LA VITA È SOLO FORTUNA CHI LO NEGA NON CONVINCE (CHI “PERDE” NON HA COLPA)
«La fortuna inghiotte tutto»: lo scrive Galen Strawson, un filosofo inglese che ha insegnato a lungo a Oxford. L’affermazione è forte, e va contro il nostro modo di pensare alla nostra esistenza. Ma non è detto che non sia vera. Davvero le nostre esistenze dipendono dal nostro impegno, come se fossimo noi ad avere in mano le chiavi del successo (o dell’insuccesso)? È un’idea che rischia di lasciare da parte troppi elementi. In fondo, se siamo nati poveri o ricchi, in un Paese in pace o in guerra, non è cosa secondaria. E non meno decisivi sono altri fattori come il talento naturale, le doti e le predisposizioni, o persino le caratteristiche fisiche con cui nasciamo. Tutte cose che evidentemente non dipendono da noi, ma che ci condizioneranno. Che dire poi di quello che ci accade durante gli anni in cui formiano il nostro carattere e degli incontri che facciamo? Geni, genitori, conoscenze e influenze ambientali contribuiscono tutti a determinare ciò che noi siamo. È qualcosa su cui possiamo esercitare un qualche controllo? Più ragionevole ammettere che è questione di fortuna, forse. Di più, visto che quello che facciamo, le nostre azioni, dipendono da quello che siamo, il nostro carattere, verrebbe da dire che anche le nostre azioni dipendono dalla fortuna, dal caso. Dove è la responsabilità, allora?
Un’obiezione interessante è stata sviluppata da Daniel Dennett, quando ha paragonato la nostra esistenza a una gara di corsa – non a una gara di velocità, bensì a una gara di fondo. Certo, se si trattasse dei 100 metri, chi partisse da una posizione avvantaggiata molto probabilmente vincerebbe. Ma in una maratona le differenze iniziali si assottigliano fino a scomparire. Un bravo corridore, insomma, se è davvero bravo, avrà numerose occasioni per colmare lo svantaggio iniziale, e potrà così vincere: «La fortuna si livella nel lungo periodo». Sembra un’obiezione ragionevole, ma non lo è, perché quello che succede è proprio il contrario. Con il tempo le differenze iniziali si aggravano sempre di più, arrivando a incidere su tutto, dall’educazione scolastica alle differenze di salute, fino al rischio di commettere atti criminali.
Un esempio interessante arriva da un giornalista sportivo, Malcolm Gladwell, il quale ha osservato che la maggior parte dei fuoriclasse della National Hockey League canadese erano nati tra gennaio e marzo. La ragione più semplice ha a che fare ancora una volta con il caso, la fortuna. Quando i ragazzi iniziano giocare, tra i 6 e i 7 anni, qualche mese in più o in meno fa una grande differenza; e i ragazzi nati tra gennaio e marzo sono quelli più forti: per questo giocano di più e finiscono quindi per fare meglio dei più giovani. In questo modo un piccolo vantaggio iniziale, apparentemente secondario, si rivela decisivo. Sono tesi troppo radicali? Forse sì, ma almeno ci dovrebbero invitare a essere più cauti quando diciamo che chi non ha avuto successo non può che incolpare sé stesso, come se fosse solo responsabilità sua.
L’INGLESE STRAWSON STRAVOLGE IL NOSTRO MODO DI PENSARE CON AL CENTRO RESPONSABILITÀ E CONTROLLO