«NATO UMILE E CONTADINO IO, MICHELE PLACIDO, SENTO DI ESSERE COME LUI»
L’attore sulla Rai sarà il grande editore del ‘900 in I libri per cambiare il mondo: «Lui del Nord, io del Sud, ma veniamo entrambi da piccoli paesi di provincia». Con gli Oscar portò il romanzo al grande pubblico. Il nipote Formenton: «Pubblicò D’Annunzio e Topolino»
L’aggettivo «novecentesco» inquadra perfettamente una figura come Arnoldo Mondadori, fondatore dell’omonimo gruppo editoriale, intellettuale che ha cambiato la lettura degli italiani. «Novecentesco perché colto, rigoroso, geniale anche se concreto», dice Luca Formenton, nipote di Arnoldo e a sua volta editore (è presidente de Il Saggiatore e della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori).
A poco più di 50 anni dalla morte, Mondadori viene ricordato innanzitutto al Salone del Libro di Torino — con due appuntamenti oggi e domani — e poi in autunno con il lancio di una docu-fiction nella quale a prestargli volto e voce sarà Michele Placido (Arnoldo Mondadori. I libri per cambiare il mondo è prodotta da Gloria Giorgianni per Anele in collaborazione con Rai Fiction e il sostegno di Film Commission Torino Piemonte). «In un certo senso mi sento legato a Mondadori», dice Placido, presente a Torino,
Il primo Oscar Mondadori è del 27 aprile 1965:
Addio alle armi di Hemingway (a sinistra).A fianco, un Giallo Mondadori: la collana nacque nel 1929. Da allora in Italia i thriller sono i “gialli”
oggi, per l’anteprima —, «entrambi siamo originari di piccoli paesi di provincia, siamo nati in famiglie umili. Però io vengo dal Foggiano, lui era un uomo del Nord, anche se era nato in un minuscolo borgo del Mantovano. Ecco perché all’inizio ero reticente, pensavo che fosse un personaggio troppo diverso da me. Poi però ho letto la scrittura della docu-fiction e mi sono convinto».
In effetti Mondadori nasce in una famiglia molto povera, anche se, fa notare Formenton, sua madre Gilda «era detta la signora, perché di modi raffinati, molto intelligente». Ma in casa non c’è da mangiare per i sei figli e così la famiglia fa quel che può. Il padre apre un’osteria a Ostiglia, la madre si arrangia. Arnoldo deve smettere di studiare per cominciare a lavorare, eppure in lui si fa strada un’ossessione che non lo abbandonerà mai. «Il libro, inteso come oggetto fisico, come elemento concreto, di carta, di inchiostro», rivela Formenton, tra i protagonisti del dibattito a Torino, domani, dal titolo L’importanza dell’investimento nella cultura e nell’editoria: Il caso Arnoldo Mondadori. «Per interpretarlo, naturalmente ho studiato la sua vita, mi sono informato», continua Placido, «e ho scoperto un altro aspetto che ci accomuna: così come per lui i libri e l’editoria sono stati una forma di riscatto dalle umili radici, così anche io mi sono rifatto con il mestiere dell’attore. Che per me è ricerca continua, esplorazione senza fine della cultura».
Già, Mondadori si impiega nella bottega di un tipografo, poi rileva una stamperia, più grande, si mette in proprio e acquisisce dimestichezza con la dimensione fisica dei volumi. Ragiona sui prezzi, sulla diffusione. Nel 1912 firma come editore il suo primo libro (Aia madama di Tomaso Monicelli), guarda all’editoria scolastica e per ragazzi, strada più sicura all’epoca. «Perché quello che poi lui inventerà, cioè un ibrido tra editoria di qualità e libri popolari, non esisteva ancora», rileva Formenton. Sì, all’epoca erano pochi gli editori come Treves che pubblicavano i best seller. Per esempio, quelli di Gabriele D’Annunzio, l’autore più letto del tempo. E così quando Arnoldo va a trovare il Vate, glielo dice molto chiaramente: «Comandante, di solito sono gli editori che danno lustro agli scrittori, ma se lei pubblica con me sarò io ad avvantaggiarmene in termini di fama». C’è un problema: D’Annunzio vuole un milione di vecchie lire. Mondadori non le ha. Però alla fine in qualche modo le trova, e così avviene la svolta. «Che poi, in seguito, vorrà dire avere nella sua squadra autori come Montale, Pirandello, Ungaretti, Hemingway», dice il nipote, «e con ognuno di essi mio nonno imbastirà rapporti personali, coltiverà amicizie, insomma, inaugurerà un nuovo modo di fare l’editore».
Un po’ come Rizzoli, il grande rivale. Ma in Mondadori persisterà sempre un’asprezza contadina, quella che
Placido ha cercato di rendere anche nei suoi aspetti più ruvidi, cosa molto apprezzata dal nipote. «Ad un certo punto della mia carriera», dice l’attore, «ho pensato che dovevo andare oltre la recitazione e così ho fondato una casa di produzione con mia moglie, Federica Vincenti. Come Mondadori, che decise di imprimere una svolta nuova alla sua carriera, esplorando l’editoria per tutti». Già, perché il sogno di Arnoldo era quello di portare un libro in ogni casa ela collana Oscar è stata la realizzazione perfetta di questa intuizione. «La sua idea si più riassumere in una frase, conclude Formenton: «mio nonno ha pubblicato D’Annunzio e Topolino, una lezione di equilibrio che mi ha sempre accompagnato, nel lavoro e non solo». Verranno poi i gialli, le riviste come Grazia, le collane più raffinate e i tanti altri progetti imprenditoriali. Però questo accostamento tra D’Annunzio e Topolino, questo sapersi destreggiare tra l’alto e il popolare, restano i cardini di Mondadori, a tutti gli effetti un uomo del Novecento.