UN FUTURO MIGLIORE COMINCIA ALL’ASILO QUEI BANDI NON POSSONO ANDARE A VUOTO
Nei mesi della pandemia, abbiamo pensato (e forse creduto) a una società migliore che sarebbe venuta “dopo”. In parte perché noi, individualmente, avremmo imparato la lezione del dolore – il dolore attraversato, il dolore sfiorato. In parte perché l’Europa si era dimostrata capace di sopravvivere, di saldarsi e organizzarsi, perfino di condividere un tesoretto di risorse dedicato sin dal nome alla Next Generation Eu. Nel Vecchio Continente, una generazione nuova avrebbe raccolto il frutto finalmente maturo della consapevolezza. Del sacrificio e della speranza comuni. Nel 2022 è arrivato il momento della «messa a terra» – quante volte lo avete sentito? – di quegli investimenti straordinari, che in Italia sono stati affidati ai file del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).
La prima messa a terra dell’energia accumulata, in un Paese che fa fatica a rianimare le curve demografiche, non poteva che guardare ai morbidi pavimenti e prati degli asili nido dove comincia “la vita pubblica” dei bambini e delle bambine da 0 a 3 anni. Ed ecco che 4.6 miliardi del Pnrr, non pochi, sono stati destinati alla conquista di una percentuale magica: un posto ogni tre baby cittadini. Per saltare poi a una copertura del 90 per cento tra i 3 e i 6 anni, come indica un traguardo Ue sottoscritto a Barcellona nel 2002. E dunque che cosa sta succedendo adesso che le scadenze fissate sul calendario nazionale vengono raggiunte e sorpassate (l’ultima il 28 febbraio)?
Succede che i bandi vanno in parte a vuoto. Il primo “giro” ha visto arrivare dai Comuni richieste pari al 49% dello stanziamento totale. Da qui una sequenza di riaperture e rilanci per «aumentare la partecipazione degli enti». L’obiettivo resta una mappa aumentata di 264.480 posti entro il 2023.
C’è una visione, ci sono i soldi: e allora perché la rivoluzione degli asili si è inceppata? Le risposte sono due. La seconda è (quasi) comprensibile: i Comuni temono i «futuri oneri» (stipendi, manutenzione) che il funzionamento di una struttura così articolata e delicata porterebbe con sé. Ma qui è intervenuta la legge di Bilancio 2022, con un pacchetto di risorse extra. A rivelare una debolezza di fondo è invece la prima risposta. Le famiglie italiane dichiarano ancora, nelle ricerche, «la disponibilità di un familiare» per accudire i piccolissimi e confermano al contrario «la ritrosia a delegare» cura/educazione nei primi anni. In alcune regioni, non solo a Sud, l’offerta supera già ora le domande di iscrizione al nido.
A questo punto, si impone un’obiezione: non sarebbe meglio far confluire le risorse verso le madri che restano a casa finché i figli non hanno compiuto tre anni? Invece di disperderle all’esterno, inseguendo modelli spesso avvertiti come forzature? In fin dei conti, conti affettivi ed economici, magari è meglio per i bambini e pure per le mamme (perché tanto quel «familiare a disposizione» non appartiene al mondo dei padri, salvo eccezioni). Ci hanno provato in Finlandia, dove anni fa è stato attivato un programma chiamato Finnish Home Care Allowance (HCA) che prevedeva il monitoraggio nel tempo dei nuclei beneficiati dalle dotazioni dirette. Il primo effetto è stato una perdita di occupazione femminile a breve e a lungo termine; il secondo, meno prevedibile, un indebolimento dello sviluppo cognitivo dei bambini coinvolti rispetto ai coetanei, con conseguenze negative sulle chances accademiche e sulla vulnerabilità al crimine in età giovanile.
Una metrica che ci suggerisce di tornare all’asilo. Il nido si rivela un hub di possibilità: più libertà per le madri e più equilibrio nella divisione dei compiti tra neo genitori; più opportunità di crescere insieme per bimbi con background diversi; più lavoro per le donne, che sono maggioranza negli istituti scolastici e di cura. Più vita nei quartieri, dove asili e materne rappresentano una promessa – visibile a tutti – di futuro.
I RISULTATI DI UN ESPERIMENTO IN FINLANDIA: NON FREQUENTARE IL NIDO INDEBOLISCE IL LAVORO FEMMINILE E LO SVILUPPO DEI BIMBI
Foto di copertina di Roberta Krasnig. Servizio di Alessandro Calascibetta, styling Angelica Pianarosa. Hair & make-up Francesca Tampieri Tutti gli abiti sono Dolce&Gabbana