L’AURORA BOREALE AL POLO NORD PER CURARE CON LA MERAVIGLIA I NOSTRI CUORI MALATI DI PAURA
L’ispirazione me l’hanno data, tanto per cambiare, mia figlia e un libro. Il libro è Rover salva il Natale (Salani), l’ha scritto quel genio di Roddy Doyle e racconta di quando Rudolph,
la renna più fidata di Babbo Natale, proprio di 24 dicembre s’ammala e metterebbe a rischio tutto l’ambaradan,
se non fosse per un cane di Dublino, Rover per l’appunto,
e per quattro bambini che salvano l’impresa e garantiscono al mondo la sua notte magica, precipitandosi, senza capire nemmeno loro come, in Lapponia. A Rovaniemi, dove per 364 notti l’anno dorme Babbo Natale.
– Ci andiamo? – Mi ha chiesto Vita, il primo giorno dell’anno e il quarto della seconda di cinque (cinque!) quarantene.
– Ti prometto che appena passa la febbre al mondo andiamo.
Ma alla quarta quarantena ho pensato basta, anche se la febbre non passa noi partiamo comunque, e ho prenotato per la fine di marzo tre giorni in un ranch a un paio di chilometri dal Circolo Polare Artico.
Come tutti quelli che considerano i viaggi il miglior rimedio all’esistenza, in questi ultimi anni ho smaniato. E come tutti non avrei mai potuto immaginare, alla vigilia del primo vero viaggio dopo questi ultimi due anni, di ritrovarmi di colpo terrorizzata proprio da quello che mi aveva dato tanta forza non smettere mai di desiderare: il mondo là fuori.
Ci vorrà del tempo, credo, per comprendere i segni che nell’inconscio di ognuno di noi, e in quello collettivo, lascerà una guerra esplosa mentre ci stavamo sforzando di addomesticare emotivamente il Covid.
Ogni confidenza sincera di questi tempi rischia di sembrare retorica, ma rischierò: perché davvero avrei cancellato tutto, se non fosse che le quarantene si erano mangiate il Natale di Vita e che una promessa è una promessa, soprattutto se fatta a lei. Me ne sarei rimasta a casa sia per paura, appunto, ma anche perché, potendo fare ben poco di concreto per l’Ucraina e la sua gente, a tutto quello che somiglia a una festa non riesco ad andare incontro a cuor leggero.
Invece siamo partite – per fortuna siamo partite. Perché oltre a Babbo Natale e alle sue renne, abbiamo incontrato anche l’aurora boreale: ed è stato in quell’esatto momento, mentre il nero sopra di noi si squarciava di verde, che ho capito di essere nel posto giusto. Vita rideva, pazza di felicità, e quel cielo mi è sembrato una preghiera. Anche se nessuno di noi sotto a quella tenda aveva il cuore leggero, proprio perché è impossibile averlo, ha come sempre ragione Chandra Livia Candiani: «Una buona pratica preliminare di qualunque altra è la pratica della meraviglia. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura».
Non dimentichiamocelo.
IL COVID, LA GUERRA... MA L’AVEVO PROMESSO A MIA FIGLIA: ECCOCI AL CIRCOLO ARTICO. QUEL VERDE ERA COME PREGHIERA