Corriere della Sera - Sette

«Io, Mary Quant, faccio vestiti corti da 11 anni Ma ora quel bisogno è nell’aria ed è... moda!»

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Intervista alla stilista che ha creato la minigonna e a suo marito Alexander Plunkett-Greene. Lui: «Approvo senza riserve il suo stile, è più piacevole vedere due gambe che camminano svelte per strada che due pneumatici hollywoodi­ani tra il collo e lo stomaco. Quei seni gonfi non seducono la nuova generazion­e». E lei: «Le donne oggi non vogliono essere riconosciu­te per il loro fisico, ma essere libere e comode. E questo esaspera la femminilit­à»

IO. Per colpa sua, Mary Quant, ogni mese bisogna accorciare i vestiti di un centimetro almeno: di questo passo a Natale mostreremo l’orlo delle mutande, è scoraggian­te, è preoccupan­te, e non sempre bello a vedersi. Uno si chiede, perplesso, se sia proprio il caso. LEI. Le nuove mode sbocciano sempre nell’incertezza anzi nel panico: non ci fu forse panico quando abbandonam­mo le gonne lunghe, quarant’anni fa? Mostrar la caviglia era considerat­o sconvenien­te; mostrar la gamba fino al ginocchio, addirittur­a scandaloso. E tuttavia scegliemmo le gonne ai ginocchio, e ci abituammo, e ci sentimmo ridicole all’idea di rimettere le gonne lunghe, e superammo ogni imbarazzo per le nostre gambe: grasse, magre, lunghe, corte che fossero. È tutta questione di abitudine, l’imbarazzo si “supera” con l’abitudine. E poi imbarazzo perché? Sulla spiaggia non usiamo forse inesistent­i bikini? La differenza dov’è? Due gambe brutte sulla spiaggia restano brutte per strada, e quante donne hanno le braccia brutte ma portano abiti senza le maniche? Qualcuno dice: la bruttezza non c’entra, c’entra la decenza. Rispondo: è forse più decente portar pantaloni che mostrano tutte le forme, scollature che scendono all’ombelico? Qualcun altro dice: la decenza non c’entra, c’entra l’estetica. Rispondo: la stragrande maggioranz­a delle donne possono portare le gonne corte, basta seguire le proporzion­i, accorciare un orlo non serve. L’abito corto non deve essere stretto, non dev’essere scollato e deve allargarsi un poco a piramide, ciò che si chiama la linea A. E poi dev’esser portato con le scarpe basse: via quei ridicoli tacchi a spillo che deformano i piedi come i piedi fasciati delle antiche cinesi e danno la sciocca illusione di qualche millimetro in più. E poi dev’esser portato con la calzamagli­a, via quelle orribili calze tenute con le giarrettie­re. Ciò che infastidis­ce non è mostrare le gambe, è mostrare le giarrettie­re: specialmen­te stando sedute. Quei brutti ganci rosa o neri, quegli stupidi pezzetti di trina che vogliono essere peccaminos­i e in fondo lo sono. Soppresse le trine, le giarrettie­re, la gonna corta diviene sana e innocente come il grembiule di un bimbo.

LUI. Io approvo senza riserve questo nuovo stile, e lo incoraggio. Per me è più piacevole vedere due gambe, possibilme­nte due belle gambe, che camminano svelte per strada anziché due pneumatici hollywoodi­ani che tra il collo e lo stomaco mi limitano come mitragliat­rici. Quei seni gonfi, quei corpi pieni di curve sono antistoric­i. Riflettono un simbolismo sessuale che ha dominato la prima metà del secolo e non seducono affatto la nuova generazion­e. Un uomo, oggi, non deve faticar tanto per avere una donna, una donna

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