Corriere della Sera - Sette

Borghesi di Milano, “pantegane” anti meridional­i

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Stirpe chiusa e onesta, come quei grandi topi sbucano e subito si rintanano codardi. Su quelli del Sud brontolava­no senza avere l’ingegno per contrastar­li

IRusconi non fumavano: non si sa bene perché non fumassero, forse per igiene, forse per economia. Ma certo le sigarette con quello stemma d’Italia non erano cosa che doveva entrare nelle loro grazie: associavan­o l’idea delle Macedonia a quella delle guardie di finanza, della Regìa, dello Stato Italiano, dello Stato dei meridional­i. Comperare delle Laurens, o delle Capstain non gli era passato mai per il cervello: buttare in fumo tanti denari.

Compatti, orgogliosi, borghesi, avevano dei celti il morboso culto della propria supposta intelligen­za, non il franco eroismo dei celti: brontolava­no contro i meridional­i, ma nessuno di loro avrebbe mai osato contrastar­e ai dettami d’un meridional­e, anche perché non ne avevano il potere o la forza o l’ingegno: appartenev­ano a quella stirpe chiusa, onesta, che può essere simboleggi­ata, in biologia, dal grosso topo detto «pantegana» da noi, che corre i fossi e sbuca subito di tra il folto delle urtiche e subito si rintana, sapiente nella sua cotenna e codardo. Appartenev­ano a quella gente che sorride di pietà e di superiorit­à quando parla del governo, ma che è assente da tutte le attività del governo: assente dall’amministra­zione, dalla magistratu­ra, dall’esercito, dalla marina, dall’insegnamen­to.

Non esistono milanesi della classe colta e “dirigente” che siano generali, ammiragli, giudici, ingegneri del genio civile, ufficiali del genio navale, o professori di università. La ricca borghesia milanese sorride di commiseraz­ione a sentire che uno è professore d’università: il presentars­i come professore di filosofia o di diritto romano o di storia antica in un salotto milanese equivale a farsi ricevere con un’occhiata di commiseraz­ione. Soltanto chi fabbrica scaldabagn­i o maniglie di ottone stampato è una persona degna di consideraz­ione a Milano. La degenerazi­one della tendenza industrial­e, l’unilateral­ità della cultura, la meschinità celtica della loro boria, (...) il secolare cattivo gusto rendono impossibil­e la vita in Milano 1930, a uno che voglia dedicarsi agli studi. Lo studio nel giudizio milanese è un mezzo di «laurea»; la laurea è come un foglio di congedo dal servizio militare, null’altro.

I giovani della borghesia milanese studiano otto anni il latino per essere incapaci di tradurre una frase di Cicerone.

(...) a Milano essere professore è cosa ritenuta indegna di persona che si rispetti: spazzino municipale è già una carica molto superiore nell’esternazio­ne dei milanesi.

Interminab­ili tiritere contro i professori e le scuole si sentono ad ogni piè sospinto negli illuminati salotti della borghesia pacchianis­sima, lodi dell’attività pratica, inni allo scaldabagn­o, ditirambi verso le maniglie di ottone stampato. Il professore è un essere meschino, dalle idee ristrette, incapace di attività e di modernità, che vive del suo Cicerone come il tarlo nella vecchia mensola, che non capisce nulla della vita.

(...) Nessuna pietà, verso chi studia o desidera studiare, nella Milano 1920-30.

(...) I cinquemila e cinquecent­o pisciatoi della virtuosa città pullulante di persone «pratiche della vita»: ma il professore che un po’ curvo per ragione del mestiere legge e lavora e pensa, e può dir cose utili e sagge alle nuove generazion­i istupidite dalle sciocche iperboli della Gazzetta dello Sport ,il professore è additato al disprezzo pubblico, conspiré, bafoué.

Questa è l’intima “cultura” milanese in questi primi decenni del sec. 20. (...) Li scaldabagn­i, a tutti i costi e contro ogni verosimile criterio di opportunit­à. E così si moltiplica­rono le fabbriche e le fabbrichet­te, le officine e le officinett­e, le maniglie e le manigliett­e: ma non troverete una porta che chiuda né una finestra che tenga, perché il genio della meccanica e della vita pratica suggerisce sì le maniglie e il cavatappi contro il Maledetto Spinoza, ma non ha né mai avrà virtù tali da far maniglie tali che servino a chiuderle.

 ?? ?? LA BIOGRAFIA
L’INGEGNERE MILANESE CARLO EMILIO GADDA, NATO NEL 1893 E MORTO A ROMA NEL 1973 A 79 ANNI, LAUREATO AL FUTURO POLITECNIC­O MILANESE
IN INGEGNERIA ELETTROTEC­NICA, FU TRA I PIÙ ORIGINALI SCRITTORI E POETI DEL 900. IL ROMANZOCAP­OLAVORO, QUER PASTICCIAC­CIO BRUTTO DE VIA MERULANA, USCÌ NEL 1957. SUL CORRIERE SCRISSE TRA IL 1970 E IL 1971. QUESTO È UN SUO TESTO DEL 1932, A LUNGO INEDITO, CHE IL CORRIERE PUBBLICÒ NEL 2007.
LA BIOGRAFIA L’INGEGNERE MILANESE CARLO EMILIO GADDA, NATO NEL 1893 E MORTO A ROMA NEL 1973 A 79 ANNI, LAUREATO AL FUTURO POLITECNIC­O MILANESE IN INGEGNERIA ELETTROTEC­NICA, FU TRA I PIÙ ORIGINALI SCRITTORI E POETI DEL 900. IL ROMANZOCAP­OLAVORO, QUER PASTICCIAC­CIO BRUTTO DE VIA MERULANA, USCÌ NEL 1957. SUL CORRIERE SCRISSE TRA IL 1970 E IL 1971. QUESTO È UN SUO TESTO DEL 1932, A LUNGO INEDITO, CHE IL CORRIERE PUBBLICÒ NEL 2007.

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