VIVIAMO TEMPI DI «CRONOFRENIA» ANSIA DI INNOVARE MA SENZA PIÙ UNA META
Ho partecipato un convegno sindacale dei pensionati nel quale si è parlato solo di giovani. Il tema era il rapporto tra le generazioni. Ma mentre quelle nuove sembrano indifferenti alla sorte degli anziani, questi ultimi appaiono invece ossessionati dal dilemma rappresentato dai figli e dai nipoti, nel tentativo di capirli.
Qualcosa è venuta fuori. Un neologismo, per esempio, che si deve alle ricerche di una sociologa, Vincenza Pellegrino, che indaga da tempo l’immaginario dei nostri figli. «Cronofrenia» sta a indicare la contraddizione un po’ schizofrenica tra l’ansia di innovare, competere, correre, che la nostra società mette sulle spalle dei giovani, e la mancanza di una meta che possa motivare la corsa. La ragione consiste nel fatto che neanche il futuro è più quello di una volta. Nel senso che per loro, per i giovani, il futuro è diventato un concetto radicalmente diverso da quello che abbiamo in mente noi quando ne parliamo.
All’origine di questo fenomeno epocale c’è il fatto che si è inceppata l’idea di progresso. La convinzione dei padri che le cose sarebbero andate comunque meglio per i figli, che cioè benessere ed emancipazione seguono costantemente una linea retta che va in avanti, come è stato per decenni, ha smesso di essere una certezza. Anzi, sempre più persone si aspettano che le cose tendano a peggiorare, o comunque ad andare in modo molto diverso da quello auspicato.
Ne risulta una incomunicabilità generazionale. Noi padri abbiamo usato per decenni l’argomento che l’impegno, lo studio, il successo scolastico, sarebbero stati ricompensati nella vita adulta con più agiatezza e più occasioni di realizzazione. Oggi invece, se diciamo una cosa del genere a un ragazzo, non è affatto detto che funzioni. E questo non solo perché c’è la crisi, o c’è la guerra, o c’è la pandemia, e tutte le altre sciagure che sembrano essersi abbattute sul mondo da un po’ di tempo. Ma anche perché l’idea che i giovani hanno di una buona vita è molto diversa dalla nostra, e non comprende necessariamente un lavoro, almeno non nel senso che diamo noi a questa parola.
Il tempo di vita, la possibilità di viaggiare, un’intensa vita sociale, sono diventati per i nostri ragazzi valori spesso non negoziabili. Si accetta perfino un’esistenza più parsimoniosa e meno consumistica, pur di non doverla passare a far soldi. Questa divaricazione riguarda anche il senso stesso della parola «lavoro». Abbiamo visto la grande corsa alle dimissioni negli States dopo la pandemia. Ascoltiamo le lamentele di imprenditori che trovano difficoltà a convincere i giovani a lavori che limitino la qualità della loro vita. Sempre più spesso i nostri figli ci dicono che in futuro faranno altre cose, guadagneranno il necessario con una start up, con i bitcoin, vendendo dei Non Fungible Tokens, e cose così, che noi non conosciamo e di cui in fondo non ci fidiamo. Come riprenderemo allora a parlare con loro? Come ritroveremo una lingua comune?
LE GENERAZIONI NON COMUNICANO PIÙ: I PIÙ GIOVANI IMMAGINANO FUTURI (A COLPI DI NFT, BITCOIN, START UP) PER NOI ALIENI