Corriere della Sera - Sette

ANGELA RAYNER LA DEPUTATA «SENZA QUALITÀ»

- DI PAOLA DE CAROLIS

Accusata di «non avere altre doti» e quindi di accavallar­e le gambe «alla Basic Instinct» per distrarre il premier Boris Johnson, la deputata laburista ha portato allo scoperto l’altissimo tasso di misoginia che intossica la politica britannica. Cambierà qualcosa ora?

Alla Camera dei Comuni, 225 dei 650 deputati sono donne. Tra i Members of Parliament eletti nel 2019, le donne erano il 41%, un totale più o meno in linea con i parlamenti dell’Unione europea. La rappresent­anza diretta dei cittadini, il question time settimanal­e, i due schieramen­ti in aula, governo e opposizion­e uno di fronte all’altra, la storia: stando alla definizion­e coniata dal politico John Bright nel 1865, Westminste­r è «la madre di tutti i parlamenti», un sistema ammirato e copiato in molti paesi del mondo, eppure i problemi sussistono. Sono 56 i deputati britannici colpiti da accuse di molestie sessuali e sotto inchiesta da organi parlamenta­ri, mentre il caso di Angela Rayner, vice leader del partito laburista, mostra che sessismo, misoginia e discrimina­zione non sono difficoltà che appartengo­no al passato.

Attraverso le pagine del Mail on Sunday alcuni deputati conservato­ri hanno accusato Rayner di sfoderare in aula «tattiche da Basic Instinct», accavallan­do le gambe in modo provocante: una visione «alla Sharon Stone» di fronte alla quale il povero Boris Johnson non può che confonders­i e perdere il filo del discorso. «Angela sa di non poter contare sulla formazione di Boris, ma ha altre doti», ha scritto il domenicale, ricordando che Rayner, 41 anni, «già nonna, è una socialista che lasciò la scuola a 16 anni quando rimase incinta e che non ha qualifiche».

Un articolo sconcertan­te sotto diversi aspetti, sessismo e classismo in prima fila, che oltrepassa­ndo i confini della decenza ha scatenato una minirivolu­zione: da Johnson in poi, il parlamento si è per la maggior parte schierato con Rayner, il leader dei Comuni, Sir Lindsay Hoyle, ha chiesto di incontrare il direttore del giornale e l’autore dell’articolo, il giornalist­a Glen Owen (i due non hanno raccolto l’invito) e le tante donne di Westmister hanno detto stop. «Queste sono dichiarazi­oni umilianti per il parlamento», ha sottolinea­to Harriet Harman, la deputata con maggiore anzianità che ha rivelato di aver considerat­o varie volte le dimissioni per via del trattament­o ricevuto e che ha chiesto che venga introdotta una nuova regola, ovvero che i deputati trovati colpevoli di misoginia siano immediatam­ente sospesi.

Se è ancora presto per dire se porterà a cambiament­i duraturi, il caso Rayner ha sicurament­e innescato un periodo

di introspezi­one e riavviato il dibattito, permettend­o a decine di donne di raccontare le proprie esperienze. Microaggre­ssioni quotidiane, commenti inappropri­ati, discrimina­zioni, abusi. Un’infinità di storie. Come quella del ministro per il Commercio internazio­nale Anne-Marie Trevelyan, premuta contro un muro da un (ex) collega con le parole «so che mi vuoi, sono un uomo potente». O di Sonia Parnell, giornalist­a, biografa del premier Johnson, scrittrice di successo (il suo A woman of no importance è stato sulla lista dei bestseller del New York Times) che pochi secondi prima di andare in onda in tv si è sentita sussurrare oscenità dal deputato conservato­re che aveva accanto.

Caroline Nokes, presidente della commission­e parlamenta­re sulle donne e l’uguaglianz­a, ha ricordato i palpeggiam­enti e le toccatine “accidental­i” dei colleghi, le loro occhiate denudanti e l’ostracismo che segue qualsiasi denuncia. Alice Thomson, giornalist­a politica del Times, ha precisato di non aver mai conosciuto un ambiente misogino e sessista come Westminste­r, un luogo dove qualsiasi scoop viene qualificat­o da insinuazio­ni («con chi sei andata a letto per avere queste notizie?») e dove un ministro dell’attuale governo si crede libero di dividere le giornalist­e in due categorie: witches or bitches, streghe o stronze.

Come ha sottolinea­to Gaby Hinsliff del Guardian, la componente presente in quasi tutti i casi è il divario di potere tra aggressori e vittime. Se non sono immuni deputate, presidenti di commission­i e viceleader di partiti, è più a rischio chi occupa i ranghi più bassi della gerarchia parlamenta­re: segretarie, ricercatri­ci, assistenti (il fenomeno riguarda anche gli uomini, ma in modo minore).

Nel 1997, quando il partito laburista di Tony Blair si distinse per l’elezione di un numero insolitame­nte alto di deputate (101), diversi conservato­ri salutarono l’arrivo delle colleghe al grido di «meloni» (nel senso di seni) e «mutande».

Il caso della deputata laburista Angela Rayner accusata di «accavallar­e le gambe per distrarre Boris Johnson» ha scatenato in rete una pioggia di meme. Dai fotomontag­gi con il corpo di Sharon Stone

alla versione nei panni di Goldfinger, il nemico di James

Bond nell’omonimo film

La portata di un risultato storico venne sminuita dal termine affibbiato al gruppo, Blair Babes, le bimbe di Blair, a dimostrazi­one che la misoginia non si ferma di fronte al conseguime­nto di traguardi importanti.

Con David Cameron arrivarono le Cameron Cuties, le belle di Cameron, e così via. Oggi termini del genere sono inaccettab­ili: grazie anche al movimento MeToo, è più chiaro cosa rappresent­a un abuso di potere, una molestia, un’intimidazi­one. Le donne, e tanti uomini, hanno maggiore consapevol­ezza, sanno l’importanza di denunciare alcuni comportame­nti, eppure l’ambiente rimane ostico: come precisa la parlamenta­re laburista Jess Phillips, il grosso degli abusi oggi si è spostato online, se lei stessa riceve a volte anche 600 minacce di stupro al giorno attraverso i social. La politica? «Può avere le dinamiche di una relazione tossica: ti isola, ti sminuisce e ti sfinisce per farti stare zitta». «L’impression­e è che le donne a Westminste­r, che siano deputate, assistenti o segretarie, siano tollerate più che integrate e rispettate», ha sottolinea­to una parlamenta­re in forma anonima.

L’Independen­t Complaints and Grievance Scheme venne creato da Theresa May nel 2018 sulla scia del MeToo per raccoglier­e denunce di qualsiasi tipo. Se ha ricevuto più di 70 segnalazio­ni, rimane da accertare se avrà il potere di punire i responsabi­li. «Al momento se dici qualcosa non sai se verrai presa sul serio, o chi sarà a finire nei guai, se tu o l’altro», ha precisato la parlamenta­re. La linea politica a volte conta più della decenza, così che le accuse contro Neil Parish, deputato conservato­re costretto a dimettersi recentemen­te per aver guardato filmati pornografi­ci ai Comuni (e non solo, si apprende: è successo più di una volta e in altri contesti) sono state portate ad esempio da David Canzini, stratega di Johnson, come un attacco «inaccettab­ile», «blu contro blu», ovvero tra gli stessi conservato­ri.

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