ZELENSKY A SANREMO LA GRANDE BANALIZZAZIONE (ANCHE DEL DIBATTITO)
SETTE E MEZZO Ogni sette giorni sette mezze verità.
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Cara Lilli, sento il prof. Montanari dolersi della strumentalizzazione del dolore a proposito del video di Zelensky a Sanremo ponendo la questione sullo stesso piano dell’invio delle armi all’Ucraina. Sono stanca dell’ipocrisia di chi sbandiera solidarietà ma poi è contrario agli aiuti militari e auspica accordi “di pace” che Putin non vuole.
Paola Antonelli paolaantonelli18@gmail.com
ormai, anche se non si dice apertamente, siamo in guerra contro la Russia! Per giustificare l’invio di armi e soldi all’Ucraina, il refrain era (ed è) sempre lo stesso: tra un
Paese aggressore e un altro aggredito noi stiamo dalla parte del Paese aggredito. Ma si può dire che in questa guerra c’è quantomeno un concorso di colpa dell’occidente?
Maurizio Giordani mauriziogiordani49@gmail.com
penso che la presenza di Zelensky nella serata finale del Festival di Sanremo sia, soprattutto per la causa ucraina, un errore fatale. Gli italiani sono stufi di pagare il conto di una guerra che si poteva benissimo evitare.
Mauro Chiostri mauro.chiostri_2021@virgilio.it
Cari lettori, ricondurre la polemica sulla presenza di Zelensky a Sanremo all’ennesimo derby fra “filo-putiniani” e “atlantisti” racconta purtroppo l’infimo livello che il dibattito pubblico italiano — politico e non — riesce a raggiungere. Il leader ucraino è un consumato comunicatore visti i suoi trascorsi da attore, e si può discutere sull’opportunità della sua partecipazione all’ultima serata del Festival della canzone italiana. Penso che il rischio sia la grande banalizzazione di una tragedia come la guerra, inghiottita come una pillola emozionale di due minuti in una scaletta televisiva che alterna canzoni in gara, spareggi, classifiche e magari l’intervento di un comico. Il contesto spesso determina il testo. Non c’è neanche molto da stupirsi: Zelensky ha preso parte già ai Golden Globes e ai Festival di Venezia e di Cannes, tenere alta l’attenzione pubblica verso la sua causa è fondamentale. Siamo ormai tutti consapevoli, Zelensky per primo, che in ogni conflitto la prima guerra da vincere è quella della propaganda. L’aspetto militare segue.
Colpisce la semplificazione del tema, a prescindere dalla questione sanremese: soprattutto noi giornalisti dovremmo ancorarci ai fatti, fuggire dalle schematizzazioni — appunto pro o contro Putin — e restituire frammenti di realtà di una tragedia enorme, dove il dietro le quinte è sempre difficile da individuare e raccontare, con poche emozioni e tanti interessi in campo. La decisione occidentale di continuare a inviare moderni armamenti dimostra in modo chiaro che Usa e Russia vogliono proseguire in una escalation “controllata”, col risultato di prolungare sine die un conflitto che fa più male all’Europa che all’America. Con l’Italia doverosamente ancorata al patto atlantico, non avrebbe comunque altra scelta. È altrettanto chiaro che i segnali dalle stanze del potere allontanano le parole di pace del Papa. Perché a parlare di “pace” è di fatto rimasto solo Francesco, mentre gli attori sulla scena bellica preferiscono parlare di “vittoria”. Non un grande progresso dopo un anno di guerra.
IL CONTESTO SPESSO DETERMINA IL TESTO A PARLARE DI “PACE” È RIMASTO DI FATTO SOLO PAPA FRANCESCO