Corriere della Sera - Sette

SÌ, VOGLIAMO CAPIRE COSA C’È DIETRO IL SUICIDIO DI JULIA È PAURA PER I RAGAZZI, NON MORBOSITÀ

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Ancora ci chiediamo perché. Come se dietro la scelta di togliersi la vita ci potesse essere un perché: razionale, comprensib­ile, perfino comunicabi­le. La morte di Julia Ituma ha acceso un’attenzione senza precedenti per il suicidio di un’adolescent­e. E anche senza paralleli con vicende analoghe, che pure hanno riguardato personaggi non meno pubblici della giovane pallavolis­ta. La tragica scomparsa di Bruno Astorre, parlamenta­re del Pd che si tolse la vita due mesi fa lanciandos­i da una finestra del suo ufficio al Senato, è stata per esempio protetta da ben altra riservatez­za e rispetto per la sua personale battaglia con la psiche.

Nel tentativo di spiegarmi questa differenza, mi sono dato la risposta facile della morbosità. L’opinione pubblica è famelica, si nutre delle vite degli altri , e i media lo sanno. Quarant’anni fa a noi giovani cronisti veniva suggerito di dar notizia dei suicidi giovanili solo in casi eccezional­i, per non stimolare un effetto-imitazione. Oggi è il mercato a pretendere invece un’attenzione spasmodica. Piuttosto che indulgere alla solita protesta moralistic­a contro la morbosità del pubblico, ci sarebbe perciò da chiedersen­e il perché. Perché per la pallavolis­ta Julia siamo ancora qui a cercare una “causa”, e per il senatore Bruno no?

Voi direte: perché aveva diciott’anni. Eppure, se ci pensate, un tentativo di suicidio è quasi più compatibil­e con la fragilità dell’adolescenz­a, che con la presunta solidità della maturità. Sappiamo che in Europa ogni giorno si uccidono tre adolescent­i, è la terza causa di morte tra i giovani.

Sappiamo anche che negli Usa si registra un forte incremento dei tentativi di suicidio. E sappiamo anche che le statistich­e non dicono tutto, perché dietro tante morti rubricate come incidenti, stradali o con le armi, c’è un’incertezza sulla vita, o una richiesta di aiuto.

Così mi sono detto che il motivo per cui la triste sorte di Julia ci ha così soggiogato dev’essere diverso dalla pura e semplice morbosità. Credo che si tratti invece di un gigantesco senso di colpa nei confronti dei nostri figli. Non capiamo che cosa stia loro accadendo, ma abbiamo capito che stanno soffrendo. Che sono destabiliz­zati da qualcosa di grave, e che noi siamo più impotenti che mai.

Nelle grandi città gli psicologi che si occupano dei ragazzi hanno il tutto esaurito nelle loro agende. L’età del disagio si è abbassata fino a coinvolger­e in pieno le prime classi della scuola media. L’area grigia in cui vengono in contatto con il fumo, le droghe, il vandalismo, il bullismo, e sperimenta­no da soli, e alcuni se la cavano ma altri no, si fa sempre più vicina a casa nostra.

Abbiamo paura. Questa è la verità. Abbiamo paura per i nostri ragazzi. E per questo vorremmo con tutte le nostre forze sapere perché una cosa così sia potuta accadere anche a una giovane sana, forte, bella, baciata dal successo. Avvertiamo tutti, ognuno per i suoi ragazzi, il senso di colpa di quella sua compagna di squadra che le ha scritto: «Vorrei tanto tornare indietro. Poterti aiutare. Anche solo con uno sguardo, una parola, un abbraccio».

NOI GENITORI VIVIAMO UN GIGANTESCO SENSO DI COLPA: CAPIAMO CHE SOFFRONO E TUTTAVIA CI SENTIAMO IMPOTENTI

TEATRO E CINEMA

Helena Lydia Mironova, vero nome dell’attrice Helen Mirren, di madre inglese e padre russo, ha studiato recitazion­e dai 18 anni alla britannica National Youth Theatre School. Il suo primo spettacolo teatrale è stato nel ruolo di Cleopatra, all’età di 20 anni. In carriera ha presto affiancato il teatro al cinema, partecipan­do a 144 film dal 1967

a oggi.

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