«IO E MIA MADRE ERAVAMO POVERISSIME: RUBAMMO LA HARLEY DI UN AMERICANO»
ttrice di film quali Il generale della Rovere e 8 e ½ , musa di Federico Fellini, simbolo femminista, quattro mariti, tre figli, Sandra Milo ha appena compiuto novant’anni e continua a essere riferimento di donne e ragazze. Perché oggi più che mai quel tipo di femminile, in apparenza spensierato, nella sostanza mai pietoso, coraggiosissimo, rappresenta un esempio di forza, una condizione per rivendicare il proprio spazio. Ecco cosa insegna Sandra Milo alle ragazze: siate libere, non abbiate paura. Nemmeno della morte. «A un certo punto morirò anch’io» dice.
La paura più grande?
«Non ha fatto in tempo ad arrivare che è subito svanita. Da bambina, tra bombardamenti e violenze, la possibilità di morire era quotidiana: non si poteva avere paura».
Paure minori?
«Quelle personali, da giovane: di non farcela, di non trovarmi, quando insomma non sai chi sei e vai per tentativi». Tentativi a vuoto?
«Ho cercato ogni volta di ragionare sull’origine dell’incertezza».
Trovata?
«A volte dopo molti anni».
Una scoperta tardiva?
«L’inutilità del senso di colpa».
Il senso di colpa di Sandra Milo?
«Per mia madre».
Ovvero?
«Ho sempre vissuto con nonna e mamma, me le sono portate a vivere con me col primo, e col secondo marito.» Motivo?
«Istinto materno. L’istinto materno è verso i piccoli e verso i grandi».
Mamma e nonna a casa.
«Toscane, linguacciute, erano parecchio ingombranti. Il primo marito, Ergas, mi diceva: “o me, o loro”». Risposta?
«“Non posso lasciarle”. Al che lui se ne andava, stava fuori un mese, e tornava». Lei ha accudito nonna e mamma fino alla fine?
«Sono morte con me, mia nonna a 85 anni. Mia madre a 55. Aveva un cancro che la paralizzava a letto, muoveva solo le mani. Io ero incinta di Deborah, e giravo 8 e ½. Il giorno lavoravo, la notte
stavo con lei. Rientravo dal set, e le facevo i massaggi alla gambe per alleviare il dolore».
Passava?
«Per un po’, quindi ricominciava, allora lei mi chiedeva: “aiutami a morire”. Io non volevo, cercavo di convincerla, le spiegavo che avrebbero potuto arrestarmi».
Un giorno.
«Davanti a tanta sofferenza, ho preso coraggio».
Ricordi di quel momento?
«Stringevo la sua mano, volevo che non si sentisse sola. Ma lei dice: “esci, che il tuo amore non mi fa andare via”». Per molto tempo, con suo padre in guerra, la famiglia è stata al femminile: lei, sua sorella, mamma, e nonna. Un ricordo d’infanzia?
«Sfollate in un paesino toscano, Ruota, non avevamo niente, ma niente per davvero, neanche da mangiare. A valle c’era questo campo di grano maturo che nessuno aveva raccolto perché minato dai tedeschi. D’un tratto mia mamma e altre due mamme di bambini decidono di andare. Prendono forbici, sacchi e vanno».
Lei bambina?
«Avevo otto anni, sapevo che potevano non tornare indietro».
Come lo sapeva?
«In casa ne parlavano liberamente. Al tempo si parlava della morte davanti ai bambini. Così io mi infilo sotto le coperte. Chiudo forte gli occhi».
E?
«Mia madre torna. Torna coi sacconi pieni di spighe».
Quando Sandra Milo capisce di essere bella?
«Fin da bambina sapevo di piacere. A tredici anni i soldati americani mi regalavano cioccolato e biscotti».
Gli americani?
«Mi fidanzo con un americano che aveva l’Harley Davidson, una moto che
«HO 90 ANNI MA NON HO PAURA DI MORIRE, A UN CERTO PUNTO TOCCHERÀ ANCHE A ME. DA BAMBINA SONO CRESCIUTA SOTTO LE BOMBE, LA MORTE ERA SEMPRE VICINA»
in Italia nessuno aveva mai visto». Quindi?
«Noi vivevamo a Viareggio, sempre poverissime, come del resto tante altre famiglie intorno a noi, nel palazzo, nel quartiere. Così a mamma che mi guardava dalla finestra salire su questa grande moto, viene un’idea: rubare la moto».
A quel punto?
«Lei e la vicina vengono da me a chiedere di far salire il soldato in casa, tenerlo occupato».
Obbedisce?
«Lo faccio salire, metto la musica, mentre giù in strada mamma e la vicina portano via la moto a spinta».
Finita la serata?
«Appena l’americano scende e vede che la moto non c’è più chiama la polizia, la Military Police che cerca la moto ovunque».
Trovata?
«L’avevano nascosta bene».
Come se ne sbarazzano?
«Nel momento in cui nessuno la cercava più, mia madre e la vicina vanno a riprenderla e la rivendono al mercato nero».
Altri ricordi di quel tempo?
«Molte donne avevano avuto figli dai soldati neri. Alcune erano state violentate, altre si erano date per fame. Succedeva allora che ai bambini che nascevano ossigenassero i capelli sperando che i mariti, una volta rientrati dalla guerra, non si accorgessero che non erano figli loro. Il quartiere era pieno di questi bambini bellissimi: neri, dai capelli biondi biondi, quasi bianchi.»
Reazioni dei mariti?
«C’era molta comprensione».
A quindici anni Sandra Milo si sposa.
«Rimango incinta ma a sette mesi perdo il bambino. Torno da mia madre. Per un lungo periodo sto male, non mi alzo dal letto. Mi danno la morfina. Poi un giorno di primavera, mi alzo e chiedo alla nonna di farmi un vestito. Lei stacca una tenda di casa con cui mi cuce il vestito».
E?
«Ecco, quel giorno: io esco col vestito, e per strada tutti si girano a guardarmi. È lì che capisco di essere bella. E capisco di essere tornata alla vita, e che davanti a me c’è ancora tantissimo».
Quel giorno nasce Sandra Milo?
«Quello, e altri giorni».
Da Viareggio a Milano.
«Mi fidanzo con un ragazzo più grande, trent’anni lui, sedici io. Lui mi porta a Milano dove lavoro come modella. In seguito mi trasferisco a Roma per fare l’attrice. Ero minorenne, facevo tutto quello che non si poteva fare, stare con un uomo grande, guidare. Ero felice. Volevo vivere».
Federico Fellini.
«A Roma, insieme al mio secondo marito, Ergas, conosco Federico e Giulietta. Ci frequentiamo. Loro invitano a cena noi, noi loro. Ci facciamo regali. Giulietta mi regala una lampada di cristallo che ho ancora. Per un anniversario di matrimonio io regalo loro un albero. Degli omini lo portano apposta da Pistoia, e glielo piantano in giardino, a Fregene. C’è stato un momento in cui tutti gli invitati della festa guardavano l’albero».
Guardando piantare l’albero, i pensieri di Sandra Milo?
«Mi chiedevo: il giorno che sarà altissimo, dove sarà il mio amore?»
L’albero è cresciuto?
«Federico e Giulietta hanno cambiato due case a Fregene. E nessuno di noi è più andato a vedere l’albero».
L’amore invece?
«Io m’innamoro di Federico subito, lui no».
Primo bacio?
«A Cinecittà, in un camerino. Lui mi bacia e io svengo. Lui dice: “ma che bambocciona, una come te, svenire per un bacio”».
E lei?
«Vagli a dire che io di baci ne avevo tanti, tantissimi anche a vuoto, e che l’emozione era per il suo».
Non lo dice?
«Con lui non avevo coraggio. Molte cose me lo sono tenute dentro».
Per esempio?
«In diciassette anni non abbiamo mai dormito insieme. Ci vedevamo di giorno, in genere nel suo studio. Nei vari studi che ha cambiato c’era sempre una stanza vuota con le tende alle finestre e la moquette per terra. E io pensavo che sarebbe stato bello se lì ci fosse stato un letto, se fosse diventata una stanza. Un po’ gliel’ho fatto capire: “qui ci starebbe bene un letto”, ho detto una volta«. Conseguenza?
«La stanza è rimasta vuota».
La fine?
«La fine della storia non è stata la fine del sentimento. Dopo diciassette anni di amore clandestino lui mi propone di lasciare tutto, e andarcene noi due in America».
Ma?
«Io dico di no».
Motivo?
«Per paura che più avanti se ne pentisse. Il terrore che il nostro amore si potesse rovinare. Immaginavo: se un giorno guardandomi a casa mi dice “sei ingrassata”, oppure “spendi troppo”. Non l’avrei sopportato».
Rinuncia a lui per non sciupare l’amore?
«Per quanto io dica che sia stata questa la ragione, lo dico da anni, oggi capisco che sotto sotto c’era anche altro, istinto di vendetta, piccola rivalsa». Pentita?
«Forse lui mi stava chiedendo aiuto come artista, aveva bisogno di una vita nuova per scrivere cose nuove, e io non l’ho aiutato».
Intanto, in quei diciassette anni?
«Prima di tutto c’è stata la battaglia per ottenere mia figlia».
Nel senso?
«Alla nascita di Debora, io non avevo ancora l’annullamento dal primo marito. Sul certificato di nascita lei è figlia di
«FELLINI? È FINITA DOPO 17 ANNI, LUI VOLEVA ANDARE VIA CON ME MA IO HO DETTO DI NO. AVEVO PAURA CHE SE NE SAREBBE PENTITO E CHE L’AMORE SAREBBE STATO ROVINATO»
Moris Ergas e “di madre che non vuole essere nominata”».
Quanto faceva male?
«Seppure la bambina fosse con me, ogni istante con me, tra le mie braccia, nella mia testa rimaneva quel “di madre che non vuole essere nominata”».
La fine del matrimonio con Ergas?
«Un giorno lui viene sul set, nella mia roulotte, e mi picchia. Mi butta a terra e mi riempie di calci. Naso rotto, mascella rotta, orecchie – da uno ho perso completamente l’udito, dall’altro l’ho riacquistato in parte, ma comunque nella vita mi è bastato, mi sono arrangiata». Chi la trova?
«Qualcuno della produzione. Mi trovano per terra, piena di sangue, e mi portano in clinica. In clinica però non potevano prendermi, bisognava accertarsi che non ci fossero fratture al cranio. Di nascosto perciò, imbacuccata, mi portano al Pronto Soccorso. Mi fanno passare dai sotterranei perché non mi vedesse nessuno. Dalla radiografia scopriamo che il cranio è intatto, così mi riportano in clinica dove mi ricoverano per qualche settimana».
Quelle settimane.
«Ricordo di aver incaricato la clinica di chiedere a casa di mandare una camicia da notte. Ergas non l’ha mandata. Me l’hanno data le suore».
Il tempo successivo?
«Ergas fa sparire mia figlia. Io faccio di tutto per andare a riprenderla. Ho attraversato il deserto del Sinai. Quindi i processi, 44 processi per riavere mia figlia».
Chi è Sandra Milo?
«Per la religione una peccatrice. Per la legge una persona condannabile. Eppure Dio mi ha fatto il miracolo. Ci penso spesso: Dio il miracolo lo ha fatto proprio a me».
Il miracolo?
«Mia figlia Azzurra è nata di sette mesi. Nasce viva, e muore subito. La dichia
«SONO UNA PECCATRICE MA DIO FECE A ME UN MIRACOLO. AZZURRA, MIA FIGLIA, ERA MORTA SUBITO DOPO LA NASCITA. UNA SUORA RIUSCÌ A RIANIMARLA»
rano morta. Chiudono questa creatura piccolissima in una copertina, lo ricordo bene. Dopodiché arriva una suora, Suor Costantina che chiede al professore di darle la bambina, lui la caccia, lei rimane, finché il professore non gliela dà». Allora?
«In una stanza, Suor Costantina pratica la respirazione bocca a bocca, il massaggio cardiaco. E prega. Prega Madre Maria Pia Mastena. Prega, prega, senonché la bambina ha un sussulto, piange». Il dopo?
«Azzurra sta tre mesi in ospedale. Io me la vado a vedere ogni giorno: piccolissima laggiù, nell’incubatrice».
Alla fine?
«Passati tre mesi non ce la faccio più, urlo ai dottori che me la devono dare. Pesava un chilo e sette. Un dottore buono capisce che sì, toccava a me. Me la danno. Per un anno non mi sono mai separata da lei. Nel tempo l’ho osservata, avevo paura che non camminasse, che qualcosa in lei non andasse». Invece?
«Suor Costantina mi dice: “tranquilla, il miracolo Dio te lo ha fatto per intero”».
Un momento emozionante della crescita di Azzurra?
«I primi passi. Non erano solo passi quelli, significavano molto di più».
Il miracolo per intero?
«Che sia stato un miracolo non sono io a dirlo. C’è stata una commissione che lo ha preso in esame. Nel 2005 in Vaticano è avvenuta la beatificazione di Madre Mastena, sono arrivate le suorine dell’ordine da ogni parte del mondo. Azzurra era in prima fila».
Sandra Milo?
«Io peccatrice in disparte, su un lato». Si sente peccatrice?
«Intanto non credo all’inferno».
Oltre la morte?
«C’è il paradiso. Io mi vedo lì». Motivo?
«Ho cercato di fare del mio meglio». E?
«A volte ci sono riuscita».