INVENTORE DEL TRAMEZZINO E INFLUENCER PRIMA DEL WEB: D’ANNUNZIO L’AMORALE
«Va il bruno cammelliero pei vasti deserti d’Arabia: stendonsi le arene fulve ondulate davanti». Opera prima di un sedicenne talentuoso, indisciplinato, amante dello studio e della lode, incline al culto di sé. E che già si sapeva muovere nel mondo scompigliando i canoni della letteratura ma anche della comunicazione. Sì, perché per promuovere quel libretto di poesie, Primo vere, che papà D’Annunzio aveva pubblicato a sue spese, il giovane Gabriele aveva avuto un’idea di promozione anticipatoria per i tempi, visto che si era nel 1879. Fece diffondere una fake news, la sua morte per una caduta da cavallo. Non era vero e poi lo stesso D’Annunzio smentì la notizia, ma solo dopo che in parecchi avevano pianto sulla sorte del romantico studente abruzzese, e che qualche libro in più si era venduto.
C’erano già in nuce tutte le contraddizioni – le glorie e le falle, i colpi di genio e le intemperanze – di quello che sarebbe diventato un protagonista della scena culturale e anche politica della prima metà del Novecento. Lo storico Giordano Bruno Guerri, che del Vate si è fatto vate, e custodisce con reverenza al Vittoriale sul Garda (dove Gabriele è morto il 1° marzo 1938) tutti gli up and down di una vita spericolata, ne ha fatto «il primo influencer europeo», il primo poeta a diventare un brand, un anticipatore della tendenza narcisistica nascosta in ognuno e ognuna di noi: «Riscoprirlo sotto giusta luce è una ricchezza per tutti». E magari ci potrebbe anche essere utile, non fosse altro per decifrare alcune imperscrutabili biografie contemporanee.
Specializzato nei ribaltamenti storici, Giordano Bruno Guerri applica il paradigma a Gabriele e invita a non sottovalutarlo, a non rinchiuderlo nella vulgata un po’ polverosa del dandy cantore del fascio ed estenuato sorvolatore in aeroplano. E sfata fake news al riguardo: a cominciare dalla più bislacca, per quanto leggendaria, quella per cui D’Annunzio si fosse fatto asportare delle costole per auto-praticarsi sesso orale…
Non era falsa invece la leggenda che consumasse fiumi di cocaina, che amasse vivere nel bello e che amasse amare o perlomeno trattenersi intensamente con un numero imprecisato di signore, di nobili natali anche se poi vagamente avventuriere, con l’eccezione dell’attrice Eleonora Duse con la quale imbastì un sodalizio tempestoso ma reciprocamente devoto.
«Fiutava lo spirito del tempo e spesso lo creava. Non si contano le sue invenzioni» scrive Guerri. Ecco alcune intuizioni sparse: ribattezzò la Rinascente, tradusse sandwich con tramezzino, s’inventò velivolo, volle che automobile fosse femminile, trovò il nome d’arte a Liala.
Acuto, curioso, amorale, scriveva anche articoli snob alla Truman Capote, scrutava i meccanismi della nascente società di massa. In Vivere inimitabile, monumentale biografia del 2000 di Annamaria Andreoli, si racconta come si facesse lautamente pagare dal duce l’apparente acquiescenza verso un regime che disprezzava. I suoi debiti e la «sua paradossale economia sembra finalmente assestarsi. Quelli con Mussolini sono i soli conti che gli tornano».
SI FACEVA LAUTAMENTE PAGARE DAL DUCE L’APPARENTE ACQUIESCENZA VERSO IL FASCISMO, UN REGIME CHE DISPREZZAVA
Azzardo è il primo romanzo di Alessandra Mureddu, appena uscito per Einaudi. È una storia che dà sensazioni di carta vetrata, di pioggia ferrosa. Scritta con una voce roca, abrasiva; racconta abissi, ma non conosce retorica: sorprende per la sua nudità. «Io non sono una narratrice del fuori, sono una narratrice del dentro, di quello che si muove dentro di me». Mureddu compone la storia della sua dipendenza, la malattia del gioco durata nove anni. Ma è molto più di questo: è il racconto di una solitudine contemporanea e, in fondo, di tutte le dipendenze che affliggono il nostro tempo e le nostre vite. E poi, della difficoltà e della paura di incontrare l’altro, nonostante l’indomito desiderio di amore.
La protagonista, dopo la giornata di lavoro, si
«Adesso a me si è spostato tutto sul cibo. Io vedo la mia dipendenza come una specie di magma che si allarga, che si sposta e mi sposta in tutte le direzioni. Non mi sono mai sentita così dipendente dal cibo come in questo momento. Non ho più controllo. È come se dovessi sfogare il mio malessere, quel senso di vuoto che dicevo prima».
Una madre di famiglia, un ex musicista, un ragazzino… Parla di tante persone: si può fare un ritratto preciso del ludopatico?
«No, assolutamente».
A un certo punto cita i ritratti di Francis Bacon.
«È quello che provavo io. Mi sentivo come quelle facce con le bocche spalancate, i contorni sfumati senza confini precisi, dove tutto è un po’ grottesco. Con quella lente io vedevo anche gli altri: vedevo personaggi grotteschi intorno a me». «Non mi sento né femmina né maschio», scrive. Come cambia la percezione del corpo di un giocatore compulsivo?
«Io il mio corpo l’ho come dimenticato. Ero una giovane donna molto attenta all’aspetto, poi ho iniziato a giocare ed è stato come aver lasciato il mio corpo su una sedia per nove anni».
Nelle sale non ci sono finestre. Perché?
«Perché il tempo non deve più esistere. Le sale sono scatole buie, non ci sono finestre né luci perché lì il tempo non scorre. L’unico tempo è quello scandito dai simboli delle slot. C’è sempre una profumazione forte che ti confonde e c’è questo suono continuo delle macchinette. Nella confusione non puoi altro che aspettare una vincita».
Sei quasi anestetizzato.
«Sì, completamente. Fuori c’è il sole ma non lo sai; fuori c’è la luce, ma dentro no».
A un certo punto ha contattato il gruppo di recupero dei Giocatori anonimi.
«Sono entrata in Giocatori anonimi nel 2015 quasi con un senso di disprezzo, devo ammetterlo. Mi sembrava che le persone che erano lì non avessero nulla a che fare con me, avevano tutt’altro livello sociale, culturale. Adesso invece posso dire che loro sono la mia famiglia».
Gli incontri sono un appuntamento fisso?
«Sì. Bisogna rimanere uniti e lontano dalle sale, da qualsiasi forma di gioco perché basta poco per ricadere. Io lo so, l’ho sperimentato. È come per gli alcolisti».
ALESSANDRA MUREDDU VIVE E LAVORA A ROMA.
(EINAUDI) È IL SUO PRIMO ROMANZO