LA CHIAMAVAMO MALINCONIA ORA LA «BILE NERA» SI FA SCIENZA MA NOI RESTIAMO MISTERO
All’inizio è la malinconia. Poi è la depressione. Poi il diluvio. Secondo il recente studio di un autorevole centro di ricerca, il Trimbos Institute, nel 2022 un quarto della popolazione olandese (il 26%, per essere precisi, più di 3 milioni di persone) e addirittura il 44% degli studenti risulta soffrire di disordini mentali, come vengono comunemente chiamati oggi. Sono risultati che dipendono solo in parte dalla recente pandemia, e che trovano conferme anche in ricerche precedenti. In Italia mancano dati analoghi, ma non è difficile prevedere una tendenza simile (una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rilevava problemi per una persona su otto già nel 2019). E le spiegazioni, infatti, si sprecano: una società sempre più individualista che lascia tutti privi di rete di protezione, la cosiddetta performance pressure, e l’ansia da prestazione; una irrealistica nozione di felicità che produce un permanente senso d’insoddisfazione, come se tutti stessimo continuamente perdendo le occasioni migliori; l’uso massiccio dei social che espone al giudizio non sempre benevolo (per usare un eufemismo) degli altri… c’è un fondo di ragionevolezza in tutte queste osservazioni, naturalmente. Ma se fosse anche un problema di parole? Un disordine indica una irregolarità, un’eccezione, la rottura dell’ordine naturale delle cose: quanto è ragionevole parlare allora di disordini, quando è diventato così comune avere dei disordini?
Per secoli sono state altre le parole usate. A partire dall’onnipresente «malinconia», che solo all’inizio del XX secolo fu sostituita dal più asciutto «depressione». Da Aristotele a Michel de Montaigne, da Arthur Schopenhauer a Charles Baudelaire, tutti ne parlano, evidenziandone le conseguenze negative ma anche qualche potenzialità inaspettata. La malinconia significa ansia, paura, una tristezza che impedisce lo svolgimento delle attività più banali, e induce a pensieri suicidi (ricorda qualcosa?). Ma stimola anche una particolare lucidità mentale, una capacità di osservare la verità nella sua nuda crudezza, osservano due pensatori così distanti come Leopardi o Freud. Ed è per questa combinazione di sintomi contrastanti che la malinconia viene associata sempre più frequentemente a persone eccezionali, il genio o l’artista, capaci di vedere e sentire le contraddizioni dell’esistenza con una forza e una lucidità che agli altri mancano. Pagandone le conseguenze. Questo è tutto noto, in fondo, così come sono noti i capolavori ispirati al demone della malinconia, a partire dalla stampa meravigliosa di Albrecht Dürer. Meno noto è che queste considerazioni non sono il frutto di osservazioni brillanti e frammentarie. Dietro c’è una teoria, che risale fino a Ippocrate e alla sua scuola.
«Malinconia», o meglio «melancholia» , è una parola greca, composta da melas, nero, e chole, bile. Questa misteriosa bile nera è uno dei quattro “umori”, che percorrono il corpo umano, insieme al sangue, il flegma e la bile gialla, determinando uno stato di salute (quando sono in equilibrio) o malattia (quando uno degli “umori” prevale, rompendo l’e
“MELANCHOLIA” È UNA PAROLA GRECA: SECONDO LA TEORIA DEI 4 UMORI, CI COLLEGAVA CON LA NOSTRA PARTE OSCURA
quilibrio). Una teoria strampalata, ai nostri occhi, non c’è bisogno neppure di dirlo. Ma non priva di spunti interessanti. Intanto perché cerca di ricollegare il corpo umano all’ambiente naturale che lo circonda – un punto della cui importanza siamo sempre più consapevoli. I quattro “umori” corrispondono ai quattro elementi (terra, aria, acqua e fuoco) e alle quattro stagioni, alle quattro fasi della vita, alle quattro parti in cui è diviso l’universo… Così la bile gialla è secca e calda, è legata al Sole e all’estate, e dunque al fuoco, all’intelligenza e alle azioni; e il sangue, l’umore più importante, è legato alla primavera, la stagione della vita. La bile nera è l’opposto del sangue. Come la terra, è fredda e secca: è viscosa, densa, scura. È l’opposto della vita, insomma, come si vede quando prende appunto il sopravvento. Arriviamo così a un paradosso: la bile nera è allo stesso tempo naturale (è un costituente del nostro corpo), ed è opposta a tutto ciò che è naturale e vitale. Ma forse il paradosso è solo apparente. Strampalata quanto si vuole, priva di qualunque supporto empirico, questa teoria ha funzionato per secoli perché ci ricordava che noi siamo esseri paradossali, fatti di spinte contrastanti, sempre a rischio di cadere in inclinazioni negative. La teoria della bile nera – la malinconia – andava così bene perché permetteva di portare alla luce il lato oscuro della nostra esistenza. Qualcosa che non riusciamo fino in fondo a spiegare, ma della cui presenza inquietante siamo tutti consapevoli, nel bene e nel male.
All’inizio del XX secolo, questo termine è stato sostituito con il più asciutto «depressione» – perché è di questo che stiamo parlando (basta leggere con attenzione il DSM ,il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, per rendersene conto). Come aveva osservato lo psichiatra svizzero Adolf Meyer, la sostituzione era necessaria per iniziare ad affrontare il problema in modo finalmente scientifico. Se la psichiatria voleva diventare una scienza, doveva dotarsi di strumenti e linguaggio adeguati. Da quei primi momenti, la psichiatria è poi continuamente progredita, contribuendo in modo decisivo al miglioramento delle nostre condizioni – nessuno si sogna di negare la sua importanza, o quella della scienza più in generale. Ma questa medicalizzazione del discorso su noi stessi che ha preso il sopravvento nella nostra società (dove depressione è termine onnipresente), la tendenza sempre più marcata a indagare la nostra condizione solo in una prospettiva scientifica riuscirà mai a esaurire la nostra complessità contraddittoria?
Nel 384 d. C. si svolse un dibattito interessante a Roma, mentre l’impero diventava ufficialmente cristiano e solo cristiano. Con il plauso di sant’Ambrogio, l’imperatore Graziano aveva disposto la rimozione dell’altare della Vittoria, uno dei monumenti pagani più importanti. Simmaco, un senatore, si oppose con un discorso bellissimo: davvero i Cristiani pensavano di poter spiegare Dio da soli? «Non c’è una sola strada per raggiungere un mistero così grande». Valeva per Dio, vale per noi.
LA MEDICALIZZAZIONE DOMINA LA SOCIETÀ, NON ESAURISCE PERÒ LA COMPLESSITÀ CONTRADDITTORIA DEGLI UMANI