Corriere della Sera - Sette

SINDACATO ANNI 60 IL SAPERE SENZA “PADRONI” (E MAI IN CIABATTE)

- DI DARIO DI VICO ddivico@rcs.it DI DAVIDE CASATI E MARTINA PENNISI

Bruno Manghi è un sociologo ed ex dirigente della Cisl che ha la capacità, forse unica, di raccontare le vicende sindacali in chiave innanzitut­to antropolog­ica. Le persone, le loro culture, il mix tra militanza e vita ordinaria, le passioni e persino i loro difetti. Al recente congresso della Fim-Cisl tenutosi a Torino Manghi è stato chiamato a rivisitare la storia dei metalmecca­nici di Pierre Carniti, uno dei grandi leader sindacali scomparso nel 2018. E sono così riemersi alcuni episodi che rendono bene la dirittura morale che animava il sindacato degli Anni 60. E che generava anche il pieno rispetto degli imprendito­ri. Come Camillo Olivetti, che fece costruire una macchina da scrivere per ciechi per donarla a un dirigente sindacale del tempo, Rinaldo Rigola, rimasto senza vista.

Un punto nodale toccato da Manghi riguarda il rapporto con quella che oggi chiameremm­o conoscenza. Il sapere per quei giovani sindacalis­ti non aveva padrone. «Se volevamo conoscere una cosa e quella la sapeva il proprietar­io o un manager bisognava chiedere a loro. Non voglio apprendere il sapere guardando il colore della cravatta di chi me lo trasmette», ha detto Manghi. Perché la conoscenza è un valore inestimabi­le e il sindacato deve andare prima di tutto «alla ricerca del sapere». Infatti per formare i quadri la Cisl aveva messo su un ottimo Centro Studi dove giovani operai e qualche laureato destinati a fare gli operatori sindacali studiavano dalla mattina alla sera. Ma anche in questo caso il rigore morale non prevedeva deroghe.

«Una volta il direttore del Centro Studi, Vincenzo Saba, incontrò lungo il corridoio un giovane sindacalis­ta che si trascinava in ciabatte. Il giorno dopo lo convocò e gli disse che con buona probabilit­à sarebbe diventato il segretario di un’unione territoria­le della Cisl o di una categoria. Per noi, aggiunse, una carica così vale come quella di prefetto e quindi anche nel comportame­nto e nel vestiario le regole vanno osservate. Non si azzardi più a girare in ciabatte. Per rispetto di sé e del ruolo che un giorno ricoprirà».

Bruno Manghi, 80 anni, torinese: è sociologo ed ex dirigente Cisl

DIRITTI DIGITALI ORA «DEINDICIZZ­ARE» CON GOOGLE SI PUÒ

L’EX CISL MANGHI E I METALMECCA­NICI DI CARNITI: RUOLI E REGOLE SACRI, TANTO STUDIO

IL LINK «RIMOZIONE DI INFORMAZIO­NI» È UN PASSO PARZIALE MA UTILE PER L’UTENTE

La strada dei diritti digitali è lastricata di buone intenzioni e interessi (di pochi). E, soprattutt­o, è lunga. Google mette a disposizio­ne uno strumento (necessaria­mente parziale: ma utile) con cui domandarne il rispetto in modo abbastanza immediato. Collegando­si alla pagina apposita (sul motore di ricerca digitate «Rimozione di informazio­ni da Google») si può chiedere di togliere una serie di informazio­ni dai risultati. Da poco si possono rimuovere anche le informazio­ni personali di contatto, come email o indirizzo di casa, anche nel caso in cui possano creare un rischio per l’utente (prima era possibile farlo solo se erano state pubblicate insieme a minacce, il cosiddetto doxxing). Quando Big G riceve la richiesta di rimozione può agire sull’intera pagina, rendendola di fatto introvabil­e, o solo sulle ricerche associate al nome dell’utente. Oppure può decidere di non procedere. Attenzione: stiamo parlando di deindicizz­azione, non di eliminazio­ne di informazio­ni da Internet, per le quali è eventualme­nte necessario contattare il proprietar­io del sito che le contiene. Ma resta uno strumento utile: come si suol dire, se vuoi nascondere bene qualcosa mettilo nella seconda pagina di Google. O chiedi di toglierlo del tutto.

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