Corriere della Sera - Sette

QUELLA SARTA VENUTA DALL’EST DELUSA DA NOI ITALIANI MA CHE (FORSE) MI HA PERDONATO

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La vecchia sarta aveva sbagliato l’orlo, troppo lungo. Tornai per farmelo aggiustare, con le stesse scarpe della volta prima, ma nel negozio c’era un’altra persona, mai vista. Le spiegai che l’orlo doveva essere accorciato ancora, la sua collega l’aveva sbagliato. Lei non conosceva alcuna collega. Quindi non tornerà?, chiesi. No.

Indossai di nuovo i pantaloni sulle scarpe alte e quando uscii dal camerino lei iniziò a ridere: non era possibile che qualcuno avesse fatto quel lavoro tremendo. Ma è vero, replicai. Non è possibile, insisté. Se sono qui, è evidente che l’ha fatto. Non è possibile. Scusi, mi sta dicendo che ho mentito? No, rispose, ma non è possibile. Secondo lei vengo qui per rubare i soldi di un orlo?, mi infervorai. E comunque posso pagarlo di nuovo. Lei smise di ridere. Perché si arrabbia?, mi fissò. Perché lei non mi crede. Non è vero. E allora perché ride? Perché non è possibile.

Si inginocchi­ò a prendere le misure e solo in quel momento mi balenò in testa che il nostro dialogo surreale doveva esser stato causato da un divario linguistic­o. Mi sentii in colpa. Lei disse che mi avrebbe fatto pagare la metà: non contemplò neanche per un istante l’idea di lavorare gratis per recuperare l’errore di una sconosciut­a. L’indomani l’orlo fu pronto e perfetto.

Da quel giorno ho cercato di instaurare con lei un rapporto amichevole, le ho portato molti altri pantaloni da accorciare, e mentre appuntava gli spilli le ho chiesto come stai (mi ha risposto telegrafic­a), ho fatto battute sulle mie gambe asimmetric­he (non ha riso), ho lodato la sua abilità (non mi ha sorriso), ho ascoltato la lingua dell’Est Europa che proveniva dal suo cellulare e ho immaginato fosse la voce di sua madre, o di suo figlio bambino, in videochiam­ata con lei.

Oggi mi ha detto che se ne va. E quando torni?, ho domandato. Non voglio più tornare in Italia. Lo ha detto con tale fermezza che non ho osato indagare il motivo. Il suo telefono parlava, ma non era il figlio, era la tv. Che cosa l’avrà tanto delusa? Magari la gente come me, che si arrabbia perché si sente accusata, ed è troppo egoriferit­a per pensare al divario linguistic­o di chi in Italia è venuto a lavorare.

Andrà in Germania. Si guadagna di più in Germania?, ho domandato. Mi ha spiegato che qui passa l’intera giornata in negozio, ma viene pagata a percentual­e, solo sulle riparazion­i svolte. Se non entra nessuno, perde ore a vuoto: non aveva capito fosse così, quando aveva deciso di venire a Roma.

Mi sono vergognata. Chissà quante partenze ha già intrapreso. Chissà quante lingue ha imparato. Chissà se mi ha perdonata. Dato che era il nostro ultimo incontro, ho osato chiederlo. E tuo figlio? Stavolta, ha detto, viene con me.

IO, FORSE EGORIFERIT­A, NON HO CAPITO SUBITO IL DIVARIO LINGUISTIC­O. LEI È GIÀ PRONTA A PARTIRE PER UN ALTRO PAESE

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