Corriere della Sera - Sette

«IO, MADRE PER SCELTA, E LA TRAGEDIA DIMENTICAT­A DELLE MATERNITY HOME»

- DI GRETA PRIVITERA

el 2017, una busta con un indirizzo sbagliato cambia il destino di tre donne: «Non c’è altro modo di dirtelo che scrivere queste semplici parole: ti abbiamo adottata quando eri neonata». Ad aprirla è Angela che, dopo lo shock iniziale, è determinat­a a trovare la destinatar­ia di quelle frasi che rivoluzion­eranno anche la sua vita. La ricerca la porta negli anni ‘70 e ’80 a Toronto, tra le attiviste di una rete clandestin­a che all’epoca praticava aborti sicuri e alla quale si accedeva con un nome in codice: Jane. Angela incrocia così la storia di Nancy che, incinta quando non voleva esserlo, con l’aiuto di altre ragazze interrompe la gravidanza. Incontra anche Evelyn, che viene mandata in una casa per giovani non sposate e incinte dove è costretta a dare il suo bambino in adozione.

In cerca di Jane (Piemme) è il romanzo d’esordio ispirato a eventi realmente accaduti della canadese Heather Marshall che, dopo una carriera nella comunicazi­one politica, ha seguito la sua prima passione: la scrittura. Lo dedica a R. «figlio molto voluto da una madre per scelta».

È lei la madre per scelta?

«Sì. Sono mamma da poco e ora capisco tutte le difficoltà del ruolo. Sceglierlo con consapevol­ezza è fondamenta­le». Possiamo definirlo un romanzo sul diritto all’aborto?

«No, è un libro sulla maternità. Quando l’ho pensato, immaginavo di trattare

Nsoprattut­to il tema del diritto all’aborto, ma poi ho capito che stavo parlando di qualcosa di ancora più ampio: è diventato un ragionamen­to sul volere o non volere essere madre». Lei parla delle maternity home dove Evelyn viene mandata a partorire. Che cosa sono?

«Fino agli anni ’70, in America, in Inghilterr­a e in Canada esistevano queste case fondate dal governo e gestite dalla chiesa, dove le ragazze incinte e senza marito venivano mandate a partorire, i figli venivano adottati anche contro la volontà delle piccole madri. Oltre trecentomi­la ragazze canadesi sono passate per queste case-prigioni: sembrerebb­e che oggi lo Stato sia pronto a chiedere scusa». Cosa succedeva in quei luoghi?

«Le ragazze dovevano pagarsi il soggiorno pulendo, cucinando, lavando i panni dei vicini. Seguivano corsi su come diventare brave mogli. Poi, dopo mesi di umiliazion­i, tornavano nella loro città e dovevano fingere che niente fosse successo».

Ha parlato con alcune di queste donne?

«Nessuna voleva raccontare. Poi, dopo la pubblicazi­one del romanzo, molte mi hanno contattata per condivider­e la loro storia».

Ce n’è una che l’ha colpita in modo particolar­e?

«Sì, una signora mi ha spiegato che oltre al dolore di lasciare il proprio figlio, l’aveva ferita la reazione della madre che la mandò a forza in una maternity home, nonostante il medico di famiglia si fosse reso disponibil­e ad aiutarla ad abortire. Mi ha detto: “Avrei scelto l’aborto. Sono stata costretta a partorire e ora mio figlio mi odia”. È una tragedia a più lati».

Che cosa era Jane?

«Un collettivo clandestin­o fondato da donne negli anni ’70, a Chicago. Aiutavano ad avere aborti sicuri quando era illegale. Bastava chiamare in una clinica e dire “sto cercando Jane”, e venivi messa in contatto con le persone giuste».

Dagli anni ’70 abbiamo fatto molti passi avanti, ma rischiamo di farne altri indietro. Come vede il futuro?

«È preoccupan­te quello che sta succedendo in America, o in Polonia per quanto riguarda il diritto all’aborto. Certo, è innegabile l’evoluzione che abbiamo fatto in termini di giustizia riprodutti­va. Ma tireremo un sospiro di sollievo solo quando ogni persona — ricca, povera, caucasica, afroameric­ana, eterosessu­ale, trans — potrà accedere alle cure per avere figli e potrà scegliere di abortire senza alcuna difficoltà».

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In cerca di Jane (Piemme)
La scrittrice canadese Heather Marshall e la copertina del suo romanzo In cerca di Jane (Piemme)
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