«IO NON SARÒ MAI PIÙ SOLA...» GIOIA (E TERRORE) IL LATO BUIO DELLA MATERNITÀ
La giovane scrittrice messicana Jazmina Barrera compone il diario di una donna che si trasforma in madre, attingendo alla propria esperienza ma anche a quella di tante autrici, poetesse, artiste. Da Sylvia Plath («non c’è miracolo più crudele di questo») agli scatti di Tina Modotti, che fotografa il corpo femminile mentre si fa nutrimento
urante il tragitto verso casa, in preda alla sorpresa, all’emozione e alla confusione, ho pensato all’improvviso: non sarò mai più sola. Mai davvero sola. Ho provato terrore e gioia». Terrore e gioia. Cosa succede quando si scopre di aspettare un figlio? Cosa succede davvero a ogni donna?
Jazmina Barrera, giovane autrice messicana, in Linea Nigra (La Nuova Frontiera, traduzione di Federica Niola), compone il diario di una donna che si trasforma in una madre, e lo fa restituendo con sorprendente onestà tutto il prisma contraddittorio delle emozioni che accompagnano questa esperienza così comune, ma anche così personale. Lo fa attingendo alla sua esperienza e a quella di altre scrittrici e artiste.
Nel 1966 Niki de Saint Phalle, grande artista francese, realizzò per il Moderna Museet di Stoccolma la gigantesca Hon/Elle: una donna di ventotto metri di lunghezza. I visitatori potevano entrare nella scultura, dipinta di colori vivaci, attraverso la vagina. Dentro c’era un bar del latte, allestito nel seno destro, e un planetario nel seno sinistro. Niki definì questo ritorno al ventre materno «una festa».
Una festa, sì; eppure da un’altra angolatura la gravidanza può essere oscura. Ma di questo lato buio non se ne parla mai abbastanza. Lo ha fatto la scrittrice americana Maggie Nelson, negli Argonauti, dove racconta del suo matrimonio con l’artista transgender Harry Dodge; e in un certo senso lo ha fatto Mary Shelley. Mary Shelley che ebbe quattro figli, tre dei quali morirono; compresa Clara, la bambina che aspettava mentre scriveva Frankestein. Barrera ripensa al passo in cui il mostro prende vita e cerca di uccidere il suo creatore: «Quel frammento terrificante è come un incubo postparto».
Linea Nigra si aggiunge in modo incisivo ai molti titoli di autrici che negli ultimi anni hanno parlato di maternità. La maternità è una nuova urgenza, uno dei grandi temi del millennio. Le donne sentono l’esigenza di tornare a parlarne, ma con maggiore autenticità e con una più profonda consapevolezza. Si sentono investite del diritto di scandagliare anche i suoi luoghi oscuri, i sentimenti bui esattamente come quelli rischiarati dalla luce. Sheila Heti, nel suo memoir Maternità, si chiede di continuo se sia il caso di avere un figlio oppure se sia meglio rinunciare. Mette in scena un dubbio lecito e dilaniante, l’impossibilità di prendere una decisione netta; il timore, l’inadeguatezza, la figurazione di una possibilità inaccettabile: quella di dover rinunciare a
La cantante Rihanna, 34 anni, incinta del primo figlio. Sull’addome si nota la “linea nigra”, linea verticale di colore scuro dovuta ad una iperpigmentazione della pelle, che di solito scompare dopo il parto
una parte di sé stessa e alla propria autodeterminazione. Ricorda Barrera un racconto di Shirley Jackson: The Third Baby’s the Easiest. In questo racconto una donna va in ospedale per partorire il terzo figlio. Quando arriva l’addetta all’accoglienza le fa una serie di domande a cui lei deve rispondere in preda alle contrazioni. Quando la donna le domanda che lavoro fa, Jackson risponde: «Scrittrice». L’addetta ribatte: «Scriverò casalinga». Jackson insiste nonostante il dolore, ma non c’è niente da fare: sulla scheda ci sarà scritto «casalinga».
Jazmina Barrera sa alternare agli elementi meno luminosi, le epifanie che si hanno in gravidanza, visto che un bambino nei primi mesi è una creatura grande come un mirtillo con un cuore che batte; che se si riflette sul sangue materno si incontra l’alchimia: il latte del seno non è altro che sangue filtrato, circolava nelle vene e poi si è trasformato in latte. Dettaglio vampiresco e straordinario. Barrera è incinta di un bambino e si rende conto d’un tratto che per qualche mese sarà contemporaneamente una donna e un bimbo maschio. All’inizio il figlio e la madre condividono un mondo segreto. «All’inizio il bambino è una cellula del tuo corpo. Sei tu. Ciò che succede al principio della gravidanza succede solo a te. A poco a poco quella parte di te diventa un essere distinto, e tu sei sempre di più un recipiente».
Un libro intorno alle sensazioni che la maternità scatena dentro a una donna non può che essere un libro frammentario e impressionista. Frammenti di una visione che non può essere univoca, frammenti che si riverberano sulla vita di una donna, il cui tempo dal parto in poi sarà per sempre frazionato. Bar
rera si racconta attraverso l’eco di altre donne che l’hanno preceduta e continuano a ispirarla in ogni modo possibile. Il passaggio dall’essere figlia al diventare madre si manifesta così, come una lenta cancellatura. E allora è necessario combattere questa impressione, chiamare a sé la testimonianza di altre artiste. La madre di Jazmina Barrera è una pittrice che ha dipinto il suo volto durante i mesi di gestazione: tentativo di mettersi a fuoco, di vedersi in una nuova dimensione. Barrera invece scrive, il diario frammentato è un modo per toccare in profondità questa esperienza. Sulla pancia si è andata delineando una linea scura: viene chiamata linea nigra. Pare che ci sia perché il neonato che vede con grandi contrasti, risalga la pancia e riesca a trovare i capezzoli. È come se il corpo si riempisse di indicazioni per qualcun altro, come se fosse una mappa magica. Anche le madri, però, hanno bisogno di una mappa per orientarsi. Il libro di Jazmina Barrera aggiunge un pezzo alla mappa più grande a cui contribuiscono tutte le autrici e artiste che hanno riflettuto sulla maternità, e ne hanno discusso oltre ogni stereotipo.
Una donna incinta può sentirsi cancellata, ma allo stesso tempo onnipotente. Può sentirsi investita del potere di ingrandire il mondo. Può vivere la sua condizione come un atto d’amore nei confronti della persona che le sta a fianco. Può sentirsi legata alla catena di donne, nonne, ave che l’hanno preceduta e hanno inscritto nel dna i gesti della cura, e vivere ogni giorno prima del parto come un atto creativo, quello di immaginare la persona che verrà. Ma non c’è mai la scelta di una visione a discapito di un’altra. La verità è che la maternità si porta dietro infinite sfaccettature. «Non c’è miracolo più crudele di questo» scrive Sylvia Plath nella sua pièce Tre donne.
Jazmina Barrera ci lancia in un mare di riferimenti in cui dalla paura del parto si passa a quella dell’allattamento e al desiderio di trovare del tempo per sé; tempo per scrivere, tempo per leggere. La storia delle madri è quella di un tempo spezzettato come lo è stato con il parto il loro corpo. Del suo corpo rotto scrive Margaret Atwood guardando il figlio in culla. Tra le storie che intreccia Barrera, brilla quella di Luz Jimenéz, un’indigena che posò per moltissimi pittori e fotografi. Ci sono ritratti suoi di Orozco e Rivera e molti scatti di Tina Modotti, che la fotografava spesso mentre allattava la sua bambina. Ritraeva quella donna nel suo farsi nutrimento. Modotti non poteva restare incinta: ritraeva madri e figli, senza quasi mai mostrare i volti; quello che le interessava era il gesto, il contatto fisico, la forza, l’affetto e la stanchezza presenti nel vincolo corporeo tra madre e figlio.
«Impossibile essere originali se si scrive sulla maternità. Siamo tantissime e le nostre esperienze hanno tutto in comune, moltissime differenze, e allo stesso tempo tutto in comune». L’urgenza di questo libro non è solo quella di una donna che si è trasformata in una madre, ma quella di inserirsi in un coro di voci, di libri, di diari, di rappresentazioni che abbiano il materno al centro. Libri che rilancino il dibattito. Libri che siano contro i canoni, che costituiscano nuovi generi letterari. E dicano, tra luci e ombre, la vera vita delle donne.
SULLA PANCIA C’È UNA LINEA SCURA, MAPPA MAGICA CHE CONSENTE AL BIMBO DI RISALIRE FINO AI CAPEZZOLI. MA ANCHE LE MADRI CERCANO MAPPE PER ORIENTARSI