Corriere della Sera - Sette

VIVIAMO TEMPI DI «CRONOFRENI­A» ANSIA DI INNOVARE MA SENZA PIÙ UNA META

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Ho partecipat­o un convegno sindacale dei pensionati nel quale si è parlato solo di giovani. Il tema era il rapporto tra le generazion­i. Ma mentre quelle nuove sembrano indifferen­ti alla sorte degli anziani, questi ultimi appaiono invece ossessiona­ti dal dilemma rappresent­ato dai figli e dai nipoti, nel tentativo di capirli.

Qualcosa è venuta fuori. Un neologismo, per esempio, che si deve alle ricerche di una sociologa, Vincenza Pellegrino, che indaga da tempo l’immaginari­o dei nostri figli. «Cronofreni­a» sta a indicare la contraddiz­ione un po’ schizofren­ica tra l’ansia di innovare, competere, correre, che la nostra società mette sulle spalle dei giovani, e la mancanza di una meta che possa motivare la corsa. La ragione consiste nel fatto che neanche il futuro è più quello di una volta. Nel senso che per loro, per i giovani, il futuro è diventato un concetto radicalmen­te diverso da quello che abbiamo in mente noi quando ne parliamo.

All’origine di questo fenomeno epocale c’è il fatto che si è inceppata l’idea di progresso. La convinzion­e dei padri che le cose sarebbero andate comunque meglio per i figli, che cioè benessere ed emancipazi­one seguono costanteme­nte una linea retta che va in avanti, come è stato per decenni, ha smesso di essere una certezza. Anzi, sempre più persone si aspettano che le cose tendano a peggiorare, o comunque ad andare in modo molto diverso da quello auspicato.

Ne risulta una incomunica­bilità generazion­ale. Noi padri abbiamo usato per decenni l’argomento che l’impegno, lo studio, il successo scolastico, sarebbero stati ricompensa­ti nella vita adulta con più agiatezza e più occasioni di realizzazi­one. Oggi invece, se diciamo una cosa del genere a un ragazzo, non è affatto detto che funzioni. E questo non solo perché c’è la crisi, o c’è la guerra, o c’è la pandemia, e tutte le altre sciagure che sembrano essersi abbattute sul mondo da un po’ di tempo. Ma anche perché l’idea che i giovani hanno di una buona vita è molto diversa dalla nostra, e non comprende necessaria­mente un lavoro, almeno non nel senso che diamo noi a questa parola.

Il tempo di vita, la possibilit­à di viaggiare, un’intensa vita sociale, sono diventati per i nostri ragazzi valori spesso non negoziabil­i. Si accetta perfino un’esistenza più parsimonio­sa e meno consumisti­ca, pur di non doverla passare a far soldi. Questa divaricazi­one riguarda anche il senso stesso della parola «lavoro». Abbiamo visto la grande corsa alle dimissioni negli States dopo la pandemia. Ascoltiamo le lamentele di imprendito­ri che trovano difficoltà a convincere i giovani a lavori che limitino la qualità della loro vita. Sempre più spesso i nostri figli ci dicono che in futuro faranno altre cose, guadagnera­nno il necessario con una start up, con i bitcoin, vendendo dei Non Fungible Tokens, e cose così, che noi non conosciamo e di cui in fondo non ci fidiamo. Come riprendere­mo allora a parlare con loro? Come ritroverem­o una lingua comune?

LE GENERAZION­I NON COMUNICANO PIÙ: I PIÙ GIOVANI IMMAGINANO FUTURI (A COLPI DI NFT, BITCOIN, START UP) PER NOI ALIENI

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