VIRGINIE DESPENTES
«QUANDO AVEVO 20 ANNI NESSUN UOMO DICEVA ALLE DONNE: AVETE RAGIONE ADESSO I RAGAZZI LO FANNO»
No, non si è imborghesita. Virginie Despentes è una scrittrice star, ogni suo nuovo romanzo viene accolto in Francia come un evento ma i suoi esordi underground — tra tossicodipendenza, prostituzione occasionale e mancata frequentazione di Saint-Germain des Près — la inchiodano alla curiosità un po’ malsana che tocca anche a Oscar, lo scrittore co-protagonista del suo ultimo libro: «Spesso mi chiedono con una certa smania: “Però si è imborghesito, vero?”. Come se toccasse a me sentirmi a disagio per aver imparato tardi ad amare il buffet della colazione dei grandi alberghi, il cachemire o le poltrone design».
Avrà pure conosciuto il successo e gli agi che ne conseguono, ma Virginie Despentes resta la scrittrice dirompente di sempre, capace di descrivere la società contemporanea con rara spietatezza.
Caro stronzo, pubblicato ora in Italia da Fandango Libri, è un libro sul femminismo, le dipendenze, e un certo classismo che sta sul fondo delle proteste di piazza di questi mesi. Un romanzo epistolare a colpi di email folgoranti scambiate tra Rebecca Latté, grande attrice ex sogno erotico alle prese con la mezza età, e lo scrittore Oscar Jayack, fratello di una vecchia amica di Rebecca. C’è poi una terza voce, quella più giovane di Zoé Katana, che ha deciso di usare la rete per distruggere la reputazione di Oscar, accusandolo di molestie quando lei era la sua addetta stampa.
Oscar scrive sul profilo Instagram di Rebecca di averla incrociata per strada, «metafora tragica di un’epoca che va a puttane (…). Non solo vecchia. Grossa, sciatta, una pelle schifosa, e questo suo personaggio di donna sporca, chiassosa. Il tracollo». Rebecca gli risponde senza esitare: «Caro stronzo, è come se un piccione mi avesse cacato sulla spalla. Ti insozza, ed è molto sgradevole». La battaglia può cominciare.
Lo scambio in posta elettronica dà ritmo al romanzo ma è una forma meno consueta, e meno nevrotica, delle chat. Come le è venuta l’idea di tornare alle mail?
«Un po’ perché durante il primo lockdown, nel periodo del Covid, mi è capitato di scrivere messaggi un po’ più lunghi del solito, visto che non ci si poteva frequentare di persona. E poi perché adoro le corrispondenze». Quali per esempio?
«Sono stati appena ripubblicati in francese gli scambi epistolari tra Alberto Moravia e Elsa Morante, bellissimi. Poi le lettere di Céline e Proust… Quattro anni fa sono capitata su una trasmissione radio su George Sand e mi sono immersa nelle sue lettere. Poi amo quelle di Victor
Hugo e di Louise Michel».
La sua protagonista Rebecca denuncia che oggi vogliono tutti fare pubblicità, sedurre senza disturbare nessuno, essere presi sul serio senza dispiacere. «Più nessuno è a favore della provocazione». Lei, Virginie Despentes, non è certo una scrittrice consensuale, eppure i suoi romanzi si vendono a centinaia di migliaia di copie. Come se lo spiega, in un’epoca così mainstream?
«La letteratura è un’eccezione, un’arte del secolo scorso, i lettori hanno ancora la voglia di essere scossi. Io da lettrice accetto di essere scombussolata e mi pare capiti anche ad altri, ma siamo un po’ protetti dal nostro lato anacronistico. La tendenza generale va in un’altra direzione. Lo si vede già nella letteratura americana, anche se ci sono ancora autori duri o disturbanti. Nel cinema è molto evidente: escono soprattutto film per famiglie, rassicuranti, non certo capaci di sollevare problemi di cui magari discutere dopo. E poi c’è Internet, con l’obiettivo costante dei like».
Ma i social media sono il teatro di scontri e di campagne d’odio.
«Sì, ma è un effetto indesiderato. I giovani vanno sui social sperando di sedurre, e raccolgono invece un’ostilità incredibile. Ma se impari a comunicare a partire da Instagram o TikTok, hai sempre l’obiettivo di cercare più follower possibili, senza dare troppo fastidio». Caro stronzo affronta tanti temi, accomunati da un’unica questione, quella delle dipendenze.
«Questa era la mia idea di partenza. Poi il libro è diventato quel che è diventato, con tanti argomenti e certamente quello del MeToo e del femminismo, ma la molla iniziale era la dipendenza dall’alcol, le droghe, e anche dalla notorietà, o dal telefonino, che è una novità rispetto alla mia giovinezza. La dipendenza è una questione che mi interessa, non ho parlato di tutte le sue forme ma trovo molto forte anche quella dal porno, soprattutto tra gli uomini, o da Tinder. L’aspetto più sconvolgente è il cercare conforto in qualcosa che conforto non lo dà più. La droga non dà più piacere, eppure i protagonisti si drogano lo stesso».
Rebecca e Oscar, che cominciano lo scambio insultandosi, su questo trovano un terreno d’intesa.
«Mi è capitato di smettere di drogarmi assieme a qualcuno, si crea un legame davvero speciale, che permette a persone che non hanno niente in comune di percorrere la stessa avventura. Comunque, il tema della dipendenza, in tutte le sue declinazioni, è davvero centrale nei problemi che viviamo in questo momento. Siamo tutti schiavi di qualcosa, anche quando proviamo a dire “oggi non userò il telefono”, e poi non ce la facciamo.
LA PIÙ DISTURBANTE DELLE SCRITTRICI FRANCESI TORNA CON UN ROMANZO IN CUI RIVENDICA IL BISOGNO DI «ESSERE SCOSSI»: «MA LA TENDENZA VA IN UN’ALTRA DIREZIONE»
Ho 53 anni, ho vissuto in un’era pre-smartphone: peggiore di oggi per certi versi, ma almeno avevamo uno spazio mentale a disposizione».
Alla difesa delle donne, e al femminicidio, è dedicato un passaggio notevole. «Immagina se al posto delle donne uccise dagli uomini si trattasse di impiegati uccisi dai loro datori di lavoro. La gente si direbbe, qui stiamo esagerando. Oppure, se ogni due giorni un impiegato uccidesse un datore di lavoro, sarebbe uno scandalo nazionale. È quando lo trasponi che ti accorgi di quanto il femminicidio sia tollerato».
«Lo penso davvero. Anche per questo mi interessa enormemente quel che sta succedendo negli ultimi anni grazie al movimento MeToo. Ho provato a fare dialogare Rebecca, che non è una femminista nata, con Oscar, che è poco convinto sin dall’inizio e poi subisce il linciaggio online, e Zoé, che fuori dalla rete è un personaggio più sottile ma su Internet è molto veemente, perché è il media che lo richiede».
Ce n’è per tutti, comunque. Anche per le donne in versione madre oppressiva innamorata del figlio, che non disdegnano di parlare a cena con le amiche delle misure del pene dei loro bambini. «A quindici anni, quando ti rendi conto che tua madre ha solo te e che tutti gli altri uomini l’hanno maltrattata, vai in paranoia. Non vorrai mica togliere a tua madre l’unico piacere di cui gode, quello di soffocarti col suo grande amore
ovviamente benigno, perché materno».
«Se le cose devono cambiare, e io credo che debbano cambiare, dobbiamo tutti metterci in discussione, anche le donne. Mi dico che riflettere su noi stessi e non solo sugli altri non è una brutta attività».
Nel libro lei non nasconde gli eccessi del MeToo. Ma li considera insufficienti per condannare tutto un movimento.
«È un movimento che si sta ancora cercando, non può offrire immediatamente soluzioni perfette. È complicato rispondere in modo non violento alla violenza, ma è quel che le femministe cercano comunque di fare. E, appunto, non ci sono solo gli eccessi, per fortuna. Quelli danno fastidio anche a me. Trovo comunque che si stiano facendo progressi».
Meglio adesso di un tempo?
«Sì, nonostante tutto. I ragazzi di vent’anni oggi dicono cose che prima non avrebbero mai pensato, sono solidali con le loro compagne. Io a vent’anni non ho mai sentito un uomo dire “sto dalla parte delle donne, hanno ragione”. Noi ragazze eravamo un gruppo a parte, e nessun giovane avrebbe detto a un altro “non fare così, sei un idiota”, prendendo le difese di una ragazza. Oggi succede spesso, è una cosa nuova e molto bella».
Che cosa ha pensato della famosa lettera di Catherine Deneuve sul «diritto di essere importunate», poi in parte ritrattata?
«Mi è un po’ dispiaciuto perché la adoro, come si fa a non amare Catherine Deneuve. Ma credo sia stata una questione di generazione. Ci sono donne che hanno passato la vita ad adattarsi a una situazione, e si scocciano quando arrivano le giovani a dire “proviamo a fare in un altro modo”. Ci ho visto anche un messaggio come “non cercate di tentare strade nuove, accontentatevi di leggere i nostri bei libri, di vedere i nostri bei film”. Poi, sul fatto che la Deneuve non abbia vissuto poi così male il rapporto con gli uomini… Grazie tante, sei Catherine Deneuve. È come se Bernard Arnault, l’uomo più ricco del mondo, venisse a dirci che essere miliardari è ok… Ma dai. La reazione della Deneuve comunque è stata tipica di un certo mondo borghese, di una certa classe sociale».
Come mai in Francia la questione delle origini sociali è così sentita? Con questa espressione che in
LA COPERTINA
DI
IL NUOVO ROMANZO DI VIRGINIE DESPENTES PUBBLICATO IN ITALIA DA FANDANGO, IN LIBRERIA
DAL 2 MAGGIO
«IO NON SONO DISPERATA, NON SE NE PUÒ PIÙ DELLA DISTOPIA. IL MONDO HA UN SACCO DI PROBLEMI MA CE LA POSSIAMO ANCORA CAVARE. CI SALVERÀ L’AMICIZIA»
altri Paesi non esiste o non viene usata così spesso, «transfughi di classe».
«È una cosa molto francese, è vero. Io credo che in Francia ci sia un mondo che in fin dei conti non ama gli stranieri, in senso largo, intesi come persone che sono cresciute altrove, in un altro Paese o in un altro ambiente sociale. Nessuno dimenticherà mai da dove vieni. Un tempo c’era più mobilità sociale, ti veniva detto che il successo dipendeva da te, dalla tua ambizione e dalla tua intelligenza scolastica, ed era parzialmente vero. Adesso non ci crede più nessuno, c’è come una reazione, le élite si sono rese conto che se avessero continuato a tenere la porta aperta sarebbe entrata un sacco di gente. E poi i codici delle classi privilegiate in Francia sono estremamente precisi e rigidi, e non è facile adottarli, sempre che lo si voglia. Io no».
Il problema della diseguaglianza e della chiusura della società è all’origine anche delle proteste di questi mesi in Francia?
«La sensazione molto forte è di non essere più ascoltati. Per decenni abbiamo pensato che la democrazia funzionasse, adesso non è più così. La riforma delle pensioni non era urgente, è un ulteriore colpo all’idea che ci facevamo della Francia come di un Paese con servizi pubblici forti, istituzioni solide, e una democrazia vitale. Io ho votato due volte per Emmanuel Macron, ma siamo in tanti ad averlo fatto soprattutto per sbarrare la strada a Marine Le Pen, non certo per il suo programma o per la riforma delle pensioni. C’è un grande sentimento di ingiustizia, una violenza che cova nella società. Ma non è una cosa che riguarda solo la Francia».
A un certo punto Oscar dice che «la distopia è diventata l’unico orizzonte sensato. Credere che le cose possano migliorare è dar prova di idiozia». Eppure Caro stronzo non è un libro disperato, anzi.
«Perché io non sono disperata. E non se ne può più della distopia. Il mondo ha un sacco di problemi, certo, ma possiamo ancora giocarcela. Ci sono tanti giovani tra i miei lettori e li trovo niente male. Nutro ancora la speranza che riescano a fare qualcosa di migliore di quello che abbiamo fatto noi».
C’è speranza pure per i protagonisti del libro che, pur detestandosi all’inizio, imparano a dialogare.
«E’ un libro in cui le persone all’inizio si insultano davvero in modo molto Internet, e poi capiscono che c’è tanto da fare, assieme. Io, tutto sommato, sono così. Non detesto tutti, non odio la gente (ride, ndr). Alla fine, Caro stronzo è un romanzo anche sull’amicizia. Non storia d’amore, ma storia di improbabili amicizie incrociate. E se penso alla mia storia personale, mi dico che sarà l’amicizia a salvarci».