«IL CUORE SI È FERMATO, STAVO MORENDO. MI SONO SVEGLIATO IL GIORNO DOPO»
Il sindaco di Venezia: «Mi hanno salvato con un massaggio cardiaco: ero a tavola con due medici. Ho pensato che non fosse la mia ora, ho una voglia di vivere pazzesca. Il mio segreto si chiama Stefania»
Ha iniziato a correre da ragazzino, in Vespa, facendo il cameriere. Poi la laurea in Architettura, una Cinquecento per girare tutto il Veneto «a vendere, perché non sono mai stato un dipendente». Nel 1984, quando l’intermediazione lavorativa era un reato, s’inventa cacciatore di risorse umane. Oggi, tra Umana holding e altre aziende (allevamento di chianina compreso), ha un fatturato che sfiora il miliardo, con oltre 1.300 dipendenti. Luigi Brugnaro — figlio di Maria, maestra elementare, e di Ferruccio, operaio chimico e sindacalista di Porto Marghera — è al secondo mandato da sindaco di Venezia. Una moglie, poi la compagna Stefania e cinque figli in tutto. Una corsa a rotta di collo ad acchiappare sogni. Da sindaco le contestazioni degli oppositori su presunti conflitti d’interesse. La risposta con un blind trust. I conti delle sue aziende sempre in crescita, nonostante il Covid. L’entusiasmo per il salto nella politica nazionale. Poi, d’improvviso, il buio. Sindaco, che è successo?
«La sera del 24 marzo scorso ero a tavola con alcuni amici vicino a Padova. Un periodo d’impegno particolare su più fronti, mentre stavo facendo alcuni giorni di digiuno per la Quaresima, e con più caffè del solito. A un certo punto sono crollato».
Un malore che sarebbe stato fatale se…
«…Non ci fossero stati due medici a tavola con me. Uno di loro mi ha fatto il massaggio cardiaco e mi ha salvato la vita».
Oggi, abituato ad abbracciare tutti, il primo cittadino della Serenissima declina facendo un passo indietro per il dolore. Perché quella manovra, succede quando viene eseguita correttamente, gli ha fratturato lo sterno e le costole. Brugnaro, si è accorto per la prima volta di non essere immortale?
«Mi sono risvegliato il giorno dopo. Ho aperto gli occhi e mi sono detto: “Cosa vogliono tutte queste persone”? Ho chiesto subito gli occhiali e il mio telefonino. Ma la vuole sapere la verità»?
Dica.
«È che non ho avuto paura. Perché l’Azienda Ospedale-Università di Padova è stata incredibile: medici e infermieri, un’organizzazione perfetta. Ho solo pensato che forse non era il mio momento: a 60 anni ho una voglia di vivere pazzesca». E non era nemmeno la prima volta da «quasi morto», giusto?
«Da ragazzo feci un incidente pauroso quando facevo il venditore per mantenermi all’università. Una distrazione e con la Cinquecento finii in un fosso lungo la tangenziale. Ero accartocciato tra le lamiere, ma con un ricordo nitido: “Se riesco a pensare che sono morto è segno che sono vivo”, mi dissi. All’ospedale, tanto era il sangue dall’ambulanza, sentii i medici