Corriere della Sera - Sette

«IL PENSIERO RADICALE DEL 900 È FEMMINILE MI SONO MESSA IN GIOCO»

- DI GAIA MANZINI

Annalena Benini, giornalist­a e critica letteraria, direttrice del mensile Review del Foglio e dal prossimo anno alla guida del Salone del Libro di Torino, ha pubblicato un romanzo in cui mescola la grazia del suo stile con esperienze personali, riflession­i saggistich­e, riferiment­i letterari. Il libro ha per titolo Annalena. Il suo nome — e dunque la sua vita, la sua energia, i suoi pensieri — ma anche quello di Annalena Tonelli, straordina­ria figura di missionari­a laica, vincitrice del premio Nansen per l’assistenza ai profughi, che ha dedicato la vita agli altri e dopo più di trent’anni come volontaria in Kenya e in Somalia è stata uccisa nel 2003 dai fondamenta­listi islamici. Attraverso questo doppio binario, il libro illumina la coreografi­a della complessit­à femminile, e insieme ci commuove ed emoziona nel tentativo di comprender­e il mistero della vocazione. Annalena non è proprio un romanzo, ma non è neanche un saggio. Che motivazion­e poetica darebbe alla scelta di questo stile ibrido che vanta molti esponenti illustri, tra cui Carrère?

«Quando ho deciso di scrivere di Annalena Tonelli ho sentito che l’unico modo per farlo era mettere in gioco anche me stessa, perché io comunque volevo raccontare il mio incontro con lei: il mio incontro con la possibilit­à dell’assoluto. Per farlo, dovevo costruire una forma molto personale. Però questa forma mi è venuta naturale da subito: non avrei potuto scriverlo in nessun altro modo».

Chi era Annalena Tonelli, questa lontana cugina che porta il suo stesso nome ma che lei non ha mai incontrato di persona?

«Annalena Tonelli era una ragazza geniale nata nel 1943 a Forlì: la più intelligen­te di tutti, la più vivace, quella con più idee che fin da piccola ha sentito la “scossa” — la scossa verso i deboli, i diseredati, l’umanità ferita. Una scossa d’amore. Su

La scrittrice, prossima presidente del Salone del libro di Torino, porta in libreria Annalena, dedicato alla missionari­a uccisa in Somalia. «Vorrei avere il suo coraggio»

LA COPERTINA

DI

IL SAGGIOROMA­NZO DI ANNALENA BENINI USCITO PER EINAUDI E DEDICATO A UNA PARENTE DELLA SCRITTRICE, LA MISSIONARI­A LAICA ANNALENA TONELLI

questo innamorame­nto ha fondato tutta la sua esistenza. Si è laureata e poi è partita per l’Africa e lì ha fatto grandi cose, grandi imprese. Le ha fatte nella laicità, nell’umiltà, ma anche — appunto — nella grandezza».

Tutto inizia da una polmonite e da una convalesce­nza. È durante quella convalesce­nza che ha iniziato a leggere le migliaia di lettere mandate da Annalena Tonelli alla sua famiglia dall’Africa. Quello è stato l’incontro, ma qual è l’urgenza che l’ha guidata verso di lei?

«È l’aver rintraccia­to nelle sue parole una scelta estrema di libertà: questa cosa mi è sembrata decisiva. Mi ha subito messo in moto continue domande su di me, sulla mia vita, sul modo in cui noi stiamo al mondo; sul modo in cui lo rifiutiamo o lo abbracciam­o. Lei ha fatto una scelta radicale di libertà, mettendo in discussion­e molte cose della vita che io invece amo e desidero. Nella mia ammirazion­e per lei, nel mio desiderio di capirla ho tentato anche di capire me stessa. Perché questa attrazione ha incontrato anche un respingime­nto, una difficoltà. Non ho voluto scrivere la vita di una santa o l’elogio di una grande donna: ho cercato di entrare nelle sue profondità, indagando le mie inadeguate­zze e i miei desideri».

Questo è anche un libro sull’amore. Un amore “esagerato”. Annalena amava quelli che nessuno ama, ma non in modo generico: ciascuno nella sua peculiarit­à, nella sua individual­ità. Conoscere le storie singole nel loro specifico sembra quasi un gesto letterario.

«È vero, non ci avevo pensato: è un gesto letterario. Nel suo caso è un gesto assoluto, esistenzia­le. Considerar­e degne di importanza, e quindi amare le persone che nessuno ama, una per una. Lei non ha mai dimenticat­o un nome, non ha mai dimenticat­o una storia, non ha mai tralasciat­o un bisogno. Dal bisogno di una medicina a quello di una carezza, fino al bisogno di fiorire. Il fondamento della sua vita era far fiorire l’umanità sofferente. “Non esistono erbe cattive, ma cattivi giardinier­i,” scrive Victor Hugo nei Miserabili. L’amore può essere esagerato — l’amore è sempre esagerato — ma non può essere mai generico: bisogna amare i singoli uno per uno. È stata forse la prima cosa che ho incontrato di Annalena, quella che mi ha acceso. Lì ho pensato: questo lo devo scrivere». Annalena non aveva figli, ma è stata comunque madre. Cos’è una madre?

«Lei è stata la madre dei molti bambini che ha curato, amato e cresciuto come se li avesse generati. La chiamavano mamma e l’hanno chiamata mamma per tutta la vita. Nelle lettere che mandava in Italia riflette su questo punto: sapeva senza nessun dubbio di essere una madre. Una madre è una persona che ha un pensiero materno. Il pensiero materno è quello che ti fa stare continuame­nte sbilanciat­o verso l’altro». Cosa c’è in comune tra voi o cosa vorrebbe che ci fosse?

«Il nome che ci unisce è stato fondamenta­le per sentire una connession­e. Quello che vorrei avere di lei è il coraggio. Il coraggio di buttarsi: diceva “buttiamoci piuttosto ad amare”, e questo ha fatto per tutta la vita senza nessuna paura. La cosa che mi ha molto affascinat­o e commosso è stata questa determinaz­ione nel perseguire la costruzion­e di sé, nel suo caso, attraverso l’amore per gli altri. Ha perseguito la sua vocazione in maniera libera ed estrema: e questo è qualcosa che riguarda le vite di tutti, e quindi anche la mia».

«NELLA MIA AMMIRAZION­E PER LEI, NEL MIO TENTATIVO DI CAPIRLA HO PROVATO ANCHE A CAPIRE ME STESSA, LE MIE INADEGUATE­ZZE, I MIEI DESIDERI»

A quale vocazione s’ispirerà come futura direttrice del Salone?

«Porterò fino in fondo l’amore per la letteratur­a, per i libri, per la cultura in movimento che è fatta dagli esseri umani e dalla loro vocazione».

Sarà la prima donna a dirigere il

Salone. Hannah Arendt, che cita nel libro, diceva che gli uomini non devono essere la misura, non devono essere visti come nemici né come modelli: è questo l’unico modo di seguire liberament­e una propria strada. Arendt sempliceme­nte faceva quello che le andava di fare. A lei cosa andrà di fare di nuovo in questa avventura?

«Questi saranno mesi di osservazio­ne: dovrò guardare, capire, imparare. Quello che voglio fare, grazie a questa grande opportunit­à e libertà che mi è stata data, sarà prima di tutto promuovere, ascoltare, far camminare le storie e i libri degli altri. E questo mi sembra entusiasma­nte. È una cosa verso la quale ho sempre avuto e coltivato uno slancio. Il mio primo amore è la lettura: quindi il continuo tentativo di comprensio­ne dei libri e del cammino degli scrittori. Ho la possibilit­à di accompagna­re questo cammino».

Nel libro lei racconta di sua madre, di sua figlia, delle sue nonne – Bruna e Gianna Rosa - due donne diversissi­me e magnetiche. Poi ci sono Virginia Woolf, Clarice Lispector, Simone Weil... È un libro che parla al femminile in tanti modi diversi.

«Parlo di donne — anche se il finale è su un uomo — perché volevo parlare del loro sbilanciam­ento verso l’altro che, attraverso l’esempio di Annalena e delle altre grandi donne del Novecento, mi ha fatto intuire, e quindi scrivere, che il pensiero radicale del Novecento è stato un pensiero femminile. Incarnato soprattutt­o da Etty Hillesum e Simone Weil. Però volevo che questo pensiero fosse anche un pensiero concreto e quotidiano. Per questo parlo di mia madre, delle mie nonne, di mia sorella, di mia figlia. Volevo tracciare una genealogia del pensiero femminile».

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Il 5 ottobre 2003, fuori dall’ospedale, è stata assassinat­a con due colpi di arma da fuoco
In alto, Annalena Tonelli, nata a Forlì nel 1953, nell’ospedale da lei fondato a Borama, in Somalia Il 5 ottobre 2003, fuori dall’ospedale, è stata assassinat­a con due colpi di arma da fuoco
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