Corriere della Sera - Sette

Un tempo avevamo uno Stato assistenzi­ale, adesso occuparsi delle cure è difficile e costoso

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che a nulla vale contro l’addolorata ostilità della madre. Del destino di Bernardo e Angela ho saputo dalle colleghe psicoterap­eute che mi hanno chiesto aiuto per curarli. Non riuscivano ad affrontare il passaggio esistenzia­le da soli. Perché curare chi ci ha curato è difficile e lo è ancora di più se quel genitore ci ha dato dolore più che nutrimento. Il padre di Bernardo e Gerry, la madre di Angela, hanno lasciato segni permanenti nell’animo dei loro figli. Un insieme di insicurezz­e e dubbi sul diritto a seguire la propria via. I figli hanno reagito lottando, scappando ma comunque covando un’amarezza che avvelenava molte delle loro giornate.

Bernardo è entrato in terapia dopo essere stato lasciato dalla compagna e a lungo è stato arrabbiato con lei e con chi un tempo gli dava lavori di prestigio e ora non più. Angela si è depressa. Il marito le è stato vicino e l’ha sostenuta nella profession­e che però per lei, a mano a mano che la madre declinava, perdeva senso.

Entrambi hanno avuto bisogno di rendersi conto di una cosa: non li guidava al sacrificio né l’amore né la devozione filiale, ma il senso di colpa. Hanno trovato una soluzione nel momento in cui si sono accorti che il loro scopo più vero era evitare di sentirsi cattivi. Le terapeute li hanno aiutati a dirsi a voce alta: «Posso provare rabbia per mamma, per papà ed è normale. Ho però diritto di prendermen­e cura un po’ di meno. Lo so è difficile e la colpa morde, ma ho bisogno di staccarmi e questo non mi rende indegno né ingrato».

A quel punto entrambi hanno recuperato spazio per sé stessi, utilizzand­o le risorse che avevano, Bernardo in accordo con il fratello, Angela con il marito. Hanno attinto all’aiuto di badanti e infermiere a loro spese, insieme a qualche aiuto dallo stato. Questo era il motivo psicologic­o che rende difficile l’inversione della cura in chi ha avuto genitori difficili. E l’altro? L’altro riguarda la mancanza di risorse.

Prendersi cura di chi ci ha cresciuto genera vertigine, la giostra gira e la testa gira a una velocità mai sperimenta­ta. Sembra strano, non è dall’alba della civiltà che curiamo gli anziani e comandiamo di seppellire i morti degnamente così che diventino memoria e simbolo?

Sì, ma nei millenni sono avvenute delle non trascurabi­li rivoluzion­i. La prima è che la vita media, grazie alle meraviglie della medicina occidental­e, si è allungata. Significa che il padre e la madre nel momento della malattia e del declino dovrai curarli molto a lungo. In altri tempi il problema si risolveva, come dire, in tempi più rapidi per cause naturali o umane: pestilenze, carestie e invasioni. Siamo attrezzati per questo tempo prolungato in cui ci si aspetta che curiamo chi ci ha cresciuto? Temo di no.

La seconda è che, a causa di questo allungamen­to della vita, molti si trovano stretti tra incudine e martello. Da un lato le attenzioni da dedicare alla prole, che di suo sbandiera il manifesto che da sempre l’ha guidata: attirare lo sguardo con ogni mezzo, dal pianto al ricatto emotivo. Dall’altro la cura degli anziani. Quando la durata dell’inversione di ruoli era minore c’era anche il villaggio a dare almeno attenzione alle creature. Sotto forma di zie, nonni, vicini di casa, campi di calcio, fortini di tufo ricavati dalle case in costruzion­e e campane disegnate su strade di terra e pietrisco. Oggi è un dramma, il villaggio si è dissolto, e quello globale mica ti tiene i bimbi mentre vai a comprare le medicine a nonna.

La terza è che sempre più sono quelli che non hanno figli. Si trovano a curare i genitori anziani e si spalanca di fronte a loro la domanda: cosa resta? Sono la loro eredità, ma io, io cosa trasmetto? La quarta non è una rivoluzion­e ma un ritorno. Si chiama povertà. Bernardo, Gerry e Angelo hanno questioni irrisolte coi genitori. Ma possono permetters­i di pagare badanti e infermieri. A chi si appella chi a stento paga affitto, pane e condimenti di base? Un tempo avevamo lo stato assistenzi­ale. Negli Anni 70 anziani e meno anziani, molti dei quali in buonissima salute, passavano settimane alle terme di Fiuggi e Chianciano alle spese del sistema sanitario nazionale. Tempi d’oro oggi impensabil­i, quando già prenotare un esame medico richiede ore di lavoro e pazienza biblica. La miseria alla quale abbiamo ridotto il welfare costa caro a chi si trova i genitori che invecchian­o. Domande come: «È giusto che me ne occupi di meno?», «Cosa lascerò in eredità e a chi?» sono abissali. Trovare risposta sarebbe meno angosciant­e se lo stato ti alleviasse dalla fatica di fare file alle 7 di mattina in un ospedale lontano da casa.

Di Bernardo e Angela conosco il resto della storia. Hanno accompagna­to i genitori alla fine con animo più sereno, li hanno pianti restando integri.

Il destino di Gerry, il figlio minore che è vissuto a tre isolati dal padre maestro di trucchi e allo stesso tempo se n’è tenuto lontano, che ha un lavoro che ama e una famiglia della quale si prende cura, non lo conosco. Me lo immagino correre una sera che la neve cade sul fiume che attraversa il paese, e sotto i fiocchi che si posano sulle guance fredde forse trova momenti di pace.

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