Corriere della Sera - Sette

«SO TIRARE FUORI IL MEGLIO DA UNA DELUSIONE»

- DI GIULIA ZIINO

Rotto il sodalizio con l’altra bambina ribelle, l’autrice pugliese si racconta in un’autobiogra­fia che comincia con gli scatoloni da rifare, ancora una volta: da Lizzano a Los Angeles (a cena con Cate Blanchett) poi a Roma. «Scrivere di tematiche omosessual­i non significa voler parlare di sesso ai bambini, è un pregiudizi­o. Sono storie d’amore»

rancesca Cavallo non ha neanche quarant’anni e ha già vissuto mille vite: bambina «con i capelli corti» a Lizzano, Taranto, dove alle femmine devono piacere la pallavolo, le feste da ballo, le gonne («che cos’era che mi faceva sentire una contro il mondo intero?»), fuorisede a Milano, allieva alla Scuola Paolo Grassi, che scopre sé stessa grazie a un bacio dato a una compagna in una stanza in affitto, su una brandina dell’Ikea, organizzat­rice di festival indipenden­ti in Puglia, sviluppatr­ice di App che vince un concorso e parte alla conquista della Silicon Valley, attivista Lgbt. E, soprattutt­o, co-autrice del libro-fenomeno che ha sbancato l’editoria per ragazzi dell’ultimo decennio e cambiato la sua vita: Storie della buonanotte per bambine ribelli, una raccolta di favole dedicate ciascuna a una protagonis­ta femminile fuori dai ranghi. Ad oggi un milione di copie vendute in Italia e sei nel mondo e un segno indelebile — e copiatissi­mo — tracciato nella letteratur­a junior. Un record nella storia del crowdfundi­ng editoriale, bissato e superato con il volume due.

Ma chi è Francesca Cavallo? A raccontars­i, per mettere ordine in questo magma di idee e di esperienze, ora ci ha provato lei, in una autobiogra­fia appena uscita per Salani che si chiama Ho un fuoco nel cassetto. E che comincia quando Francesca — che con l’altra bambina ribelle, Elena Favilli, ha dato vita alle Storie e a quello che gira loro intorno — ne viene allontanat­a e deve fare, materialme­nte, gli scatoloni.

Il duo ribelle si è rotto, nella vita e sul lavoro, e lei ha ricomincia­to da capo un’altra volta. Com’è separarsi da qualcosa che si è fatto nascere?

«Doloroso ma sono felice di come sta andando la mia vita ora. Sono orgogliosa di aver saputo tirare fuori il meglio anche da una delusione: è la mia idea di creatività. Prima di questa esperienza ero più rigida ma i momenti difficili ti rendono più empatico. E comunque, nonostante il

Ffinale, rifarei tutto da capo».

Con Elena Favilli nel 2016 avete pubblicato un libro da sole, senza editori, lanciando una raccolta fondi in rete dalla cucina di casa vostra. Due outsider che trovano la ricetta del bestseller?

«Eravamo delle principian­ti ma non su tutti i fronti: per le Bambine ribelli ho usato tecniche di marketing imparate negli anni lavorando per sviluppare e lanciare App. Per tanti editori, ora lo so, certe cose sono ancora fantascien­za, noi invece abbiamo improvvisa­to su competenze che, nel mondo dell’editoria, vengono considerat­e cruciali — la stampa del libro, la distribuzi­one... — e abbiamo dimostrato che forse non lo sono. I principian­ti fanno questo: mettono in discussion­e dinamiche consolidat­e scoprendo che l’importanza che viene attribuita ad alcuni fattori è spesso eccessiva e che si può anche fare senza».

Come avete capito che c’era spazio per le vostre Storie?

«Avvertivam­o che c’era una fetta di genitori progressis­ti, internazio­nale, che sentiva il bisogno di leggere ai figli storie

nuove, diverse. Non volevamo parlare a una nicchia, ma trovare un nuovo linguaggio, un nuovo modo di raccontare a tutti il mondo cambiato. Le storie tra cui scegliere erano tantissime: il perimetro di realizzazi­one personale per le donne è sempre stato più limitato e sono moltissime quelle che hanno scelto di vivere rompendo gli schemi, fuori dalle regole prestabili­te». Prima di cominciare, con Elena, avevate previsto il successo?

«Ero ambiziosa, ma non potevo immaginare quello che sarebbe accaduto. A tre ore dal lancio della prima campagna di crowdfundi­ng avevamo già raggiunto il 30 per cento dell’obiettivo, 40 mila dollari, che ci eravamo prefissate: in quel momento abbiamo capito che le nostre vite stavano cambiando».

Oggi in tanti, nell’editoria, si ispirano alle Bambine ribelli (che in Italia è uscito per Mondadori), anche troppo: le secca essere così copiata?

«Spero di esserlo per tutta la vita perché significa che ho tracciato un segno e che, ora, le persone devono posizionar­si rispetto a quello e non ai segni tracciati dai conservato­ri. Quello che voglio, con le mie storie, non è fare a cazzotti con il patriarcat­o ma renderlo obsoleto: dopo il successo delle Bambine ribelli, tanti librai mi hanno detto di aver dovuto creare nuove sezioni nelle loro librerie. Abbiamo aperto un filone che non c’era e non si può più tornare indietro».

Prima delle Bambine ribelli, lei aveva lavorato nel teatro, organizzat­o un Festival dell’Immaginazi­one portando in un paesino della Puglia gente dalla Nuova Zelanda, lanciato un progetto per un parco giochi replicabil­e: qual è il filo che lega tutto?

«La scrittura: per me è come una cassetta degli attrezzi. Mi ha sempre affascinat­o la capacità poietica, creatrice delle parole. Tutto passa dalle parole: parlando con gli altri, articoland­o un progetto, spiegandol­o, si creano occasioni di conoscenza, relazioni. Scrivere genera incontri, cortocircu­iti. A Melbourne, per esempio, ho una comunità di lettori molto forte: vengono ai firmacopie e poi vanno a cena insieme, si sono conosciuti così, stando in fila. Sono una scrittrice ma anche un’imprenditr­ice e non mi fermo ai libri: quello che mi interessa è raccontare una storia nella forma migliore per lei: che sia podcast, libro o cartone, è sempre la storia a guidarmi». Ora ha deciso di raccontare la sua, di storia. Da Lizzano a Los Angeles — a cena con Cate Blanchett — a Roma.

«Questo libro, la mia vita, non è uno di quei film a lieto fine sul pugile che si emancipa da un contesto difficile: nel mio caso, il motore di tutto non è stata la fuga ma la curiosità, è la curiosità che mi porta in contesti diversi. Vengo da un paese piccolo ma nella mia famiglia non ci si preoccupav­a di quello che pensa la gente: sentivo le mie compagne di scuola lamentarsi delle continue chiacchier­e, le vedevo stare attente all’opinione dei compaesani, io sono andata all’università, negli Stati Uniti, sempre spinta dalla curiosità e non perché sentivo di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. Ho sempre cercato di prendere il meglio da tutte le situazioni che mi trovavo davanti, restando me stessa, autoironic­a. E così me le sono godute». La sua è anche una storia di ricerca della propria identità. Oggi, rispetto a trent’anni fa, è più facile per i ragazzi essere sé stessi?

«Negli ultimi anni ho visto enormi progressi nel modo in cui vengono affrontate le tematiche Lgbt. Quando eravamo adolescent­i noi non c’erano i social, non avevamo accesso a tante informazio­ni, ora c’è più consapevol­ezza. Anche a Lizzano hanno organizzat­o un pride: vedendo i ragazzi in piazza con le bandiere arcobaleno ho provato orgoglio ma anche rabbia, per quello di cui sono stata privata alla loro età. Oggi, però, più che l’omofobia mi preoccupa la misoginia: al Sud ci sono pregiudizi ancora molto radicati, c’è un lavoro enorme da fare sull’immaginari­o».

Negli Usa molte scuole mettono al bando libri sulle tematiche Lgbt.

«Sicurament­e oggi la società è più inclusiva ed è naturale che ci siamo dei colpi di frusta da parte di chi tenta di riportare indietro le cose. Un pregiudizi­o mi sono accorta di averlo anche io: scrivendo di tematiche omosessual­i, mi sembrava di voler parlare di sesso ai bambini. Ma non è così: nelle storie si è parlato sempre di amore, di matrimonio e non per questo ci è mai sembrato di parlare di sesso ai più piccoli».

Dopo le Bambine ribelli, ha scritto ancora. Qual è la sua prossima sfida?

«La mia casa editrice, Undercuts, e i suoi progetti: storie di diversità, di crescita, capaci di aiutare i bambini».

«CON I MIEI RITRATTI NON VOGLIO FARE A CAZZOTTI CON IL PATRIARCAT­O, MA RENDERLO OBSOLETO. ABBIAMO APERTO UN FILONE CHE NON C’ERA E NON SI PUÒ TORNARE INDIETRO»

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FAVILLI) HANNO VENUTO 6 MILIONI DI COPIE NEL MONDO
LA COPERTINA DI HO UN FUOCO NEL CASSETTO (SALANI) AUTOBIOGRA­FIA DI FRANCESCA CAVALLO. LE SUE STORIE DELLA BUONANOTTE PER BAMBINE RIBELLI (SCRITTE CON ELENA FAVILLI) HANNO VENUTO 6 MILIONI DI COPIE NEL MONDO
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