DALLA LAMPADA DI CASTIGLIONI ALLO SPREMIAGRUMI DI STARCK: PERCHÉ ALCUNI OGGETTI FANNO LA STORIA? LO ABBIAMO CHIESTO A MARIO BELLINI E A FABIO NOVEMBRE
rentadue anni di differenza e venti centimetri di distanza: Mario Bellini e Fabio Novembre siedono l’uno di fronte all’altro in una Milano già riscaldata dall’esuberanza del Salone del Mobile imminente. Due designer rappresentanti di altrettante generazioni di artisti del progetto, ma soprattutto due grandi amici. E così, questa conversazione — che si snoderà sullo sfondo della bellissima casa di Bellini, in pieno centro — sarà punteggiata di battute, ricordi, allusioni, aneddoti. Fino a quando la distanza tra il grande architetto ottantottenne e il geniale designer-artista cinquantaseienne finirà per annullarsi in un giocoso scambio di abbracci. E di sedie: perché al centro del salotto troneggiano la Teneride di Bellini, una onirica ala nera che avvolge sé stessa, disegnata per Cassina nel 1970, e la rossa faccia di Nemo, la testa-poltrona che Novembre ha progettato per Driade nel 2010.
Fabio Novembre: «Mario, se ti fa piacere la mia sedia te la regalo. E in questa bella casa dovremmo fare una festa prima o poi».
Mario Bellini: «Ogni oggetto qui ha il suo preciso posto, ogni libro abita un angolo tutto suo. Pensa che fatica, poi, rimettere tutto a posto».
Diversi per indole e per metodo, forse tra le cose che vi accomunano c’è
Tl’attenzione maniacale per i dettagli? Fabio Novembre: «Vorrei subito premettere che io sono un uomo fortunato perché Bellini non è solo uno dei miei maestri, ma è anche un amico. Per me è un privilegio condividere con lui idee e considerazioni. Credo che il mio sia un design fortemente autobiografico, dietro tanti pezzi da me firmati ci sono le mie storie, i miei amori, le mie delusioni e le mie conquiste. Bellini invece ha sempre messo molta attenzione all’oggetto, pensandolo e progettandolo in una compatta interezza».
È per questo che per molti Bellini rappresenta il «re Mida» delle aziende?
Mario Bellini: «Però anche dietro ad alcuni miei pezzi ci sono delle storie. Volete sapere, per esempio, com’è nata la sedia Cab (disegnata per Cassina nel 1977, ndr)? Allora, nei laboratori dell’azienda c’erano tanti architetti che avevano bisogno di uno sprone. Pensai di dovergli dare un’idea. Così mandai uno di loro a prendermi un tondino di metallo e, nell’aria, disegnai il profilo di una sedia semplicissima, come quelle che inventano i bambini. Intorno a quel leggero scheletro di metallo, poi, misi del panno e rivestii tutto con dell’ottimo cuoio, quello delle selle, cucendo saldamente i bordi. Nacque così Cab, leggera e comoda».
La comodità, concetto controverso: qualche volta il design ha privilegiato la scomodità.
FABIO NOVEMBRE
GLI STUDI Pugliese di Lecce, Fabio Novembre nasce il 21 ottobre 1966, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano per poi seguire corsi di regia cinematografica alla New York University
LE ICONE
Nel 2001 comincia a collaborare con importanti brand
internazionali del design, come Cappellini e Driade. Proprio per Driade realizza uno dei suoi più grandi successi, la sedia in polietilene Nemo. Si dedica anche alla divulgazione: fra i suoi scritti il volume Il design spiegato a mia madre (Rizzoli, 2010)
Mario Bellini: «Se uno fa una cosa scomoda o si deve prendere a calci nel sedere oppure deve fare un ragionamento sulla scomodità. È funzionale? E come? E per chi?».
Di certo, la Sedia per visite brevissime di Bruno Munari, del 1945, con il sedile inclinato e scivoloso per invitare gli ospiti ad andare via in fretta, è scomoda per definizione.
Fabio Novembre: «Il concetto di scomodità mi depista, mi confonde. Un letto di chiodi può essere scomodo per noi, ma non per un fachiro».
Va bene, facciamo un esempio più concreto: la poltrona Sacco disegnata per Zanotta da Teodoro, Paolini e Gatti e resa celebre dai film di Paolo Villaggio con Giandomenico Fracchia è scomoda o no?
Mario Bellini: «Per me non è scomoda, è intelligente, perché sopra ti ci metti come vuoi, è la poltrona che si adatta al corpo».
Fabio Novembre: «Quel pezzo è geniale. Era il 1968, la società italiana stava cambiando radicalmente e Aurelio Zanotta decise di dedicare l’intero suo stand del Salone soltanto a quella poltrona, peraltro disegnata da tre semi-sconosciuti. Una follia, ma anche un atto di coraggio, al passo con quei tempi».
Mario Bellini: «È un pezzo di storia del costume, perché il design è questo, uno strumento per leggere il tempo che viviamo».
A proposito di lettura del tempo: pensate anche voi che oggi il rapporto con il design sia più tattile e sensoriale, rispetto al passato? Pensiamo ai telefonini, ai tablet, ai computer: trascorriamo ore a toccare le superfici.
Fabio Novembre: «Secondo me la sensorialità per come la viviamo oggi è un’illusione. Gli schermi degli smartphone sono intuitivi, ma non caldi, o freddi, o rugosi o lisci. Sfioriamo, non tocchiamo. O, meglio,
La poltrona Proust disegnata da Alessandro Mendini nel 1975; il divano Adaptation disegnato da Novembre per Cappellini nel 2016; la Sedia per visite brevissime di Bruno Munari del 1945 (sinistra) e la Cutter di Bellini; il divano Le bambole disegnato da Bellini per B&B Italia nel 1972, in una foto di Oliviero
Toscani con Donna Jordan ci illudiamo di toccare, come quando desideriamo qualcuno virtualmente. Io ho disegnato una sedia che riproduce un sedere (maschile e femminile, nei modelli Him e Her, per Casamania, ndr) ma la sensualità qui diventa ironia, dunque distanza».
Mario Bellini: «L’emozione, nel design, è una forma di funzione. Io non credo al vecchio modo di dire form follows function, la forma segue la funzione, perché sono convinto che la bellezza della forma abbia essa stessa una sua importante funzione, forse quella principale. Quando ho disegnato sedie come la Cutter, per esempio, non ho pensato solo alla banale esigenza di sedersi. Così come quando ho progettato un divano come Le Bambole (per B&B Italia, nel 1972, ndr) ho pensato a una forma accogliente, a un vero e proprio abbraccio».
Fabio Novembre: «Vorrei precisare che Le Bambole di Bellini è stato il primo divano con imbottitura a schiuma, una rivoluzione. La campagna stampa che allora curò Oliviero Toscani, con una bellissima testimonial come Donna Jordan che si lascia abbracciare dalle curve di stoffa, resta ancora oggi un classico della comunicazione».
Il suo divano più bizzarro, Novembre, si chiama Adaptation è si presenta sbilenco, perché?
Fabio Novembre: «Perché nasce dalla mia separazione matrimoniale: mi sentivo così, storto, senza una gamba, avevo bisogno di coltivare l’adattamento, dunque una riconquista della comodità. L’ho detto che il mio è un design biografico».
Se pensiamo alla comodità e alla funzionalità, uno dei pezzi storici che viene in mente è la lampada Arco disegnata da Achille & Pier Giacomo Castiglioni nel 1962 per Flos. Che cosa ne pensate?
Mario Bellini: «Una cosa geniale». Fabio Novembre: «Penso che sia un’innovazione anche architettonica, pensiamo
BELLINI: «LA POLTRONA SACCO È UN PEZZO DI STORIA DEL COSTUME. PERCHÉ IL DESIGN È QUESTO: STRUMENTO PER LEGGERE IL TEMPO CHE VIVIAMO»
a quell’arco che porta la luce da una parte all’altra della stanza, pare un’architettura di Pier Luigi Nervi. Nessuno aveva mai fatto una cosa simile prima e questo ci dimostra che la storia del design italiano non è mai solo una storia di “cose funzionali”: è un insieme di elementi, che vanno dall’arte all’architettura».
Però nella storia evolutiva del design, almeno per come lo conosciamo oggi, qualche volta c’è anche un sottile piacere per le cose inutili. Un esempio: lo spremiagrumi Juicy Salif disegnato da Philippe Starck nel 1988 per
Alessi. Dal 1990, anno in cui Alessi ha cominciato a produrlo, è entrato a far parte delle collezioni di decine di musei in tutto il mondo, compreso il MoMa di New York e il Centre Pompidou di Parigi.
Mario Bellini: «Ma la spremuta non riesci a farla, perché tutti i semi ti finiscono nel bicchiere. Che senso ha?»
Fabio Novembre: «Eppure io penso che sia l’oggetto migliore di Starck. Perché è diventato un’opera d’arte che basta a sé stessa, al di là dell’utilità. Voglio dire: compri uno spremiagrumi e ti ritrovi una scultura ambita dai maggiori musei, non è forse genialità questa?»
Mario Bellini: «Ma dai».
Proseguendo in questa ideale linea evolutiva del design troviamo un’altra forma di inutilità, figlia del movimento post moderno: meno sterile e più gioiosa, autoironica. Per esempio, la poltrona Proust di Alessandro Mendini. Che ne dite?
Mario Bellini: «Penso che sia stato un puro divertissement. Conoscendo bene Mendini sin dai banchi di scuola, credo di riuscire a cogliere quella provocazione».
Fabio Novembre: «Mendini prende una poltrona del barocchetto brianzolo e la dipinge ispirandosi al pointillisme di Seurat. Più che una poltrona, quella è una tela. Sta tutto qui. È l’annullamento dell’oggetto, potremmo dire, un ulteriore passo avanti in questa storia del design».
Bellini, che cosa è per lei un tavolo?
Mario Bellini: «Un oggetto importantissimo nella storia umana. Pensiamo all’Ultima Cena. Se andiamo indietro nei millenni, scopriamo che anche gli uomini delle caverne a un certo punto dovevano trovare un punto di appoggio per mangiare. Il tavolo migliore è quello tondo, perché gli angoli sono elementi critici: tolgono spazio, creano difficoltà».
Fabio Novembre: «A questo proposito, uno dei tavoli che hanno segnato la storia del design è Tulip di Eero Saarinen, progettato per Knoll nel 1957. Ricorda un tulipano che fiorisce, ha forma tondeggiante e un punto di appoggio ben saldo. È insieme funzionale e bello. Io nel mio Org ho voluto invece raccontare il mondo sotto al tavolo: da bambini ci si nascondeva lì anche per sfuggire al “mondo di sopra” dove gli adulti discutevano e prendevano decisioni cruciali».
Mario Bellini: «Tra quelli che ho disegnato io mi piace ricordare Torsion, con la struttura portante che fa venire in mente un tronco contorto, una cosa suggestiva. Anche qui, come in altri miei pezzi, c’è un’eco delle cose che ho visto nei miei numerosi viaggi. Posso dire di aver letteralmente girato il mondo: ho assorbito abitudini, modi di vivere e di pensare. In Giappone l’altezza del tavolo è diversa da quella che hanno, per esempio, gli americani. Questo cambia la prospettiva».
Così come il dormire ci caratterizza perché ogni sonno è differente. Che cosa è il letto nella storia del design?
Mario Bellini: «Qualcosa che deve essere progettato per far stare bene le persone. Se ha le gambe troppo in vista si rischia di inciampare di notte. Se il comodino è troppo distante oppure in una posizione troppo elevata rispetto al materasso si sta scomodi. Non parliamo poi della lampada da comodino, che deve essere a portata
NOVEMBRE: «LO SPREMIAGRUMI È L’OGGETTO MIGLIORE DI STARCK, UN’OPERA D’ARTE CHE BASTA A SÉ STESSA, AL DI LÀ DELL’UTILITÀ»
di mano. Una di quelle che amo di più è quella lunga, con un cono che diffonde la luce...».
Fabio Novembre: «Mi sa che ti stai riferendo a Miss K, disegnata da Philippe Starck per Flos».
Mario Bellini: «Forse sì, non ricordo bene».
Starck: o lo si ama o lo si detesta. È un nome molto divisivo, come anche altri nel mondo del design contemporaneo. È così?
Fabio Novembre: «Per me è il classico elefante nella stanza, con la sua pervasività riesce a dare un’idea di compostezza». Tornando al letto, se dovessimo trovare un pezzo che ha fatto la storia del design quale citereste?
Fabio Novembre: «Io dico Nathalie di Vico Magistretti per Flou, prodotto nel 1978. Vale a dire il primo letto tessile moderno, imbottito e sfoderabile. Tu lo guardi e ti chiedi: ma di che cosa stiamo parlando? Questo mette a tacere tutti. Un’idea innovativa e coraggiosa, secondo me».
Mario Bellini: «Io ho sempre concepito il letto come un arcipelago composto di diverse cose. Compresa la panchetta per poterti allacciare le scarpe e per metterti le calze, quella che una volta era presente in quasi tutte le camere».
Fabio Novembre: «Ma oggi le stanze sono più piccole, gli spazi ridotti e questi elementi sono meno diffusi. Io invece ho progettato dei letti pensando prima a delle fiabe della buonanotte. Ancora una volta parto dalla narrazione». Se vi dico chaise longue che cosa vi viene in mente?
Fabio Novembre: «Ovviamente Le Corbusier».
Mario Bellini: «Un oggetto affascinante, la chaise longue c’era anche nel Settecento, poco adatta alle donne, con quei vestiti enormi che le infagottavano. Io ne ho presa una firmata da
Alvar Aalto».
LC4 è forse la chaise longue più famosa, il prototipo è del 1928, creato per Cassina in team con Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand.
Fabio Novembre: «È un classico, uno di quegli oggetti che disegnano una funzione, lo guardi e individui subito che cos’è anche se di design capisci poco o nulla. Io ho disegnato S.O.S. che sta per Sofa of Solitude, una specie di sarcofago che accoglie il tuo corpo e in qualche modo lo consola. Manco a dirlo, anche questo nasce da una delusione amorosa».
Volendo azzardare un ponte intellettuale tra voi due, si potrebbe ipotizzare una sorta di erotismo sottile? Più evidente in Novembre, meno evidente in Bellini, ma comunque ricorrente. In fondo, entrambi avete riflettuto a lungo sul corpo.
Mario Bellini: «Penso che in molti dei miei lavori questa attenzione al corpo ci sia».
Fabio Novembre: «Be’, prendiamo la tua Divisumma, calcolatrice elettronica prodotta da Olivetti nel 1972. Ha due bottoncini che paiono due piccoli e delicati capezzoli. Penso che questo aspetto erotico del lavoro di Bellini sia tutto ancora da esplorare».
Rientriamo in territori più sobri. La Conica di Aldo Rossi, la caffettiera disegnata per Alessi nel 1984: possiamo inserirla in questa cavalcata attraverso «pezzi facili» per tratteggiare una storia evolutiva del design?
Mario Bellini: «In Rossi c’è tutto: poesia, precisione, attenzione ai materiali. Io possiedo uno dei suoi famosi teatrini, piccole strutture illuminate all’interno. Con il telefono mi sono divertito a esplorare e a fotografare la parte illuminata, sembra una piccola luna che diffonde luce».
Fabio Novembre: «La caffettiera di Rossi è uno degli esempi, forse il più famoso, del design che si manifesta nelle piccole
BELLINI: «IN ROSSI C’È TUTTO: POESIA, PRECISIONE, ATTENZIONE AI MATERIALI. POSSIEDO UNO DEI SUOI FAMOSI TEATRINI, SEMBRA UNA PICCOLA LUNA»
cose, una grande ricchezza italiana e non solo. Questi oggetti entrano nell’immaginario di tutti grazie a una forte riconoscibilità. E poi permettono di poter avere un casa un pezzo di design. Sia Mario che io abbiamo progettato tanti piccoli oggetti per Kartell, che secondo me è uno dei simboli del cosiddetto lusso democratico, cioè permette di avere in casa un oggetto di valore spendendo relativamente poco». Questa conversazione dimostra che si può lavorare nel mondo del design, tra i più competitivi, e rimanere amici?
Mario Bellini: «Ma certo, l’invidia è una cosa brutta e non ci piace».
Fabio Novembre: «Io immagino questo mondo come una sorta di staffetta. Mi piace pensare di raccogliere il testimone di persone come Mario, e spero un giorno di cedere il posto, a mia volta, a talenti più giovani. Nel frattempo, guardo, osservo, assorbo e provo a godermi la bellezza che il nostro Paese è stato ed è capace di far nascere».
NOVEMBRE: «MI PIACE PENSARE DI RACCOGLIERE IL TESTIMONE DA PERSONE COME MARIO, E SPERO UN GIORNO DI CEDERE IL POSTO AI PIÙ GIOVANI»