«DA MIO PADRE E DALLE FORMICHE HO IMPARATO L’OSTINAZIONE»
Le prime letture («Mi fermavo su tutto quello che trovavo in casa: dai Promessi Sposi agli Harmony»), il rapporto con la famiglia e gli insegnanti, le domande dell’adolescenza, l’incontro con la guerra e la pandemia. La scrittrice si racconta
Ai ragazzi dico: assecondate i vostri talenti, capite quello che si muove dentro di voi e restategli vicino. Il futuro è di quelli che riescono a sognare». Con Rosella Postorino puoi cominciare dai sogni e ritrovarti a parlare di yoga, scuola, religione, lockdown e libri Harmony. Dei ragazzi che siamo stati e di quelli che lo sono oggi. Un magma che ribolle come può farlo solo quando sei adolescente, un mix di spirito e di terra che la scrittrice ed editor – premio Campiello nel 2018 per Le assaggiatrici (Feltrinelli) – ha messo anche nel suo nuovo libro, appena uscito per Salani. Si chiama Io, mio padre e le formiche ed è una «lettera ai ragazzi sui desideri e sul domani». Dentro ci sono un “prima” – il discorso che Postorino tenne tre anni fa, nel 2019, ai neolaureati dell’Università di Siena, la stessa frequentata a suo tempo da lei, prima laureata della sua famiglia – e un “dopo”: un messaggio nella bottiglia mandato a quelli che «hanno attraversato i propri riti di passaggio durante la pandemia». E a quelli che devono ancora attraversarli. Prima e dopo. E ora che il libro esce, un’altra ombra pesa sul futuro: la guerra. In che stato d’animo li immagina, i ragazzi?
«Per provare a capirli, devo tornare a quando ero adolescente, negli anni Novanta. Anche allora c’era una guerra in Europa, proprio dall’altra parte del mare. Io lo sapevo, ma in fondo era qualcosa che non mi apparteneva veramente: la realtà del conflitto l’ho capita dopo, nel 2000, quando sono andata in Erasmus e ho conosciuto una ragazza di Sarajevo. Guardando lei, ho toccato con mano quello che fino ad allora avevo soltanto subdorato. Prima per me, per noi, c’era la guerra e, insieme, Beverly Hills 90210. Credo che anche per gli adolescenti di oggi il conflitto resti una cosa lontana, difficile da capire: gliene dovremmo parlare di più noi adulti, la scuola».
Come vede i ragazzi del “dopo”?
«Molto provati dalla pandemia, chiusi alla socialità. Questo libro nasce anche come occasione di confronto: mi piacerebbe sapere da loro che immagine hanno del futuro».
Lei in che cosa è cambiata di più con la pandemia?
«Ho imparato a stare da sola. Scrivere
è un processo solitario, ma ho sempre avuto anche il versante da editor. Andare tutti i giorni in ufficio, stare insieme, parlare anche di cose altre: ho dovuto imparare a farne a meno. E poi lo yoga: in lockdown una mia lettrice vedendomi su Facebook ha capito che qualcosa non andava e si è offerta di farmi lezione a distanza. Finita l’emergenza, non ho più smesso: lo yoga ti costringe a stare in posizioni in cui non credi di poter resistere: impari a stare con
quello che c’è».
Nel discorso agli studenti del 2019 parlava già di «sospetto verso la competenza», oggi gli esperti di vaccini vengono rapiti…
«Questa idea di dover essere contro una presunta casta era già evidente allora, i social l’hanno esasperata spingendoci a credere che sia democratico avere tutti un’opinione su tutto. Ai ragazzi dico: non smettete di farvi domande, studiate. E anche dopo gli studi non abbandonate il metodo scientifico: la scienza procede per errori, è una continua evoluzione, la pandemia lo ha ribadito, sbaglia chi si aspettava certezze immediate».
Nel libro, che è anche una storia di riscatto attraverso gli studi, racconta di come suo padre l’abbia sostenuta nell’aspirazione a lavorare nel mondo dei libri, così diverso dal suo.
«Credo di essere stata fortunata a non avere dei genitori intellettuali: non mi hanno mai imposto una strada. Mio padre provava un misto di orgoglio e di rassegnazione davanti a una figlia così diversa da lui». Quando l’ha accompagnata a Siena, da matricola, l’ha visto trattenere la commozione per quella prima grande separazione tra voi.
«Credo che avesse paura di perdermi, portata via da quelle letture sconosciute, ma non mi ha mai fermata. Mi ricordo il mio primo lavoro nell’editoria, per Castelvecchi. Mi fecero curare l’enciclopedia del Bdsm: bondage e sadomaso. La mattina alle 8 mi mettevo alla scrivania a selezionare foto erotiche, lui non so cosa pensasse ma non ha mai mosso un ciglio. La laurea, i successi sul lavoro sono stati il momento in cui ho sentito che mi riconosceva come una sua pari: una figlia, ma anche una persona diversa da lui, adulta».
Le formiche del titolo. Suo padre, bambino, passò ore a osservarle per una ricerca: non aveva libri a
«SONO STATA FORTUNATA A NON AVERE DEI GENITORI INTELLETTUALI: NON MI HANNO IMPOSTO UNA STRADA. AI RAGAZZI DICO: NON SMETTETE DI FARVI DOMANDE»
disposizione.
«Credo che mi abbia trasmesso la sua ostinazione nel portare avanti i compiti assegnati, e un senso del dovere così forte da essere quasi nocivo. A mia madre devo la curiosità: come lui, anche lei si è fermata alla terza media, non ha studiato le lingue ma su WhatsApp continua a chiedermi il significato di ogni parola nuova che incontra. È una lettrice, ma non strutturata: legge Jane Austen e Liala senza pensare all’alto e al basso ma solo al piacere di una storia».
Lei che lettrice era da ragazzina?
«Leggevo tutto quello che trovavo in casa: dai Promessi sposi agli Harmony. Ricordo la prima volta che ho incrociato il termine “parossismo”: era in un Harmony. Quando mi chiedono come si può insegnare il valore della lettura ai ragazzi penso che invece dovremmo insegnarne il piacere. Per me, che in casa avevo pochi libri, è stata fondamentale la scuola. Ricordo il senso di consolazione che mi dava sapere che i miei professori dedicavano il loro tempo alla mia istruzione. Con molti di loro ancora mi scrivo. Ho frequentato a Reggio Calabria fino alla quarta elementare, poi ci siamo trasferiti in Liguria. A Imperia avevo una maestra che ci faceva fare l’ora di poesia: ho interi quaderni pieni dei versi che componevano, e altri in cui riflettevo su Dio: io, agnostica, parlavo ore con la prof di religione. Oggi gli adolescenti non si fanno domande su Dio».
Che cosa le chiedono?
«Dell’amore. Quando vado nei licei arriva sempre la domanda: sembra che abbiano urgenza di trovare un ordine dove è impossibile trovarlo». Come è stato tornare a Siena per parlare ai neolaureati?
«Non l’avrei mai fatto se il rettore non me l’avesse chiesto. Mi sono detta: come faccio a non sembrare la boomer che vuole insegnarti la vita? Io ero alla loro età felice se gli adulti mi spiegavano Flaubert, non come si vive. Ho provato a raccontare di me. E ho detto ai ragazzi quello che nessuno, allora, aveva mai detto a me».
Che cosa?
«Stai dove più pulsa la tua vita: non preoccuparti di diventare qualcuno ma di capire quello che sei e restarci attaccato. Sii curioso perché ci sono tanti posti in cui la tua vita può pulsare e non li conosci ancora. E non avere paura di essere vulnerabile: lo siamo tutti».