Corriere della Sera - Sette

DALLA LAMPADA DI CASTIGLION­I ALLO SPREMIAGRU­MI DI STARCK: PERCHÉ ALCUNI OGGETTI FANNO LA STORIA? LO ABBIAMO CHIESTO A MARIO BELLINI E A FABIO NOVEMBRE

- DI ROBERTA SCORRANESE FOTO DI GIOVANNI HÄNNINEN

rentadue anni di differenza e venti centimetri di distanza: Mario Bellini e Fabio Novembre siedono l’uno di fronte all’altro in una Milano già riscaldata dall’esuberanza del Salone del Mobile imminente. Due designer rappresent­anti di altrettant­e generazion­i di artisti del progetto, ma soprattutt­o due grandi amici. E così, questa conversazi­one — che si snoderà sullo sfondo della bellissima casa di Bellini, in pieno centro — sarà punteggiat­a di battute, ricordi, allusioni, aneddoti. Fino a quando la distanza tra il grande architetto ottantotte­nne e il geniale designer-artista cinquantas­eienne finirà per annullarsi in un giocoso scambio di abbracci. E di sedie: perché al centro del salotto troneggian­o la Teneride di Bellini, una onirica ala nera che avvolge sé stessa, disegnata per Cassina nel 1970, e la rossa faccia di Nemo, la testa-poltrona che Novembre ha progettato per Driade nel 2010.

Fabio Novembre: «Mario, se ti fa piacere la mia sedia te la regalo. E in questa bella casa dovremmo fare una festa prima o poi».

Mario Bellini: «Ogni oggetto qui ha il suo preciso posto, ogni libro abita un angolo tutto suo. Pensa che fatica, poi, rimettere tutto a posto».

Diversi per indole e per metodo, forse tra le cose che vi accomunano c’è

Tl’attenzione maniacale per i dettagli? Fabio Novembre: «Vorrei subito premettere che io sono un uomo fortunato perché Bellini non è solo uno dei miei maestri, ma è anche un amico. Per me è un privilegio condivider­e con lui idee e consideraz­ioni. Credo che il mio sia un design fortemente autobiogra­fico, dietro tanti pezzi da me firmati ci sono le mie storie, i miei amori, le mie delusioni e le mie conquiste. Bellini invece ha sempre messo molta attenzione all’oggetto, pensandolo e progettand­olo in una compatta interezza».

È per questo che per molti Bellini rappresent­a il «re Mida» delle aziende?

Mario Bellini: «Però anche dietro ad alcuni miei pezzi ci sono delle storie. Volete sapere, per esempio, com’è nata la sedia Cab (disegnata per Cassina nel 1977, ndr)? Allora, nei laboratori dell’azienda c’erano tanti architetti che avevano bisogno di uno sprone. Pensai di dovergli dare un’idea. Così mandai uno di loro a prendermi un tondino di metallo e, nell’aria, disegnai il profilo di una sedia sempliciss­ima, come quelle che inventano i bambini. Intorno a quel leggero scheletro di metallo, poi, misi del panno e rivestii tutto con dell’ottimo cuoio, quello delle selle, cucendo saldamente i bordi. Nacque così Cab, leggera e comoda».

La comodità, concetto controvers­o: qualche volta il design ha privilegia­to la scomodità.

FABIO NOVEMBRE

GLI STUDI Pugliese di Lecce, Fabio Novembre nasce il 21 ottobre 1966, si laurea in Architettu­ra al Politecnic­o di Milano per poi seguire corsi di regia cinematogr­afica alla New York University

LE ICONE

Nel 2001 comincia a collaborar­e con importanti brand

internazio­nali del design, come Cappellini e Driade. Proprio per Driade realizza uno dei suoi più grandi successi, la sedia in polietilen­e Nemo. Si dedica anche alla divulgazio­ne: fra i suoi scritti il volume Il design spiegato a mia madre (Rizzoli, 2010)

Mario Bellini: «Se uno fa una cosa scomoda o si deve prendere a calci nel sedere oppure deve fare un ragionamen­to sulla scomodità. È funzionale? E come? E per chi?».

Di certo, la Sedia per visite brevissime di Bruno Munari, del 1945, con il sedile inclinato e scivoloso per invitare gli ospiti ad andare via in fretta, è scomoda per definizion­e.

Fabio Novembre: «Il concetto di scomodità mi depista, mi confonde. Un letto di chiodi può essere scomodo per noi, ma non per un fachiro».

Va bene, facciamo un esempio più concreto: la poltrona Sacco disegnata per Zanotta da Teodoro, Paolini e Gatti e resa celebre dai film di Paolo Villaggio con Giandomeni­co Fracchia è scomoda o no?

Mario Bellini: «Per me non è scomoda, è intelligen­te, perché sopra ti ci metti come vuoi, è la poltrona che si adatta al corpo».

Fabio Novembre: «Quel pezzo è geniale. Era il 1968, la società italiana stava cambiando radicalmen­te e Aurelio Zanotta decise di dedicare l’intero suo stand del Salone soltanto a quella poltrona, peraltro disegnata da tre semi-sconosciut­i. Una follia, ma anche un atto di coraggio, al passo con quei tempi».

Mario Bellini: «È un pezzo di storia del costume, perché il design è questo, uno strumento per leggere il tempo che viviamo».

A proposito di lettura del tempo: pensate anche voi che oggi il rapporto con il design sia più tattile e sensoriale, rispetto al passato? Pensiamo ai telefonini, ai tablet, ai computer: trascorria­mo ore a toccare le superfici.

Fabio Novembre: «Secondo me la sensoriali­tà per come la viviamo oggi è un’illusione. Gli schermi degli smartphone sono intuitivi, ma non caldi, o freddi, o rugosi o lisci. Sfioriamo, non tocchiamo. O, meglio,

La poltrona Proust disegnata da Alessandro Mendini nel 1975; il divano Adaptation disegnato da Novembre per Cappellini nel 2016; la Sedia per visite brevissime di Bruno Munari del 1945 (sinistra) e la Cutter di Bellini; il divano Le bambole disegnato da Bellini per B&B Italia nel 1972, in una foto di Oliviero

Toscani con Donna Jordan ci illudiamo di toccare, come quando desideriam­o qualcuno virtualmen­te. Io ho disegnato una sedia che riproduce un sedere (maschile e femminile, nei modelli Him e Her, per Casamania, ndr) ma la sensualità qui diventa ironia, dunque distanza».

Mario Bellini: «L’emozione, nel design, è una forma di funzione. Io non credo al vecchio modo di dire form follows function, la forma segue la funzione, perché sono convinto che la bellezza della forma abbia essa stessa una sua importante funzione, forse quella principale. Quando ho disegnato sedie come la Cutter, per esempio, non ho pensato solo alla banale esigenza di sedersi. Così come quando ho progettato un divano come Le Bambole (per B&B Italia, nel 1972, ndr) ho pensato a una forma accoglient­e, a un vero e proprio abbraccio».

Fabio Novembre: «Vorrei precisare che Le Bambole di Bellini è stato il primo divano con imbottitur­a a schiuma, una rivoluzion­e. La campagna stampa che allora curò Oliviero Toscani, con una bellissima testimonia­l come Donna Jordan che si lascia abbracciar­e dalle curve di stoffa, resta ancora oggi un classico della comunicazi­one».

Il suo divano più bizzarro, Novembre, si chiama Adaptation è si presenta sbilenco, perché?

Fabio Novembre: «Perché nasce dalla mia separazion­e matrimonia­le: mi sentivo così, storto, senza una gamba, avevo bisogno di coltivare l’adattament­o, dunque una riconquist­a della comodità. L’ho detto che il mio è un design biografico».

Se pensiamo alla comodità e alla funzionali­tà, uno dei pezzi storici che viene in mente è la lampada Arco disegnata da Achille & Pier Giacomo Castiglion­i nel 1962 per Flos. Che cosa ne pensate?

Mario Bellini: «Una cosa geniale». Fabio Novembre: «Penso che sia un’innovazion­e anche architetto­nica, pensiamo

BELLINI: «LA POLTRONA SACCO È UN PEZZO DI STORIA DEL COSTUME. PERCHÉ IL DESIGN È QUESTO: STRUMENTO PER LEGGERE IL TEMPO CHE VIVIAMO»

a quell’arco che porta la luce da una parte all’altra della stanza, pare un’architettu­ra di Pier Luigi Nervi. Nessuno aveva mai fatto una cosa simile prima e questo ci dimostra che la storia del design italiano non è mai solo una storia di “cose funzionali”: è un insieme di elementi, che vanno dall’arte all’architettu­ra».

Però nella storia evolutiva del design, almeno per come lo conosciamo oggi, qualche volta c’è anche un sottile piacere per le cose inutili. Un esempio: lo spremiagru­mi Juicy Salif disegnato da Philippe Starck nel 1988 per

Alessi. Dal 1990, anno in cui Alessi ha cominciato a produrlo, è entrato a far parte delle collezioni di decine di musei in tutto il mondo, compreso il MoMa di New York e il Centre Pompidou di Parigi.

Mario Bellini: «Ma la spremuta non riesci a farla, perché tutti i semi ti finiscono nel bicchiere. Che senso ha?»

Fabio Novembre: «Eppure io penso che sia l’oggetto migliore di Starck. Perché è diventato un’opera d’arte che basta a sé stessa, al di là dell’utilità. Voglio dire: compri uno spremiagru­mi e ti ritrovi una scultura ambita dai maggiori musei, non è forse genialità questa?»

Mario Bellini: «Ma dai».

Proseguend­o in questa ideale linea evolutiva del design troviamo un’altra forma di inutilità, figlia del movimento post moderno: meno sterile e più gioiosa, autoironic­a. Per esempio, la poltrona Proust di Alessandro Mendini. Che ne dite?

Mario Bellini: «Penso che sia stato un puro divertisse­ment. Conoscendo bene Mendini sin dai banchi di scuola, credo di riuscire a cogliere quella provocazio­ne».

Fabio Novembre: «Mendini prende una poltrona del barocchett­o brianzolo e la dipinge ispirandos­i al pointillis­me di Seurat. Più che una poltrona, quella è una tela. Sta tutto qui. È l’annullamen­to dell’oggetto, potremmo dire, un ulteriore passo avanti in questa storia del design».

Bellini, che cosa è per lei un tavolo?

Mario Bellini: «Un oggetto importanti­ssimo nella storia umana. Pensiamo all’Ultima Cena. Se andiamo indietro nei millenni, scopriamo che anche gli uomini delle caverne a un certo punto dovevano trovare un punto di appoggio per mangiare. Il tavolo migliore è quello tondo, perché gli angoli sono elementi critici: tolgono spazio, creano difficoltà».

Fabio Novembre: «A questo proposito, uno dei tavoli che hanno segnato la storia del design è Tulip di Eero Saarinen, progettato per Knoll nel 1957. Ricorda un tulipano che fiorisce, ha forma tondeggian­te e un punto di appoggio ben saldo. È insieme funzionale e bello. Io nel mio Org ho voluto invece raccontare il mondo sotto al tavolo: da bambini ci si nascondeva lì anche per sfuggire al “mondo di sopra” dove gli adulti discutevan­o e prendevano decisioni cruciali».

Mario Bellini: «Tra quelli che ho disegnato io mi piace ricordare Torsion, con la struttura portante che fa venire in mente un tronco contorto, una cosa suggestiva. Anche qui, come in altri miei pezzi, c’è un’eco delle cose che ho visto nei miei numerosi viaggi. Posso dire di aver letteralme­nte girato il mondo: ho assorbito abitudini, modi di vivere e di pensare. In Giappone l’altezza del tavolo è diversa da quella che hanno, per esempio, gli americani. Questo cambia la prospettiv­a».

Così come il dormire ci caratteriz­za perché ogni sonno è differente. Che cosa è il letto nella storia del design?

Mario Bellini: «Qualcosa che deve essere progettato per far stare bene le persone. Se ha le gambe troppo in vista si rischia di inciampare di notte. Se il comodino è troppo distante oppure in una posizione troppo elevata rispetto al materasso si sta scomodi. Non parliamo poi della lampada da comodino, che deve essere a portata

NOVEMBRE: «LO SPREMIAGRU­MI È L’OGGETTO MIGLIORE DI STARCK, UN’OPERA D’ARTE CHE BASTA A SÉ STESSA, AL DI LÀ DELL’UTILITÀ»

di mano. Una di quelle che amo di più è quella lunga, con un cono che diffonde la luce...».

Fabio Novembre: «Mi sa che ti stai riferendo a Miss K, disegnata da Philippe Starck per Flos».

Mario Bellini: «Forse sì, non ricordo bene».

Starck: o lo si ama o lo si detesta. È un nome molto divisivo, come anche altri nel mondo del design contempora­neo. È così?

Fabio Novembre: «Per me è il classico elefante nella stanza, con la sua pervasivit­à riesce a dare un’idea di compostezz­a». Tornando al letto, se dovessimo trovare un pezzo che ha fatto la storia del design quale citereste?

Fabio Novembre: «Io dico Nathalie di Vico Magistrett­i per Flou, prodotto nel 1978. Vale a dire il primo letto tessile moderno, imbottito e sfoderabil­e. Tu lo guardi e ti chiedi: ma di che cosa stiamo parlando? Questo mette a tacere tutti. Un’idea innovativa e coraggiosa, secondo me».

Mario Bellini: «Io ho sempre concepito il letto come un arcipelago composto di diverse cose. Compresa la panchetta per poterti allacciare le scarpe e per metterti le calze, quella che una volta era presente in quasi tutte le camere».

Fabio Novembre: «Ma oggi le stanze sono più piccole, gli spazi ridotti e questi elementi sono meno diffusi. Io invece ho progettato dei letti pensando prima a delle fiabe della buonanotte. Ancora una volta parto dalla narrazione». Se vi dico chaise longue che cosa vi viene in mente?

Fabio Novembre: «Ovviamente Le Corbusier».

Mario Bellini: «Un oggetto affascinan­te, la chaise longue c’era anche nel Settecento, poco adatta alle donne, con quei vestiti enormi che le infagottav­ano. Io ne ho presa una firmata da

Alvar Aalto».

LC4 è forse la chaise longue più famosa, il prototipo è del 1928, creato per Cassina in team con Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand.

Fabio Novembre: «È un classico, uno di quegli oggetti che disegnano una funzione, lo guardi e individui subito che cos’è anche se di design capisci poco o nulla. Io ho disegnato S.O.S. che sta per Sofa of Solitude, una specie di sarcofago che accoglie il tuo corpo e in qualche modo lo consola. Manco a dirlo, anche questo nasce da una delusione amorosa».

Volendo azzardare un ponte intellettu­ale tra voi due, si potrebbe ipotizzare una sorta di erotismo sottile? Più evidente in Novembre, meno evidente in Bellini, ma comunque ricorrente. In fondo, entrambi avete riflettuto a lungo sul corpo.

Mario Bellini: «Penso che in molti dei miei lavori questa attenzione al corpo ci sia».

Fabio Novembre: «Be’, prendiamo la tua Divisumma, calcolatri­ce elettronic­a prodotta da Olivetti nel 1972. Ha due bottoncini che paiono due piccoli e delicati capezzoli. Penso che questo aspetto erotico del lavoro di Bellini sia tutto ancora da esplorare».

Rientriamo in territori più sobri. La Conica di Aldo Rossi, la caffettier­a disegnata per Alessi nel 1984: possiamo inserirla in questa cavalcata attraverso «pezzi facili» per tratteggia­re una storia evolutiva del design?

Mario Bellini: «In Rossi c’è tutto: poesia, precisione, attenzione ai materiali. Io possiedo uno dei suoi famosi teatrini, piccole strutture illuminate all’interno. Con il telefono mi sono divertito a esplorare e a fotografar­e la parte illuminata, sembra una piccola luna che diffonde luce».

Fabio Novembre: «La caffettier­a di Rossi è uno degli esempi, forse il più famoso, del design che si manifesta nelle piccole

BELLINI: «IN ROSSI C’È TUTTO: POESIA, PRECISIONE, ATTENZIONE AI MATERIALI. POSSIEDO UNO DEI SUOI FAMOSI TEATRINI, SEMBRA UNA PICCOLA LUNA»

cose, una grande ricchezza italiana e non solo. Questi oggetti entrano nell’immaginari­o di tutti grazie a una forte riconoscib­ilità. E poi permettono di poter avere un casa un pezzo di design. Sia Mario che io abbiamo progettato tanti piccoli oggetti per Kartell, che secondo me è uno dei simboli del cosiddetto lusso democratic­o, cioè permette di avere in casa un oggetto di valore spendendo relativame­nte poco». Questa conversazi­one dimostra che si può lavorare nel mondo del design, tra i più competitiv­i, e rimanere amici?

Mario Bellini: «Ma certo, l’invidia è una cosa brutta e non ci piace».

Fabio Novembre: «Io immagino questo mondo come una sorta di staffetta. Mi piace pensare di raccoglier­e il testimone di persone come Mario, e spero un giorno di cedere il posto, a mia volta, a talenti più giovani. Nel frattempo, guardo, osservo, assorbo e provo a godermi la bellezza che il nostro Paese è stato ed è capace di far nascere».

NOVEMBRE: «MI PIACE PENSARE DI RACCOGLIER­E IL TESTIMONE DA PERSONE COME MARIO, E SPERO UN GIORNO DI CEDERE IL POSTO AI PIÙ GIOVANI»

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LE ICONE
Fra i suoi progetti più famosi, il primo personal computer, P101 di Olivetti, progettato nel 1965. Da allora Bellini ha creato centinaia di oggetti per le maggiori aziende taliane e internazio­nali. Venticinqu­e delle sue opere figurano nella collezione permanente del Moma di New York. Ha vinto otto volte il Compasso d’Oro
GLI STUDI Nato a Milano il 1°febbraio 1935, Mario Bellini si laurea in Architettu­ra nel 1959 al Politecnic­o dove insegnano Giò Ponti, Ernesto Nathan Rogers e Pietro Portaluppi LE ICONE Fra i suoi progetti più famosi, il primo personal computer, P101 di Olivetti, progettato nel 1965. Da allora Bellini ha creato centinaia di oggetti per le maggiori aziende taliane e internazio­nali. Venticinqu­e delle sue opere figurano nella collezione permanente del Moma di New York. Ha vinto otto volte il Compasso d’Oro
 ?? ?? La lampada Arco, disegnata da Achille
e Pier Giacomo Castiglion­i nel 1962 per Flos; lo spremiagru­mi Juicy Salif disegnato da Philippe Starck nel 1988 per Alessi; la Conica, caffettier­a disegnata da Aldo Rossi per Alessi nel 1984; la poltrona Sacco ideata per Zanotta da Teodoro, Paolini e Gatti
nel 1968
La lampada Arco, disegnata da Achille e Pier Giacomo Castiglion­i nel 1962 per Flos; lo spremiagru­mi Juicy Salif disegnato da Philippe Starck nel 1988 per Alessi; la Conica, caffettier­a disegnata da Aldo Rossi per Alessi nel 1984; la poltrona Sacco ideata per Zanotta da Teodoro, Paolini e Gatti nel 1968
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accoglie il corpo; la calcolatri­ce Divisumma 18 di Mario Bellini
per Olivetti; la sedia Cab disegnata sempre da Bellini per
Cassina nel 1977
Il Sofa of Solitude di Fabio Novembre, realizzato nel 2003 per Cappellini, una specie di sarcofago che accoglie il corpo; la calcolatri­ce Divisumma 18 di Mario Bellini per Olivetti; la sedia Cab disegnata sempre da Bellini per Cassina nel 1977
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Il tavolo Tulip di Eero Saarinen progettato per Knoll nel 1957; il tavolo Org di Fabio Novembre per Cappellini e il tavolo Torsion, con la struttura che ricorda un tronco contorto, di Bellini per Natuzzi; la chaise longue LC4 di Le Corbusier per Cassina
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