2-IL PAESE LA MICCIA PENSIONI ESPLOSA TRA LE TRINCEE DELL’ÉGALITÉ
l di là dello stile di governo del capo dello Stato, come va l’economia francese? Non male, a giudicare da molti indicatori. Quello più visibile anche se poco rappresentativo della salute complessiva l’ha fornito qualche giorno fa la classifica 2023 dei miliardari di Forbes: l’uomo più ricco del mondo e la donna più ricca del mondo sono francesi. Bernard Arnault, fondatore e capo del gruppo del lusso LVMH (Louis Vuitton, Christian Dior, Bulgari etc.), e Françoise Bettencourt Meyers, erede dell’impero dei cosmetici L’Oréal, superano gli americani Elon Musk (Tesla) e Alice Walton (WalMart). Non era mai successo, e questo record altrove sarebbe stato accolto con almeno una punta di orgoglio nazionale. Non in Francia.
Difficile gioire per la ricchezza dei miliardari, in un Paese che ha la parola égalité nel motto nazionale. Secondo Pascal Bruckner, autore di un fortunato saggio sulla Saggezza del denaro, «l’atteggiamento francese nei confronti del denaro è ipocrita come quello degli americani verso il sesso. La Francia vive in una sorta di schizofrenia: è una Repubblica, ma la scenografia è monarchica, lussuosa, con i palazzi, le prefetture, l’Eliseo. Un Paese monarchico nei suoi rituali, ma pauperista nella retorica. In Francia c’è un amore segreto del denaro che si traduce in un odio esibito verso la ricchezza, specie quella degli altri».
Anche per questo ha suscitato grande entusiasmo la proposta della ong Oxfam France: per recuperare i 12 miliardi che mancano alle casse dello Stato, invece di riformare le pensioni lavorando fino a 64 anni, basterebbe tassare del 2% i 43 miliardari francesi.
Sul piano economico, la Francia è un’Unione sovietica che ce l’ha fatta, diceva Jacques Lesourne, economista ed ex direttore di Le Monde, per indicare il peso dello Stato e anche la notevole redistribuzione della ricchezza, con l’eccellenza delle scuole pubbliche e del sistema sanitario e con i cospicui aiuti alle famiglie, soprattutto se numerose. Lesourne si riferiva soprattutto al periodo delle trente glorieuses, il periodo di boom economico tra la fine della Seconda guerra mondiale e lo choc petrolifero del 1973: quella prosperità spensierata è passata, ma l’aspirazione egalitaria è rimasta.
C’è uno strumento per verificare quanto la ricerca dell’égalité abbia tuttora effetti concreti nella società, ed è il coefficiente di Gini, che misura la diseguaglianza del reddito nella popolazione. Secondo Eurostat, nel 2021 la media europea è 30,1. La Francia
A
resta più egalitaria della media perché si ferma a 29,3, meglio dell’Italia (32,9) e della Germania (30,9), nonostante Macron venga accusato di essere «il presidente dei ricchi».
Un’etichetta che gli è rimasta attaccata per il passato di banchiere da Rothschild (peccato originale che non gli viene perdonato soprattutto negli ambienti più complottisti, al limite dell’antisemitismo), e anche per avere rispolverato la controversa teoria economica del ruissellement, nota anche come trickle down o «della goccia»: bisogna incoraggiare e sostenere i più agiati, perché la loro ricchezza finirà per scendere in basso fino agli strati meno abbienti. Se così fosse, gli exploit di Bernard Arnault e Françoise Bettencourt Meyers andrebbero salutati con manifestazioni di gioia popolare, che invece sono mancate.
Macron sembra comunque avere deciso di dare una mano alle gocce del ruissellement, e ha chiesto alle grandi aziende che negli ultimi mesi hanno fatto profitti eccezionali di redistribuirli ai dipendenti, invece di usarli per comprare le loro azioni facendone aumentare il valore.
In ogni caso, il presidente contestato può vantare non pochi successi in economia. Il primo è quello nella lotta contro la disoccupazione, un tempo priorità assoluta di tanti governi incapaci di arginarla e oggi stranamente poco valorizzata. Negli ultimi due anni la politica di Macron ha prodotto 1,2 milioni di posti di lavoro, e la disoccupazione è al punto più basso da 15 anni a questa parte; 7,1 % (in Italia 7,8), con la prospettiva credibile di arrivare presto al 5%. Se è facile fare sarcasmo sull’idea di start-up nation comunicata da Macron, bisogna anche riconoscere che la Francia è il Paese europeo che attira di più gli investimenti stranieri — 1725 progetti nel 2022, +7% rispetto all’anno precedente —, mai così presenti. E quasi la metà di questi investimenti viene effettuata nei comuni con meno di 20 mila abitanti, un modo per decentralizzare l’attività economica lontano da Parigi e dalle altre grandi metropoli, e attenuare il divario tra la capitale e il resto del Paese.
L’inflazione in Francia è più bassa che in Italia e nel resto dell’Europa (tranne Malta), e i costi dell’energia sono aumentati meno che altrove grazie ai generosi aiuti e rimborsi del governo. Quanto alla competitività del mercato del lavoro, nonostante la celebre legge sulle «35 ore» settimanali, le regole elastiche e le molte deroghe fanno sì che i francesi lavorino di fatto 37 ore contro le 35 reali dei tedeschi, per una produttività più o meno uguale.
Il dato che più preoccupa Macron è il debito pubblico, arrivato a tremila miliardi di euro a inizio 2023, con un aumento di 600 miliardi in soli quattro anni, sotto il peso della pandemia e della crisi energetica. Due anni fa la Francia otteneva denaro in prestito a tasso zero, nel 2022 a 0,4%, quest’anno a un tasso superiore al 3%. Secondo il presidente, per frenare lo spread i francesi devono rilanciare il Pil sopportando il sacrificio di lavorare fino a 64 anni, quando oltretutto i vicini italiani lavorano fino a 67. Secondo molti francesi, il sacrificio possono benissimo farlo i miliardari. Stefano Montefiori
UN MILIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO, INVESTIMENTI STRANIERI MAI COSÌ. MA SUI 62 ANNI NON CI SONO SPIRAGLI: «PAGHINO I RICCHI»