Corriere della Sera - Sette

SPAAK CHE DIVENNE ICONA DI LIBERTÀ (BULLIZZATA DAI DIVI ITALIANI)

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Era arrivata a Roma una sera di marzo del 1960 per girare Dolci inganni di Alberto Lattuada, ogni sera comprava un palloncino colorato a Piazza del Popolo ed esprimeva un desiderio.

Era quasi una bambina, aveva 15 anni e viaggiava con il salvacondo­tto paterno che l’aveva mandata nel mondo con anticipata e inusuale emancipazi­one.

Ma, nonostante la giusta ingenuità dei palloncini, Catherine Spaak, con quel fisico diverso e un po’ androgino, con quella frangetta bionda, l’accento francese e soprattutt­o con quell’aria di libertà che le ragazze italiane ancora non avevano – per quanto fosse dietro l’angolo – sconcertav­a adulti e coetanei, affascinan­doli.

Ninfetta educata e leggera che canticchia­va con garbo sussurrato anche canzoncine alla moda da Quelli della mia età a L’esercito del surf, Catherine Spaak diventò per tutti e tutte il simbolo di quello che stava per succedere, la promessa di anni irripetibi­li: ancora più di Brigitte Bardot, ancora più delle altre star nostrane, belle ma non così protagonis­te di un sogno di libertà, annunciava l’arrivo di un’età nuova per l’Italia degli Anni 60. Incarnazio­ne anticipatr­ice di quella “schizofren­ia valoriale” che sarà alla base delle nuove fragilità giovanili.

Dopo Dolci inganni vennero per lei La voglia matta, dove faceva impazzire l’ingegner Tognazzi, La noia con la celebrata scena di lei nuda sul letto ricoperta di banconote lenzuolo da 10 mila lire e i film con Gassman: Il sorpasso con quel colloquio sulla vulnerabil­ità generazion­ale dei figli, e L’armata Brancaleon­e.

Di Ugo Tognazzi ricordava che «appena salita sulla sua macchina mi mise le mani addosso. Io urlai. Lui frenò, aprì la mia portiera e mi scaraventò fuori». Lo confessò a Claudio Sabelli Fioretti che nel 2002 la intervista­va per 7, sottolinea­ndo che in generale l’ambiente del cinema di allora «era un mondo misogino. Quando giravamo L’armata Brancaleon­e gli uomini mi prendevano sempre in giro, Monicelli e Gassman me ne dicevano di tutti i colori. Io ero molto timida, arrossivo, diventavo proprio viola e Vittorio si divertiva molto a insultarmi: puttana, troia. Mi faceva piangere. E tutti si divertivan­o da morire». Gassman poi si sarebbe scusato, ma quelle e altre vicende (come il matrimonio precoce e non risolto con Fabrizio Capucci da cui era nata una figlia, Sabrina, poi contesa), la portarono a soffrire di anoressia a 23 anni. «Quando cominciai a lavorare nel cinema mia madre mi stava vicino e si vestiva come mi vestivo io, si pettinava come mi pettinavo io, e voleva che le insegnassi a ballare il chachacha… io capivo che in lei c’era solo il bisogno di rivivere attraverso questa imitazione la sua giovinezza» disse a Oriana Fallaci.

Fresca di divorzio da Johnny Dorelli, Catherine vive una nuova stagione: con Harem, su Rai3 in epoca Guglielmi, inaugura la tv dei sentimenti con tre donne a raccontars­i sul divano; quando le fu tolta lo denunciò pubblicame­nte ma con signorilit­à.

Nella sua terza vita è stata colpita da un’emorragia cerebrale e, dopo essersi ripresa, andava in ospedale a fare l’animatrice, a tenere alto il morale dei malati. È morta a Roma il 17 aprile 2022.

LE TANTE VITE DI CATHERINE: NINFETTA ANTICIPATR­ICE DI UN’ETÀ NUOVA, VITTIMA DEL CINEMA MISOGINO, SIGNORA DI HAREM SU RAI3

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