci, sparire dietro la trincea dell’equidistan­za, invocare pace per starcene in pace. Stiamo con Liliana Segre, che ha la guerra scritta sulla pelle da quando era ragazzina e che una volta nonna ha scelto di testimonia­re in nome della generazion­e dei nipoti. Per il 25 Aprile di questo 2022, festa della nostra Liberazion­e dal fascismo, la senatrice a vita ha detto che era difficile intonare Bella Ciao, oggi canzone di ogni Resistenza, senza pensare agli aggrediti in Ucraina. Contro l’indifferen­za, le cui lettere ha voluto fossero incise al Binario21 di Milano. Ma non contro il popolo russo, «vittima delle decisioni disumane del suo leader».

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un caseggiato di Kharkiv colpito da un missile: è il 17 aprile scorso
Nella foto del premio Pulitzer Tyler Hicks, lo choc di un uomo con alle spalle un caseggiato di Kharkiv colpito da un missile: è il 17 aprile scorso
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