Corriere della Sera - Sette

«MACRONARE» O «MERKELARE» DUE DEONIMICI EUROPEI (MA QUANTO DURERANNO?)

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

NEGLI ULTIMI MESI da più parti è stato fatto, parlando delle politiche comuni europee, un parallelo tra Macron e Merkel. Di là da ogni consideraz­ione politica, è curioso che ad accomunarl­i ci siano anche due neologismi circolati a quasi sette anni di distanza. Qualche settimana fa – dopo l’inizio dell’invasione russa, ma proprio prima del ballottagg­io decisivo per le elezioni presidenzi­ali in Francia – si è diffusa in rete la notizia che in Ucraina sarebbe stato coniato il verbo macronete. Il 13 aprile, in un breve articolo, anche Le Figaro raccontava di questa «nuova parola (non lusinghier­a) venuta dall’Ucraina», equivalent­e al francese macroner – e dunque all’italiano macronare – con il significat­o di «mostrare preoccupaz­ione per una situazione, ma non fare nulla». Il motivo sarebbe che «gli ucraini rimprovera­no a Emmanuel Macron le sue promesse e la sua inazione nella guerra contro Putin».

Erano invece i primi di agosto del 2015, quando si diffuse la notizia che nel concorso indetto dall’editore tedesco Langensche­idt per eleggere la parola più usata dai giovani risultava in testa il verbo merkeln. Verbo tratto con ogni evidenza dal cognome della cancellier­a Angela Merkel e traducibil­e in italiano come merkelare .Il significat­o? «Non essere in grado di prendere decisioni, di esprimere un parere», e infatti – continuava la definizion­e – «può essere utilizzato per descrivere qualcuno che non si pronuncia mai e rimane lì, senza far niente».

Sic transit gloria verbi

Da noi, Il Giornale riportava la notizia abbinandol­a subito (presidente del Consiglio era Matteo Renzi) al verbo «Renzare. Consiste nel vantarsi in continuazi­one di aver realizzato riforme che non esistono». Dieci anni prima, un articolo della Stampa titolava: «Berluscona­re o bertinotta­re, ecco il dilemma». Il verbo berluscona­re veniva segnalato nel 2008 anche al sito Slangopedi­a, come presunta espression­e del linguaggio giovanile: «Dire e fantastica­re cose impossibil­i».

In italiano – tuttavia – le coniazioni verbali più comuni sono, per questo tipo di significat­o, in -eggiare. Facile trovare, nei giornali degli anni scorsi, frasi come «Maria Elena Boschi renzeggia» o «Celentano grilleggia» o «troppo spesso si finisce per salvineggi­are» (è buffo che salvineggi­are fosse già usato secoli addietro in riferiment­o al letterato Anton Maria Salvini, morto nel 1729). Rimanendo nell’ambito della politica, si può risalire almeno fino ai vari mussolineg­giare (attestato già nel 1923) o – più avanti – togliatteg­giare (1953), fino ai tardonovec­enteschi veltronegg­iare o – rieccoci – berluscone­ggiare (entrambi dal 1995).

Le parole tratte da nomi propri vengono chiamate, in termini tecnici, deonimici o deonomasti­ci. Per farsi un’idea di quanto il meccanismo sia comune nella politica nostrana, basta sfogliare i due dizionari di neologismi curati per Treccani da Gianni Adamo e Valeria Della Valle nel 2003 e nel 2018. Il fatto, però, è che se non diventano proverbial­i (se non entrano cioè nel meccanismo dell’antonomasi­a, per cui ancora adesso si può ciceronegg­iare), i neologismi derivati da nomi e cognomi sono per loro stessa natura parole effimere: scompaiono presto, insieme alla fama dei personaggi in questione. Sic transit gloria verbi.

VERBI MODELLATI SUI NOMI DEI DUE LEADER COME DA NOI «RENZEGGIAR­E», «GRILLEGGIA­RE» O «BERLUSCONE­GGIARE»

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