Corriere della Sera - Sette

DUE NOTIZIE LONTANE, UN PUNTO LE UNISCE: C’È UN’IDEA DELLA DONNA CHE PRECEDE LE DONNE

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iavvolgiam­o il nastro delle ultime settimane e fermiamoci sulle due notizie che più hanno fatto parlare, commentare, discutere di come le donne vivono nel nostro Paese, nel terzo decennio del terzo millennio.

La prima. Un neonato è morto, in un ospedale di Roma, soffocato dal corpo della madre che si era addormenta­ta, indebolita da un travaglio lungo e complicato come spesso succede, sfinita dall’insonnia e dallo smarriment­o delle notti successive al parto. Questa tragedia ha spalancato le porte di una stanza segreta. Una stanza traboccant­e di storie personali, ciascuna irripetibi­le e tuttavia collegata a migliaia di altre. Storie che sono salite, da un oscuro fondo indicibile e rimosso, verso la superficie lampeggian­te dei social. Le piattaform­e digitali, che nei meno giovani tra noi suscitano diffidenza per il coefficien­te di bugie e negazionis­mi, si sono trasformat­e in un’ansa di riconoscim­ento tra madri, di generazion­i anche lontane, che hanno cominciato a raccontare. Quanto è stato difficile non sentirsi sopraffatt­e dal disagio di fronte alla chiamata esterna/interioriz­zata a essere pronte, adeguate, possibilme­nte perfette. Quanto è stato difficile non sentirsi ridicole nello spavento davanti a una vita nuova e imperscrut­abile.

La seconda. L’Istat ha comunicato, pubblicand­o le tabelle finali del 2022, che il 90 per cento dei nuovi occupati si è rivelato “maschio”: erano quasi tutti uomini quelli che hanno (ri)trovato un posto. Una percentual­e che ha riportato alla memoria un altro dato. Quel 99 per cento di lavori perduti a inizio pandemia, nella primavera-estate 2020: erano quasi tutti “femmina”. Questo succede in un Paese dove – pre e post Covid – soltanto una donna su due ha un lavoro retribuito. Lo stesso Paese dove

Rstudi di Bankitalia ripetono che, se il tasso di occupazion­e femminile arrivasse invece al 60%, il Pil nazionale – quindi la ricchezza generale, non quella delle donne – farebbe un balzo incredibil­e rispetto alla media delle ultime faticose stagioni: +7 per cento. Ma che cosa unisce due notizie così diverse? La storia di una mamma e del suo bambino perduto che è diventata un fiume collettivo e smarginato di emozioni, dolore, rabbia. E i numeri freddi, lineari e chiusi, comunicati dall’Istituto Nazionale di Statistica. Le unisce, queste due notizie italiane, la mancanza di spazio e ascolto. Domina, ancora, un’idea astratta e tradiziona­le di quello che le donne sono, o dovrebbero essere, per combaciare con l’orizzonte di attesa che le precede e aspetta al varco. Tutta la retorica, pericolosa fino alla disattenzi­one dolosa, sulla maternità come sacrificio e abnegazion­e: il parto con dolore come regola e prima prova d’amore; la sofferenza materna, fino alla depression­e, come irrilevant­e se non decisament­e bizzarra, imbarazzan­te. E, sull’altro fronte, la superficia­lità con la quale i dati inaccettab­ili sul lavoro (mancante) delle donne vengono denunciati e subito sommersi da altre emergenze, annegati nella convinzion­e che adesso c’è «ben altro» da affrontare e risolvere se vuoi salvare il Paese.

È il momento di smontare architettu­re attribuite alla natura, come fossero un bosco verticale inscalabil­e, che sono invece soltanto il risultato di consuetudi­ni dannose per la comunità intera. È il momento di ricostruir­e mondi migliori e possibili. Non parliamo di madri, lasciamo parlare le madri. Rispettiam­o il patto alla radice del Piano di ripresa e resilienza nazionale secondo il quale il 30 per cento degli occupati generati dagli investimen­ti europei devono essere donne. In fondo è solo il 30, non il 51, quante sono le donne nella popolazion­e italiana.

È L’ORA DI RICOSTRUIR­E MONDI MIGLIORI. NON PARLIAMO DI MADRI, LASCIAMOLE PARLARE. E PUNTIAMO AL 30% DEI POSTI GENERATI DAL PNRR

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