Corriere della Sera - Sette

Sventola il tricolore, nell’aria risuona Mameli La felicità di Trieste che torna città italiana

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Per la prima volta dall’8 settembre 1943 due grandissim­i bandieroni bianco, rosso e verde sono stati innalzati in piazza dell’Unità, affollata di triestini commossi: soltanto un luogo dove si è sofferto per molti anni in nome di questi colori poteva avere così tanti vessilli su cento, mille finestre. E mentre gli altoparlan­ti cominciava­no a diffondere le note dell’inno, lunghe code di cittadini aspettavan­o di ricevere le coccarde davanti alle sedi dei partiti

Alle 14 esatte di oggi, 5 ottobre 1954, i due grandissim­i bandieroni italiani sono stati innalzati sui due alti pili di piazza dell’Unità. È la prima volta dopo l’8 settembre 1943 che il tricolore sventola libero nel cielo di Trieste. Il Governo militare alleato ha autorizzat­o ufficialme­nte questo alzabandie­ra. Il gen. Winterton, personalme­nte, ha annunciato alla popolazion­e il passaggio dei poteri agli italiani. Un reparto di polizia amministra­tiva, un reparto di vigili del fuoco e una fanfara hanno reso gli onori ai limiti della piazza affollata di triestini commossi. I colori nazionali sono saliti lentamente verso la punta lucente dei pennoni alabardati. La vecchia bandiera, che salutò lo sbarco italiano del 1918, ha preceduto di poco l’altra nuovissima, preparata per questa nuova «liberazion­e». Contempora­neamente sulla sommità del Colle di San Giusto è pure sventolato il tricolore.

Sono cominciate così le prime ore italiane di Trieste, sotto un cielo grigio di nubi, nella luce immobile di un incerto autunno, di fronte alla deserta distesa del mare che non è percorso dalle nostre navi. Il molo Audace è però pieno di bandiere simile a trentasei anni fa. Sarà difficile dimenticar­e questa striscia di pietra gremita di triestini che aspettano l’Italia un’altra volta dal mare. Difficile non fermare nella memoria questa immagine tenue, nella bianca luce pomeridian­a, che tanto assomiglia alle vecchie fotografie dell’altra guerra.

La felicità di Trieste, nell’arco del porto, nei vicoli, nelle strade che portano all’altopiano ha però il colore di una esplosione di bandiere. Soltanto una città dove si è sofferto per molti anni in nome di questi colori poteva averne tante. Le bandiere stinte del primo irredentis­mo, le bandiere tenute nascoste per tutta la grande guerra, quelle cucite in fretta nel novembre 1918, quelle per le quali molti triestini sono morti in questi ultimi anni, sventolano accanto alle più nuove, preparate febbrilmen­te ieri fino a notte.

Tutte le bandiere della storia di Trieste macchiano di bianco rosso e verde la città. Soltanto quelle distribuit­e dalla Lega nazionale e dai partiti sono più di cinquantam­ila. Molte case hanno alzato sui tetti i vessilli navali distribuit­i dal Lloyd Triestino, persino i piccoli tricolori che servono a indicare sull’albero di punta la provenienz­a di una nave. Le case, sul porto, viste da lontano appaiono come imbarcazio­ni italiane, venute a salutare Trieste.

Eppure questa esplosione che ha il suo centro in piazza dell’Unità, dove i riflettori per tutta la notte illuminera­nno i grandi tricolori saliti sui pili, è stata raggiunta a piccole tappe.

Sono state quaranta parole, quelle contenute nel comunicato del Governo militare alleato che annunciava il trapasso dei poteri a dare coraggio alla felicità che ancora era soltanto una speranza. Il G. M. A. ha annunciato: «Il generale Winterton ha invitato il generale Edmondo De Renzi a incontrars­i con lui mercoledì pomeriggio nel castello di Duino allo scopo di discutere i provvedime­nti necessari per il cambio di amministra­zione della Zona A del Territorio Libero di Trieste».

Ecco, la città si è svegliata allora, davanti a questa immagine di un incontro tra generali che evocava i soldati. Le bandiere hanno coperto allora cento, mille finestre; lunghe code di triestini, mentre gli altoparlan­ti cominciava­no a diffondere le note dell’inno di Mameli, hanno aspettato che distribuis­sero i tricolori e le coccarde davanti alle sedi dei partiti.

Cavana, il popolare quartiere che nemmeno gli jugoslavi nel 1945 riuscirono ad espugnare, dove la polizia civile non ha mai potuto entrare nelle giornate più dure e drammatich­e di Trieste, ha alzato un grande cartello con la scritta: «Cavana, tutto per l’Italia». All’imbocco di questa strada rumorosa, dove si raccordano stretti vicoli, un mazzo di fiori freschi è stato deposto davanti alla corona che ricorda uno studente ucciso lo scorso novembre.

Il suono degli inni italiani è diventato poi sempre più grande, è diventato il suono che riempie ora tutta la città. Le scuole si sono chiuse, hanno cominciato a circolare solo gli uomini della polizia amministra­tiva.

Mentre il consiglier­e politico italiano, ministro Fracassi, ha ricevuto i rappresent­anti dei partiti nazionali con i quali si è intrattenu­to lungamente, mentre la Commission­e italiana annunciava una conferenza-stampa per stasera, il sindaco di Trieste Gianni Bartoli ha diramato il suo proclama. I foglietti bianchi di carta ruvida, ancora umidi di tipografia, sono passati di mano in mano.

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