PNRR, PRESTITI E SOVVENZIONI MA GLI ALTRI QUANTO HANNO OTTENUTO?
Nessuno come l’Italia. Ancora disponibili 80 miliardi: andranno a chi ne farà domanda per il RePowerEu, progetti per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili russe
La notizia l’ha rilanciata su Twitter il 31 marzo scorso la ministra spagnola dell’Economia Nadia Calviño con l’hastag #CountryPride: «Terza erogazione alla Spagna dei fondi di Next Generation Eu. Abbiamo raggiunto i traguardi concordati e stiamo sfruttando al massimo questa grande opportunità per modernizzare la nostra economia, con riforme e investimenti che stanno già stimolando la crescita e l’occupazione». Madrid ha incassato 6 miliardi di euro dopo avere completato il 29% degli obiettivi del suo Pnrr. L’Italia insieme alla Spagna sono gli unici Paesi Ue che hanno richiesto la terza tranche ma a differenza di Madrid noi non abbiamo ancora ricevuto l’assegno: il nostro ammonta a 19 miliardi. Roma ha presentato la domanda a Bruxelles a fine dicembre, però ci vorrà più tempo da parte della Commissione europea (tre mesi invece di due) per valutare se abbiamo raggiunto i 55 obiettivi concordati. Non un dramma, come lo stesso commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha evidenziato: «Decisione analoga è stata presa per altri 7-8 Paesi». Inoltre si è detto «abbastanza ottimista» che la valutazione «si chiuderà in modo positivo». Tutto a posto quindi? Non proprio, perché il nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza è quello che vale di più: 191,5 miliardi, di cui 68,9 miliardi di sovvenzioni e 122,6 miliardi di prestiti da usare entro il 2026. L’Italia è il primo beneficiario in termini di volumi e non può permettersi ritardi. L’allarme lo ha lanciato il ministro agli Affari europei Raffaele Fitto raccogliendo anche la preoccupazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, il 24 marzo scorso citando Alcide De Gasperi, ha sollecitato tutti a «mettersi alla stanga» nell’attuare il Pnrr. La nostra incapacità a progettare e spendere i fondi europei è purtroppo strutturale, ma questa volta non possiamo fallire. L’Europa ci guarda.
I Pnrr sono alimentati dal Dispositivo di Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility), lo strumento principale del maxi piano europeo per la ripresa post Covid, l’ormai famoso Next Generation Eu, che finanzia le riforme e gli investimenti nei Paesi Ue fino al 31 dicembre 2026. Questo dispositivo vale circa 724 miliardi, a prezzi correnti, ovvero 385,8 miliardi di prestiti e 338 miliardi di sovvenzioni, da usare in tre anni. È uno strumento temporaneo, una tantum come amano sottolineare la Germania, l’Olanda e gli altri Paesi Nordici che hanno accettato di aprire i cordoni della borsa e di fare debito comune (una svolta nella storia
191,5 MILIARDI È QUANTO HA OTTENUTO L’ITALIA DAL PNRR. DI QUESTI, 68,9 MILIARDI SONO RICHIESTI COME SOVVENZIONI E 122,6 MILIARDI COME PRESTITI DA USARE ENTRO IL 2026
dell’Ue) per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid a patto che i soldi fossero usati per rafforzare le economie europee e per renderle più forti e pronte ad affrontare nuove crisi. Dunque per non dover ricorrere più a nuovi aiuti comuni. I fondi vanno usati per portare avanti la transizione verde, la trasformazione digitale, la produttività e competitività, l’inclusione sociale, la resilienza sanitaria, le politiche per le nuove generazioni. È un enorme sforzo per portare i Paesi Ue ad avanzare tutti assieme su questi temi, una sorta di politica industriale europea anche se non è prevista dai Trattati, che ne lascia la competenza agli Stati.
AGENDA ORIENTATIVA
Nel momento in cui scriviamo sono stati erogati in tutto 104,66 miliardi di sovvenzioni e 47,11 miliardi di prestiti, di cui all’Italia 28,95 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 37,93 miliardi di prestiti. In base alle richieste di pagamento arrivate alla Commissione Ue (27 domande da 18 Stati membri, 24 accetta
te e tre sotto esame: la seconda tranche per la Romania, la prima per il Lussemburgo e la terza per l’Italia), finora solo il 9% di tutti gli obiettivi contenuti nei Pnrr nazionali sono stati raggiunti. Per il commissario Gentiloni si capirà meglio «se abbiamo ritardi nei prossimi sei mesi, un anno» perché «dobbiamo tenere conto che l’agenda di erogazioni non è obbligatoria ma orientativa». Ci sono alcuni governi che non hanno ancora inviato la domanda nemmeno per la prima tranche: la Germania, ad esempio, ha finora incassato solo i 2,5 miliardi dell’anticipo. E come Berlino, sono fermi al pre-finanziamento anche Austria, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Lituania, Estonia, Finlandia e Slovenia. La Francia è invece alla prima tranche pari a 7,4 miliardi, ricevuta il 4 marzo di un anno fa. Sono al primo pagamento anche Lettonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Malta e Repubblica Ceca. Mentre hanno incassato il secondo assegno come l’Italia anche Portogallo, Grecia, Slovacchia e Croazia. Polonia e Ungheria hanno avuto il via libera al Pnrr solo, rispettivamente, nel giugno e nel dicembre scorsi a causa dei problemi legati al mancato rispetto dello Stato di diritto e l’erogazione sarà vincolata al completamento degli obiettivi concordati.
RICHIESTA COMPLESSIVA
Molti Pnrr sono piccoli e dunque potranno essere liquidati in meno tranche (ogni Paese può richiedere i pagamenti due volte l’anno). L’Italia, a differenza di altre grandi economie, ha deciso di chiedere fin da subito tutta la quota di prestiti che le spettava. Questo ha comportato uno sforzo enorme di progettazione. Solo altri sei Paesi hanno domandato all’inizio anche una quota di prestiti, ma l’ammontare è assai inferiore rispetto al nostro che è pari a 122,6 miliardi: Romania (14,9 miliardi), Grecia (12,7), Polonia (11,5), Portogallo (2,7), Slovenia (0,7) e Cipro (0,2). La Commissione Ue ha invitato i governi a manifestare entro il 31 marzo scorso l’intenzione o meno di usufruire dei prestiti a cui hanno diritto e hanno risposto in dieci Paesi per un totale di 148 miliardi: Polonia, Portogallo e Grecia hanno aumentato la loro quota mentre si sono aggiunti il Belgio, la Croazia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Lituania e la Spagna. I prestiti non richiesti — al momento circa 80 miliardi — saranno poi ridistribuiti agli Stati che ne faranno domanda per finanziare il nuovo capitolo dei Pnrr che va sotto il nome di RePowerEu, l’insieme dei progetti che dovranno aiutare i Paesi Ue a ridurre la propria dipendenza dalle fonti fossili russe. L’Italia ha fatto sapere che è interessata ad accedere a questi fondi ma senza specificare l’ammontare. I governi dovranno presentare i nuovi progetti entro il 30 aprile insieme alle modifiche ai Pnrr nazionali che intendono introdurre, ma la Commissione è consapevole che gli Stati avranno bisogno di più tempo.
SCOMMESSA POLITICA
La Spagna solo adesso ha chiesto 84 miliardi di prestiti, che vanno ad aggiungersi ai 69,5 miliardi di sovvenzioni domandati fin dall’inizio, ai quali si devono sommare altri 7,7 miliardi dal ricalcolo avvenuto nel giugno del 2022. Questo ha permesso a Madrid di avere più tempo per mettere a fuoco i nuovi progetti che dovrà sottoporre alla Commissione. Ed è il motivo per cui ha già raggiunto il 29% degli obiettivi concordati, perché si riferiscono a 69,5 miliardi. L’Italia, in attesa del riconoscimento dei risultati della terza tranche, ha finora completato il 18% degli obiettivi. Anche la Francia ha chiesto solo i grants. Il suo piano vale 39,4 miliardi ed è cinque volte più piccolo di quello italiano. Parigi ha già portato a termine il 22% dei target avendo incassato appena 12,5 miliardi. Il Pnrr di Berlino vale 26,4 miliardi di sovvenzioni, quello di Roma è sette volte e mezzo in più. Ma la Germania, come abbiamo detto, non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, come l’Austria che ha un piano da 3,46 miliardi di sovvenzioni, così come il Belgio che ha un Pnrr da 5,9 miliardi e come l’Olanda da 4,7 miliardi.
Next Generation Eu non è solo un piano di ripresa, è soprattutto una scommessa politica su un’Europa più integrata in un momento in cui i nazionalismi si stanno rafforzando. Per questo è di fondamentale importanza che l’Italia riesca ad attuare il Pnrr. La Germania, l’Olanda e gli altri Paesi soprannominati “frugali” come la Svezia e la Finlandia stanno già dicendo che non è necessario pensare a un fondo sovrano per l’industria europea per fronteggiare l’Inflation reduction Act, il maxi piano di incentivi messo in campo dagli Stati Uniti per aiutare le proprie imprese nella transizione verde: per loro ci sono già abbastanza fondi Ue a disposizione e non ancora utilizzati.