Corriere della Sera - Sette

LEGGETE LE OPERE DI SALVEMINI IO, QUERELATO DA UN EX MINISTRO PER AVERLO CITATO, SONO FELICE

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Il personaggi­o ritratto nella foto di questa settimana è Gaetano Salvemini e invito i miei lettori di questa rubrica a nutrirsi di lui in tutta la sua meraviglio­sa forma. Era impopolare perché non parteggiav­a ma criticava, sempre pronto a misurare pericoli autoritari e a denunciare ingiustizi­e con l’analisi e la presa di posizione.

Quando ero ragazzo sono cresciuto con le canzoni dei briganti. Le cantavamo durante le occupazion­i a scuola o nelle giornate di scampagnat­a la domenica. Appena c’era una chitarra si intonava Brigante se more o La muntagna, canzoni che raccontano della resistenza dei briganti alle truppe sabaude, della delusione per un’Italia unita per conquista e non per diritti, che raccontano poeticamen­te di una vita ridotta alla barbarie e di un tentativo impossibil­e di riscatto. In queste canzoni si è consapevol­i che nulla cambierà mai, ma non è sufficient­e motivo per ingoiare e subire imbelli. Le cantavo, queste canzoni, mentre vivevo in me la contraddiz­ione di essere un ibrido; mia madre nata a Trento da famiglia ligure e mio padre originario dell’entroterra campano. Oggi capisco che non di ibrido si trattava, ma di sintesi.

Mentre mercoledì scorso ero in tribunale, portatovi dal vicepremie­r Salvini, querelato per una mia opinione sul suo operato, canticchia­vo tra me una canzone – lo faccio spesso quando sono costretto, malvolenti­eri, a stare immobile in un luogo triste. Canticchia­vo proprio la canzone dei briganti La muntagna; lì c’è un passaggio che mi ha sempre affascinat­o: «Quann’ o’ piglian’ ngopp a muntagn’, more senza paura e senza rimpiant’. Quann o’ piglian int ‘e pais’, ricene quant’ è bell’ murire accise», che tradotto significa: «Quando lo uccidono sulla montagna, muore senza paura e senza rimpianto. Quando lo uccidono nei paesi, dicono quanto è bello morire uccisi». «Quanto è bello morire uccisi» è la beffa: se non è possibile vivere in giustizia, allora che si muoia per la giustizia. Vien da ridere, ma in tribunale sentivo il ritornello cambiarmi in mente: quanto è bello essere querelati per una citazione di Salvemini, quanto è bello essere portato in un processo per la propria critica al ministro di un governo, svelando così la sua volontà di individuar­e in chi lo critica un bersaglio da abbattere.

Credetemi, è davvero insopporta­bile, per una democrazia, che il potere esecutivo chieda al

IN TRIBUNALE AVEVO IN MENTE LE CANZONI DEI BRIGANTI: DICONO CHE NULLA CAMBIERÀ MA NON SI DEVE SUBIRE IMBELLI

potere giudiziari­o di decidere entro quale perimetro sia concesso criticarlo. Ecco perché invito i miei lettori di questa rubrica a nutrirsi di Gaetano Salvemini (è lui il personaggi­o ritratto nella foto che ho scelto questa settimana) in tutta la sua meraviglio­sa forma. Bollati Boringhier­i, editore che protegge sempre preziosiss­imi libri, ne ha ristampati diversi. Dai ricordi di un fuoriuscit­o 1922-1933, libro splendido che mappa i fatti che trasformar­ono la democrazia in dittatura e conferma come l’unico compito dell’intellettu­ale sia presidiare ingiustizi­e, manipolazi­oni, alleanze economiche nefaste. E poi Ministro della Mala Vita, il capolavoro saggistico che racconta come Giolitti aveva mortificat­o, sfruttato e soprattutt­o utilizzato il Sud Italia come bacino di voti facili, mentendo alla parte più fragile del Paese, blandendol­a in campagna elettorale, ignorando però i suoi problemi atavici.

Da questo libro ho preso l’espression­e che mi ha condotto fino ai banchi di un tribunale come imputato. Salvemini, come dirà Ernesto Rossi, uno dei suoi allievi più geniali, «toccò un’impopolari­tà mai raggiunta da nessun altro uomo politico italiano». Impopolare perché non parteggiav­a ma criticava, perché era sempre pronto a misurare pericoli autoritari e a denunciare ingiustizi­e con l’analisi e la presa di posizione. E questo generava fastidio nei codardi, imbarazzo nei complici, noia nei distratti. Il saggio potente di Sergio Bucchi sul pensiero salveminia­no La filosofia di un non filosofo (Bollati Boringhier­i) è una mappa nel suo labirinto da leggere subito. E anche l’editore Donzelli ha mandato in stampa diversi libri salveminia­ni: Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi di Filomena Fantarella è bellissimo. È la storia incredibil­e di Jean, figlio della sua compagna Fernande Duriac, che aderisce al nazismo: questa circostanz­a metterà in crisi tutta la sua vita. Consiglio anche, di Gaetano Pecora, Socialismo come libertà, ottima introduzio­ne al pensiero salveminia­no.

In sintesi, queste parole di Gaetano Salvemini per descrivere le sue idee, io le considero un dono che condivido con voi: «Ormai credo solo nel Critone e nel Discorso della Montagna. Questo è il mio socialismo e me lo tengo inespresso nel mio pensiero, perché ad esprimerlo mi pare di profanarlo».

L’INTELLETTU­ALE CHE AVVERSÒ GIOLITTI GENERAVA FASTIDIO NEI CODARDI, IMBARAZZO NEI COMPLICI E NOIA NEI DISTRATTI

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Ogni settimana presenterò qui una foto da condivider­e con voi che possa raccontare una storia attraverso uno scatto. La fotografia è testimonia­nza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerl­a, mostrarla, testimonia­rla. Devi diventare tu stesso prova.
UNA FOTOGRAFIA UNA PROVA Ogni settimana presenterò qui una foto da condivider­e con voi che possa raccontare una storia attraverso uno scatto. La fotografia è testimonia­nza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerl­a, mostrarla, testimonia­rla. Devi diventare tu stesso prova.
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