DUE BAMBINE ABUSATE E UCCISE LA CAMORRA “SCEGLIE” 3 RAGAZZI LA FAME DI MOSTRI FA IL RESTO
Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo sono i ragazzi ritratti nelle foto di questa settimana. Ho pensato e chiesto di mostrare i loro volti nonostante siano in manette. Ho chiesto anche di non pixellarli perché li dovete vedere: se innocenti, avrebbero ingiustamente trascorso 30 anni in carcere.
Il 2 aprile 2006 il quotidiano Cronache di Napoli portava fuori dal 41bis un appello dei boss detenuti a Viterbo, (apparentemente) indirizzato ai rapitori del piccolo Tommaso Onofri, sequestrato a Parma: «Liberatelo e nessuno vi toccherà». Ho denunciato questo titolo molte volte perché il suo scopo era quello di creare consenso attorno ai boss, che mai hanno davvero rispettato le vite dei bambini. L’elenco dei minori uccisi dagli affiliati è lunghissimo, lungo è quello dei minori utilizzati per confezionare dosi, spacciare in strada, fare da sentinelle e da sicari. Ricordate questo dettaglio, perché nella storia che sto per raccontarvi è centrale.
Giulio Golia e Francesca Di Stefano hanno condotto un’importantissima inchiesta per Le Iene che dovete vedere. Come lo stesso Golia afferma a inizio trasmissione (Massacro di Ponticelli: mostri o innocenti?), probabilmente vi troverete davanti a uno dei più clamorosi errori giudiziari avvenuti nel nostro Paese, che avrebbe portato alla condanna all’ergastolo di tre innocenti. Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo sono i tre ragazzi ritratti nelle foto di questa settimana. In accordo con questo giornale, ho deciso di mostrare i loro volti nonostante siano in manette. Voglio spiegare questa scelta. Imperante, La Rocca e Schiavo oggi sono uomini liberi, ma hanno deciso di raccontare in tv la vicenda giudiziaria che li ha coinvolti da giovanissimi perché chiedono, per l’ennesima volta, la revisione del processo. Ho chiesto di non pixellare i loro volti perché li dovete vedere: se venisse provata la loro innocenza, avrebbero ingiustamente trascorso 30 anni in carcere al posto di qualcun altro, per responsabilità di chi ha condotto le indagini e di chi le ha manipolate.
Tutto inizia il 2 luglio 1983 nel quartiere napoletano di Ponticelli, abitato da persone semplici e perbene, sede di una piazza di spaccio importante. Due bambine, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, vengono rapite e abusate. I loro corpi, bruciati, verranno trovati a pochi chilometri da casa. Inizia
TORNIAMO AL 1983, SIAMO A PONTICELLI, NAPOLI. L’EX BOSS ORIENTA L’INDAGINE PER CHIUDERE PRESTO IL CASO
una gara tra polizia e carabinieri che non collaborano, seguono piste diverse, giungono a conclusioni diverse, interrogano decine di persone con metodi che ricorderebbero quanto è accaduto a Stefano Cucchi. Mentre Golia ripercorre la vicenda, la sensazione forte è quella di trovarsi immersi in una tempesta perfetta. Una procura, quella di Napoli del tempo, che da poche settimane aveva arrestato Enzo Tortora, in balia di magistrati affamati di carriera e ubriachi di fama; una caserma dei carabinieri, la Pastrengo di Napoli, in cui non era ben chiaro che ruolo giocassero i pentiti di camorra, liberi di circolare, intimidire, dettare legge in un luogo che mai avrebbe dovuto essergli accessibile. E infine un’opinione pubblica che ha sempre sete di vendetta. Che vuole il mostro e lo vuole subito. Questa responsabilità dobbiamo prendercela!
Manca qualcosa, però. Ricordate il dettaglio iniziale sulla camorra che, per ottenere consenso, vendica i delitti sui bambini? Ebbene, la camorra non tocca i tre ragazzi in carcere; anzi, ci tiene a fargli sapere che possono stare tranquilli; che seppur accusati di aver commesso un delitto efferato le cui vittime sono due bambine, a loro non verrà torto un capello. Ma come fa la camorra a sapere che Imperante, La Rocca e Schiavo sarebbero innocenti? Perché, secondo quanto emergerebbe da uno studio attento degli atti processuali, sarebbe stato proprio l’ex boss di Ponticelli, il pentito Mario Incarnato, “di casa” alla Pastrengo, dove venivano svolti gli interrogatori, a indirizzare l’accusa verso i tre ragazzi. Il motivo? Chiudere il caso e riportare la pace nel quartiere.
Con polizia, carabinieri e magistrati in giro, la piazza di spaccio si ferma, i cantieri aperti dopo il terremoto del 1980 non possono lavorare. Sull’altare degli affari criminali, sarebbero stati immolati tre innocenti, con l’aiuto di chi avrebbe dovuto lavorare per una verità giudiziaria che si avvicinasse alla verità dei fatti, non a quella che faceva comodo a tutti.
Giulio, ho raccolto il tuo appello, spero sia utile.
CHE COSA SUCCESSE NELLA PROCURA DEL CASO TORTORA E NELLA CASERMA PASTRENGO. UN’INCHIESTA DELLE IENE ACCUSA