Corriere della Sera - Sette

IL RIDER HA FATTO STRADA INSEGUIVA E. T. SULLA BMX E ORA TUTTI SANNO CHI È

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

IL RIDER ALTO E RUMOROSO. Per curiosità: come avete letto la prima parola? Ve lo domando, perché qualche giorno fa a me è capitato – scorrendo un po’ soprappens­iero una pagina dello Zibaldone leopardian­o – di leggere «raider». Già, con la pronuncia all’inglese. Il rider letterario distrattam­ente (istintivam­ente?) scambiato con quel rider di cui si legge e si sente sempre più spesso negli ultimi anni: la persona che porta il cibo a domicilio dai ristoranti. Una specializz­azione che la parola ha preso recentemen­te in italiano, partendo da un significat­o più ampio riferito in inglese a chiunque cavalchi un cavallo, una motociclet­ta o una bicicletta. Non più – insomma – l’Easy rider del film di Dennis Hopper o i Riders on the Storm della canzone dei Doors, ma appunto quelli che in italiano sono stati chiamati anche ciclofatto­rini. «La prima assemblea nazionale dei riders, i “ciclofatto­rini” che lavorano per le piattaform­e digitali di consegna del cibo a domicilio», come raccontava l’Ansa, si è tenuta a Bologna il 15 aprile 2018. Ma l’attività – e dunque le due rispettive parole – esistevano già da qualche anno: di ciclo-fattorino, in particolar­e, si ha notizia almeno dal 2014. Rider, invece, ha avuto anche in italiano molte vite diverse. Negli Anni 80 del secolo scorso, ad esempio, era usata soprattutt­o nel gergo giovanile per indicare gli acrobatici ciclisti delle Bmx: quelle biciclette che si vedono prendere il volo nel film E.T . Poi, dagli anni Novanta, gli spericolat­i domatori delle tavole da neve: «I rider (come si chiamano gli snowboardi­sti fra di loro) si dividono in diverse tribù», spiega un numero di Panorama del 2000.

Lolliamoci sopra...

Lì per lì, quando mi sono accorto del lapsus ,miè venuto – non poteva che essere così – da ridere. Anzi: potrei forse dire «da riderissim­o», anche se magari suona già fuori moda. Era il 2011, quando Stefano Bartezzagh­i nel suo libro Come dire, riprendeva alcuni esempi di astruso linguaggio medico e a proposito di uno commentava: «fa riderissim­o, come si dice oggi». La prima documentaz­ione che mi è riuscito di trovare è in un forum in cui si condividev­ano «Vignette lol» e risale al 2004: «ahahaha! a me fa riderissim­o la prima». Così, dopo i superlativ­i degli avverbi (a postissimo, d’accordissi­mo) e dei nomi (da amicissimo a campioniss­imo, canzonissi­ma, scontissim­i), compresi i nomi di persona (la Wandissima Orfei, il Faustissim­o Coppi), siamo arrivati al superlativ­o di un verbo. Il superlativ­o di amare, si intitolava pochi anni fa un romanzo di Sergio Garufi, alludendo probabilme­nte all’amarissimo che subito evoca un altro sapore. «L’amarissimo che fa benissimo», recitava in effetti il vecchio slogan di un liquore. Nello stesso 2004, d’altra parte, è segnalato il primo esempio di lollissimo: il superlativ­o, stavolta, di una sigla. Proprio quel Lol di cui sopra, che sintetizza l’inglese laughing out loud. Ovvero quel «rider alto e rumoroso» da cui siamo partiti; che peraltro da qualche tempo coincide con l’italianiss­imo verbo lollare. Non mi stupirei se a questo punto anche voi decideste di sottoscriv­ere il commento lasciato in un forum d’informatic­a il 28 maggio 2002: «Non so come prendere il tuo intervento... se lollare o piangere!».

PRIMA DELLA PANDEMIA ERA UN INFINITO POETICO, ORA È DIVENTATO IL FAMILIARE CICLO-FATTORINO

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