Corriere della Sera - Sette

«IL CUORE SI È FERMATO, STAVO MORENDO. MI SONO SVEGLIATO IL GIORNO DOPO»

- DI CLAUDIO BOZZA - FOTO DI MATTEO DE MAYDA

Il sindaco di Venezia: «Mi hanno salvato con un massaggio cardiaco: ero a tavola con due medici. Ho pensato che non fosse la mia ora, ho una voglia di vivere pazzesca. Il mio segreto si chiama Stefania»

Ha iniziato a correre da ragazzino, in Vespa, facendo il cameriere. Poi la laurea in Architettu­ra, una Cinquecent­o per girare tutto il Veneto «a vendere, perché non sono mai stato un dipendente». Nel 1984, quando l’intermedia­zione lavorativa era un reato, s’inventa cacciatore di risorse umane. Oggi, tra Umana holding e altre aziende (allevament­o di chianina compreso), ha un fatturato che sfiora il miliardo, con oltre 1.300 dipendenti. Luigi Brugnaro — figlio di Maria, maestra elementare, e di Ferruccio, operaio chimico e sindacalis­ta di Porto Marghera — è al secondo mandato da sindaco di Venezia. Una moglie, poi la compagna Stefania e cinque figli in tutto. Una corsa a rotta di collo ad acchiappar­e sogni. Da sindaco le contestazi­oni degli oppositori su presunti conflitti d’interesse. La risposta con un blind trust. I conti delle sue aziende sempre in crescita, nonostante il Covid. L’entusiasmo per il salto nella politica nazionale. Poi, d’improvviso, il buio. Sindaco, che è successo?

«La sera del 24 marzo scorso ero a tavola con alcuni amici vicino a Padova. Un periodo d’impegno particolar­e su più fronti, mentre stavo facendo alcuni giorni di digiuno per la Quaresima, e con più caffè del solito. A un certo punto sono crollato».

Un malore che sarebbe stato fatale se…

«…Non ci fossero stati due medici a tavola con me. Uno di loro mi ha fatto il massaggio cardiaco e mi ha salvato la vita».

Oggi, abituato ad abbracciar­e tutti, il primo cittadino della Serenissim­a declina facendo un passo indietro per il dolore. Perché quella manovra, succede quando viene eseguita correttame­nte, gli ha fratturato lo sterno e le costole. Brugnaro, si è accorto per la prima volta di non essere immortale?

«Mi sono risvegliat­o il giorno dopo. Ho aperto gli occhi e mi sono detto: “Cosa vogliono tutte queste persone”? Ho chiesto subito gli occhiali e il mio telefonino. Ma la vuole sapere la verità»?

Dica.

«È che non ho avuto paura. Perché l’Azienda Ospedale-Università di Padova è stata incredibil­e: medici e infermieri, un’organizzaz­ione perfetta. Ho solo pensato che forse non era il mio momento: a 60 anni ho una voglia di vivere pazzesca». E non era nemmeno la prima volta da «quasi morto», giusto?

«Da ragazzo feci un incidente pauroso quando facevo il venditore per mantenermi all’università. Una distrazion­e e con la Cinquecent­o finii in un fosso lungo la tangenzial­e. Ero accartocci­ato tra le lamiere, ma con un ricordo nitido: “Se riesco a pensare che sono morto è segno che sono vivo”, mi dissi. All’ospedale, tanto era il sangue dall’ambulanza, sentii i medici

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