«LA VIOLENZA VA GESTITA NON REPRESSA GUARDATE WILL SMITH...»
L’autore rivelazione racconta perché ha messo al centro del suo romanzo Nova la paralisi che viviamo di fronte all’aggressività, in pubblico come in privato. Per uscirne serve un mentore che ci aiuti a superare «l’abisso tra la presa d’atto di un fatto spiacevole e la sua metabolizzazione»
Il romanzo di Fabio Bacà, Nova (Adelphi), si apre con la scena del ghanese Adam Kabobo che nel maggio 2013, a picconate, uccide tre persone per le strade di Milano. A sorprendere è il fatto che altre persone, scampate all’aggressore nelle ore precedenti, non abbiano dato l’allarme che avrebbe salvato delle vite. Nella scena chiave del libro, invece, si passa ad una paralisi più sottile: il protagonista, Davide, è al ristorante con la moglie e non riesce a muovere un dito quando lei viene importunata da uno sconosciuto; a difenderla interviene un altro sconosciuto, Diego, che poi diventerà il guru del protagonista: è grazie a lui che imparerà a gestire, e non reprimere, gli impulsi alla violenza che ha dentro di sè.
L’abilità più eclatante di Bacà è portarci dentro al cuore delle cose e dell’animo umano attraverso storie che colpiscono a tradimento, tra le maglie dell’armatura che i protagonisti si erano costruiti, anche con la professione: Kurt, protagonista di Benevolenza cosmica, è uno statistico che con i numeri può smontare e rimontare la realtà, ma dovrà fare i conti con l’accanimento della fortuna che lo perseguita. Diego, protagonista di Nova, neurochirurgo, sa tutto quello che possiamo sapere su come funziona il cervello, ma non è abbastanza, perché non spiega gli istinti più oscuri.
L’altra dote è lo stile, capace di avvolgere il lettore con frasi ampie e armoniose, digressioni colte e descrizioni acute, per poi farlo piombare giù con dialoghi stringenti e scene rapide, frasi brevi e paratattiche che fanno precipitare gli eventi dentro il mondo interiore del personaggio, trascinando un lettore sgomento per l’ironia di un destino che sfiora il sarcasmo, mescolando il plausibile e l’imprevisto, l’improbabile e l’ovvio. Non è un caso, ed è clamoroso, che entrambi i libri siano editi da Adelphi, che per tornare allo Strega ha puntato su Nova: in dozzina, con vista sulla cinquina. Abbiamo intervistato l’autore.
Ci racconta l’incontro con Calasso?
«L’ho incontrato una sola volta, il 19 marzo del 2018. Fu gentile, affabile. Mi rivolse due domande sugli sviluppi alternativi della trama di Benevolenza Cosmica, talmente acute e strutturate che, giuro, non le capii. La convocazione aveva lo scopo di scongiurare il rischio che Adelphi pubblicasse l’esordio di un perfetto idiota che aveva avuto la fortuna irripetibile di imbroccare il romanzo della vita. Temo di non aver dissolto tutti i dubbi del presidente, ma il tempo con lui è un ricordo indelebile».
Lei è un autore Adelphi vivente. Di che vive, che lavori ha fatto?
«Ho studiato giornalismo all’università di Macerata e ho lavorato come bagnino quasi tutte le estati. A 28 anni, avvicinatomi alla filosofia macrobiotica, facevo l’aiuto cuoco tra Marche e Abruzzo. Nel 2008, per la gioia dei clienti dei ristoranti, ho abbandonato la cucina e iniziato a lavorare nella palestra che frequentavo. Mi sono appassionato alla ginnastica posturale, soffrivo di mal di schiena, e nel decennio successivo ho frequentato corsi per fornirmi di basi
teoriche adeguate. Ora sono un Personal Trainer e un istruttore di ginnastica dolce, posturale e Pilates».
In Nova c’è la nostra paralisi di fronte alla violenza. Quando è iniziata?
«Nel momento stesso in cui ci siamo lasciati sopraffare dalle esasperazioni della cosiddetta civilizzazione. Sballottati tra le onde delle imposizioni religiose, culturali, delle regole della convivenza sociale e dei mutevoli precetti delle psicanalisi da rotocalco, abbiamo smesso di tendere l’orecchio alla voce dei nostri istinti più profondi. Il risultato è lo smarrimento assoluto che ci immobilizza quando le norme del bon ton metropolitano e “del vivi e lascia vivere” non bastano più».
Lei ha mai vissuto un episodio di reazione violenta repressa, come la scena di Davide al ristorante?
«No, una scena simile non mi è capitata. Ma nel libro c’è un episodio personale che ho riprodotto com’ è avvenuto. Una notte di sei anni fa, a un semaforo di San Benedetto del Tronto, mi sono distratto al cellulare e non ho notato il verde fino a quando l’auto dietro di me ha protestato con un colpo di clacson. Ho alzato la mano per chiedere venia e sono ripartito. Credevo fosse finita lì, ma il tipo ha deciso che i miei indugi meritavano di peggio e ha continuato a lampeggiare, suonare, fingere di tamponarmi, sorpassarmi e rallentare fin quasi a tagliarmi la strada. Poi s’è stancato del giochetto, è andato via. Interessante esperienza di demenza urbana». La guerra in Ucraina sta cambiando la nostra percezione della violenza?
«Temo che nemmeno una guerra a due passi da casa, ormai, ci tocchi più di tanto. Televisivamente assuefatti alla violenza, dobbiamo raschiare il fondo del barile psichico per trovare un po’ di indignazione residua. Triste, ma vero» Diego insegna a Davide a gettare un ponte sull’abisso che c’è tra “la presa d’atto di un fatto spiacevole e la sua metabolizzazione emotiva”, per reagire. Lei ha avuto un mentore?
«Sì. Anche se non con le modalità sui generis utilizzate da Diego per manipolare le prospettive esistenziali di Davide Ricci. Sono Laura Stopponi e Pierluigi Paoletti. Una counselor e uno psicanalista: marchigiani, due delle persone più empatiche e intelligenti che abbia mai conosciuto. Mi piace l’etimologia della parola guru: colui che fa svanire (ru )le tenebre (gu). Il confronto con persone del genere è indispensabile a spingerci oltre le nostre rispettive linee d’ombra». Cosa direbbe il guru di Nova, Diego, a proposito dello schiaffo di Will Smith dato a Chris Rock durante gli Oscar?
«Chris Rock è stato inelegante, ma Smith ha perso un’occasione colossale. Diego sarebbe salito sul palco, avrebbe preso Chris per la cravatta, per avvicinarsi al suo microfono, e gli avrebbe detto: “Fratello, questo si chiama bodyshaming. Dire una cattiveria in diretta può accadere: sono i rischi del mestiere. Un vero professionista fa finta di niente e va avanti, ma un vero uomo si avvicina alla persona offesa e chiede scusa. Credo sia quello che il mondo si aspetti da te”. E avrebbe dato una lieve tiratina d’incoraggiamento alla cravatta».
In Benevolenza cosmica regna la statistica. Strumento utile, ma può essere fuorviante, non trova?
«Uso spesso dati statistici per terrorizzare i miei clienti e indurli, ad esempio, ad assumere meno sale e meno zuccheri liberi: le innumerevoli ricerche in proposito offrono garanzie sull’attendibilità di quanto mi trovo a riferire. Ma la maggior parte delle statistiche che riguardano eventi multifattoriali o dall’origine incerta, come certe malattie metaboliche o presunte intolleranze alimentari, possono essere fuorvianti. Penso alla demonizzazione del glutine, dei latticini e altre sostanze sulle cui ipotetiche responsabilità c’è ancora molto da capire».
Delle neuroscienze, che ha studiato per Nova, qual è stata la scoperta che trova più interessante?
«Bé, ho una specie di fissazione per i tassisti, e a proposito di plasticità cerebrale ho letto che proprio quelli londinesi, costretti a imparare a memoria la mappa delle 25mila strade della capitale britannica, impresa che richiede fino a quattro anni di studi, hanno un ippocampo più ampio del normale, e che lo sviluppo aumenta proporzionalmente agli anni di lavoro. Un’indiscutibile dimostrazione delle capacità adattative del cervello umano».
A cosa sta lavorando?
«Il mio prossimo libro parla di sesso, morte, incesto. Le solite cose».
«DA PERSONAL TRAINER USO DATI STATISTICI PER TERRORIZZARE I MIEI CLIENTI. HO UNA FISSAZIONE PER I TASSISTI LONDINESI, HANNO UN IPPOCAMPO MOLTO SVILUPPATO»