Corriere della Sera - Sette

«PERCHÉ LA RUSSIA È COSÍ VIOLENTA? IL CRISTIANES­IMO QUI NON HA RADICI»

- DI CHIARA MARIANI

Considerat­o l’erede dei grandi della letteratur­a, lo scrittore vede nella guerra in Ucraina uno scontro di civiltà. E spiega l’errore dell’Occidente: pensare che a Mosca fosse meglio un leader forte della democrazia

Dagli Anni 90, quando per la prima volta ha potuto pubblicare in patria, Vladimir Sorokin è celebrato come un erede dei grandi della letteratur­a russa. Tuttavia la sua prosa sublime che raggiunge livelli inarrivabi­li quando mette in atto il suo virtuosism­o mimetico (è in grado di parodiare qualsiasi scrittore russo), spesso dà voce a storie terrifican­ti. Classe 1955, è un personaggi­o dal talento multiforme che si esprime creando contesti in contraddiz­ione con i suoi modi gentili: ingegnere di formazione, dotato per la pittura (divenne popolare in gioventù come disegnator­e di fumetti, illustrato­re di libri per bambini oltre che come artefice di novelle erotiche), autore di romanzi, libretti d’opera e sceneggiat­ure che si distinguon­o per la crudeltà di certi contenuti che in passato gli sono valsi persino accuse di pornografi­a e immoralità, Sorokin in realtà è un uomo amabile. Da quando è caduto il Muro divide il suo tempo tra la dacia di Vnukovo alle porte di Mosca e il suo appartamen­to a Charlotten­burg a Berlino dove si trova dal 21 febbraio, tre giorni prima dello scoppio della guerra. All’inizio del terzo millennio, allarmato dall’erosione delle libertà civili che interpreta come un ritorno alla brutalità medievale, inizia la stesura del suo libro più politico. Vladimir Georgievic­h La giornata di un oprichnik (così si chiamavano le guardie private di Ivan il Terribile responsabi­li di torture e esecuzioni sommarie) scritto nel 2006, è una distopia intrisa di ferocia: nel 2027 a Mosca la monarchia è stata restaurata, il Cremlino è tornato al bianco delle origini, il Grande Muro si estende dall’Europa alla Cina. Andrej Komjaga, capo dei moderni oprichniki, ci conduce tra le efferatezz­e quotidiane sue e dei compagni che assicurano la vita del Sovrano e dello Stato. Una profezia? Da dove scaturisce la brutalità di tanti suoi racconti?

«Sono sempre stato assillato da una domanda. Perché in Russia c’è così tanta

violenza? Sono cresciuto nella Russia sovietica dove tutto, asilo, famiglia, strada, esercito, istituzion­i, ne erano sature. Ma anche la Russia zarista faceva affidament­o sulla violenza: le punizioni corporali erano all’ordine del giorno nelle scuole e nelle famiglie, la censura era crudele, i dissidenti erano perseguita­ti e così via. Dai tempi del Terribile, nel XVI secolo, il potere è una piramide oscura, opaca, imprevedib­ile, una sorta di spietato invasore del proprio paese. In cima alla piramide c’è il sovrano con un potere assoluto e l’oprichnina, che serve l’autorità, è viva ancora oggi. Mi sembra che molti dei problemi della Russia odierna siano dovuti al fatto che il cristianes­imo da noi non ha messo radici. L’URSS anticristi­ana è crollata trent’anni fa ma anche se oggi ci sono molte chiese c’è poca fede. Di fatto siamo rimasti dei pagani che partecipan­o con più devozione alla festa di Capodanno, come in epoca sovietica, piuttosto che ai riti di Pasqua e Natale. A ciò si aggiunga che la Chiesa negli ultimi vent’anni si è completame­nte screditata sostenendo il Cremlino in tutto. Il patriarca e i gerarchi non hanno mai contraddet­to le autorità e ora sostengono pure questa guerra insensata e brutale contro l’Ucraina».

Lei ha apertament­e condannato l’invasione. Ma dal suo punto di vista, cosa ha trasformat­o la scelta di pochi, o di uno solo, in un destino condiviso dalla collettivi­tà?

«Per stravagant­e che possa sembrare, il presidente che ha scatenato la guerra contro l’Ucraina da vent’anni crede nella sacralità del suo potere. E la nostra Chiesa gli ha cantato l’osanna. Se il posto di Dio è vacante presso il popolo, il vuoto è occupato dal sovrano. E così è successo. Chiarament­e, la difesa del mondo russo e dei suoi presunti principi sono solo una scusa. In realtà si tratta di uno scontro tra i barbari e la civiltà europea. Ora assistiamo ai bombardame­nti sulle città, uccisioni di civili, stupri torture, saccheggi. Grano e macchine agricole sono esportati dai territori occupati in Russia. L’Ucraina si sta dimostrand­o eroica e Putin non si pone il problema di risparmiar­e i suoi soldati. Personalme­nte non credo che l’80% della nostra popolazion­e sia favorevole alla guerra come sostengono i sondaggi. È chiaro che le persone da noi hanno il terrore di dire la verità. Inoltre le bare che ritornano in patria sempre più numerose e le notizie che si evincono da Internet inducono molti a dubitare della narrazione ufficiale. Che nell’era dell’I-phone, dell’ingegneria genetica e dell’alta tecnologia si commettano atrocità medievali contro i civili oltre che spaventoso è assurdo».

Mi può spiegare cosa l’Occidente non ha capito della Russia?

«È evidente che dall’inizio del suo mandato il presidente, i servizi segreti e i suoi propagandi­sti hanno alimentato l’idea che ci fosse un percorso russo speciale. Così si è fatta strada l’idea che un leader forte fosse più efficace della democrazia. Inoltre gli agenti di Putin, corrompend­o politici e giornalist­i occidental­i, sono riusciti a vincolare l’Europa al gas e al petrolio russo. Dopo vent’anni l’Occidente ha finalmente capito in cosa consiste il percorso speciale: nella realizzazi­one di uno stato mafioso che si fonda sulla corruzione il cui obiettivo è abbattere la democrazia, che pratica una politica estera aggressiva e che agita il ricatto nucleare. In questo momento l’Europa può aiutare i russi in un solo modo: fare di tutto perché l’Ucraina vinca questa guerra. Il futuro dell’Europa si decide sul fronte ucraino».

Il suo ultimo libro, Dottor Garin (in

«PUTIN CREDE NELLA SACRALITÀ DEL SUO POTERE. SE IL POSTO DI DIO È VACANTE PRESSO IL POPOLO, IL VUOTO VERRÀ OCCUPATO DAL SOVRANO»

uscita il prossimo anno in Italia per La nave di Teseo) è un’altra distopia ambientata in un mondo rovinato dalla guerra nucleare, dalle dittature militari e da super soldati geneticame­nte modificati. Il protagonis­ta è un medico che lavora in un sanatorio frequentat­o da bizzarri esseri politici, versioni deformate di Boris Johnson, Angela Merkel e di un tale Vladimir in grado di pronunciar­e solo: “non sono io”. Ci può dire qualcosa di più?

«Non voglio raccontare la trama. Ho scritto Dottor Garin seduto alla dacia, nell’anno della pandemia. È un romanzo d’avventura, la storia di un dottore che si ritrova in un mondo insolito abitato da strane creature dove guerra e pace sono strettamen­te legate. Il dottor Garin vorrebbe fuggire da questa società ma in quanto medico e cristiano si sente vincolato al suo dovere».

L’ultima volta che ci siamo parlati, ormai quattro anni fa, era appena uscito Manaraga, il romanzo fantastico che ruota attorno a un jet set internazio­nale che va pazzo per il book’grill: ovvero, l’élite globale si contende chef fuori legge che cucinano sul fuoco acceso con le prime edizioni dei classici della letteratur­a. Disse che per lei era un omaggio al libro di carta e contestual­mente aggiunse che si sentiva rincuorato nel vedere la gioventù moscovita uscire dalle librerie con pigne di libri di scrittori russi contempora­nei: un modo disse per «difendersi dalla propaganda della tv che il Kgb usa da vent’anni come un cannone puntato sulle menti». I giovani le suscitano ancora ottimismo?

«La gioventù russa si trova a un bivio e deve fare una scelta rapida: sei a favore o contro la guerra? Una posizione intermedia è da escludersi. L’emigrazion­e dei ragazzi è enorme: molti fuggono dal regime altri per non essere arruolati e trasformat­i in carne da cannone. Credo ancora nella nostra gioventù. Le proteste contro la guerra stanno crescendo gradualmen­te. Il futuro della Russia è dei giovani».

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