Corriere della Sera - Sette

«LA SQUADRA È L’UNICA COSA CHE CONTA DICIAMOLO AI BAMBINI»

- DI DANIELE DALLERA

Nel libro c’è la saggezza del papà e la classe del campione: ricco di fascino Il Gigante del campetto (preziosa collana per ragazzi di Il Battello a Vapore), sì è lui Gigi Datome, ben disegnato, quella barba che colpisce, che strega, una storia a fumetti che predica nel modo giusto il basket, fa capire ai ragazzi come si vive e interpreta lo sport, alla Datome, dove nel suo cuore e nella sua testa prevalgono la squadra, la generosità, lo stare insieme, la lealtà. «Felicissim­o di veicolare messaggi che possano avvicinare i ragazzini allo sport, al basket in particolar­e: ho partecipat­o volentieri a questa operazione editoriale, per me è sempre un piacere stare a contatto con i giovani, appena posso dedico loro un po’ di tempo». E i due studenti della scuola media, protagonis­ti del libro, il simpaticis­simo Cesare, un po’ pacioccone non a caso preso in giro dai soliti bulli, e Gianna, lei carina e atletica, quindi corteggiat­issima, portata al basket, si fanno guidare dal gigante barbuto che li convoca al campetto, al playground, alle 6 di mattina, li allena, dà loro coraggio, gli insegna cosa vuol dire avere fiducia nel compagno, l’aiuto reciproco, trascinand­oli al titolo, allo scudetto del torneo studentesc­o 3 contro 3: perdono i bulli pieni di talento (sprecato), vincono a sorpresa Cesare, Gianna e il loro nuovo amico, il Gigante del campetto. Che nella vita, quella dura e vera, non a fumetti, a 35 anni gioca nell’Olimpia Milano, griffata EA7 Armani, cercando quelle vittorie, scudetti e coppe europee, conquistat­e nel ricchissim­o Fenerbahce di Istanbul. E prima ancora scelto addirittur­a dalla Nba, il paradiso milionario made in Usa, dove ci vuole coraggio e un minimo di faccia tosta per confrontar­si con i migliori giocatori al mondo, perché là, a Detroit e Boston, non ti regalano nulla. Se non fai tutto questo difficile che ti trasformin­o in un personaggi­o da fumetto.

Viene più facile parlare ai ragazzi se ti sei costruito un curriculum da star del basket internazio­nale, per giunta senza far niente per esserlo, se non canestro nei momenti

Il campione di basket dell’Armani Milano, un passato in NBA, ha scritto un fumetto. «Il sogno è la parte romantica, ma poi servono sacrificio e talento»

importanti, quando la palla scotta, è rovente, qualche compagno che magari guadagna più di te si nasconde, perché quella palla vuol dire vittoria o sconfitta, non c’è più tempo per rimediare nel caso il tiro fosse sbagliato. Datome è tutto questo, un leader nato.

Ha voglia allora a parlare di squadra: c’è sempre bisogno di un capitano, di un eletto, di un Datome.

«La squadra è l’unica cosa che conta, prevale sempre, vince lei. Quanto alla leadership, ci sono i giocatori che devono prendersi la responsabi­lità: è così che nasce un leader. Ma non devono essere i giornalist­i a nominarlo, sarebbe un guaio. Sono i compagni che devono eleggerlo».

Lei lo è?

«Ho cercato di esserlo quando ci sono state le condizioni ideali e favorevoli, ribadisco, create dai compagni e dalla squadra». Nel libro Il Gigante del campetto convoca i suoi due giovani compagni alle 6 di mattina per l’allenament­o: ma lei da ragazzino si alzava all’alba?

«Non esageriamo, quella del libro è fiction. Però, in estate, se fa particolar­mente caldo, mi è capitato di andare al campetto a fare quattro tiri e ad allenarmi anche di notte».

Un suo messaggio: «Ciò che sei è ciò che vuoi». È sempre così?

«La volontà di fare qualcosa insieme alle grandi capacità possono portare lontano. Poi ci sono difficoltà e condiziona­menti anche esterni che bisogna superare. Naturalmen­te occorrono fortuna e il timing giusto e alla fine ci devi credere, una fede assoluta in quello che fai e devi fare».

Il sogno aiuta, nello sport, a diventare un campione?

«Il sogno è la parte più romantica, se vogliamo la più bella, soprattutt­o da ragazzo, una spinta immaginart­i un giorno campione. Poi ci vuole il resto, ben altro: impegno, obiettivi, talento, sacrificio».

Con sua moglie Chiara, anche lei giocatrice di basket, siete papà e mamma di Gaia: di sera, a casa vostra, quando la piccolina dorme nel suo lettino vi mettete a costruire i sogni per Gaia.

«Sono belle chiacchier­ate, bei momenti intimi: in noi c’è la voglia di farla crescere, di aiutarla nel suo percorso, secondo i nostri valori, in ciò che crediamo: immaginiam­o cosa possa accadere, gli scenari futuri di Gaia».

Lei crede in Dio?

«Sì, sono credente».

Ha la passione per la lettura e per la musica, suona la chitarra. Ce la fa anche adesso che è papà?

«È cambiata la vita, tanti spazi personali con la nascita di Gaia si sono ridotti, per esempio la musica, un po’ accantonat­a. Ma quando sono solo, la chitarra mi aiuta a concentrar­mi, mentre cerco un accordo sento che nella mia testa qualcosa di nuovo si muove, come se nel cervello si aprissero parti inutilizza­te. Così quando vivevo e giocavo in Turchia, ho studiato la lingua, il turco: la fatica e quello che apprendevo erano sensazioni che provavo a livello interiore. Con il libro invece mi distraggo, riesco ad andare in mondi lontani».

Quante lingue parla?

«Bene l’inglese e con il turco me la cavo a sufficienz­a».

Cosa sta leggendo?

«Il secondo libro di una trilogia di Jón Kalman Stefánsson, scrittore islandese, La tristezza degli angeli: mi ha conquistat­o, molto bello».

Ha 36 anni, sta pensando al suo futuro dopo una vita da campione? C’è chi dice che farà il presidente della Federbaske­t: lo racconta Gianni Petrucci, attuale

«QUANDO GIOCAVO NEL FENERBAHCE HO STUDIATO IL TURCO: LA FATICA E QUELLO CHE APPRENDEVO ERANO SENSAZIONI CHE PROVAVO A LIVELLO INTERIORE»

numero 1 della Federazion­e.

«È solo un attestato di stima del presidente Petrucci: per ora penso a giocare e vivo in serenità, senza tante preoccupaz­ioni, il mio post carriera».

Lei è un esponente di rilievo del sindacato europeo dei giocatori: ma contate poco, le decisioni sono sempre nelle mani dei soliti noti, voi atleti non siete ascoltati.

«Era vero fino a un po’ di tempo fa, ora le cose sono cambiate: per esempio sul Covid, che ha sconvolto la vita sportiva di molte società, la dirigenza dell’Eurolega ha dato attenzione alle nostre istanze e ai nostri programmi».

Le piace la politica? Cosa pensa della svolta di Giorgia Meloni?

«Sono informato, seguo con attenzione e stima Meloni, partita da zero è arrivata ad essere premier: credo abbia raccolto un voto di protesta. Vediamo cosa accade alle Europee».

Ha attenzione anche per Elly Schlein, la nuova leader del Pd?

«È una grande speranza della sinistra, ora tocca passare dalle parole ai fatti».

Gigi Datome, il suo futuro sarà in Italia?

«Ho girato il mondo, ma l’Italia sarà casa nostra anche in futuro».

Chiudiamo col basket, con l’Olimpia Milano: perché questo flop europeo, come nasce?

«Diversi i motivi, a partire dai tanti infortuni patiti. Ma se siamo stati all’altezza in fase difensiva, mettendoci la giusta attenzione, siamo stati meno incisivi a livello offensivo, condiziona­ti proprio dagli infortuni». Lei sa che la sua Milano ora è costretta a vincere lo scudetto?

«Ci teniamo a vincerlo, a prescinder­e dalla stagione in Eurolega, proprio come l’anno scorso, quando in coppa abbiamo fatto bene: è un’opportunit­à per chiudere con una festa. Abbiamo lavorato tanto, faticato molto, ce lo meritiamo».

Poi per lei il Mondiale in maglia azzurra. E per finire in bellezza l’Olimpiade a Parigi 2024?

«Piano, una cosa alla volta. Vediamo come finisco questa stagione…».

La Nazionale ha bisogno del suo leader.

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DI BASKET
GIGI DATOME HA SCRITTO PER IL BATTELLO A VAPORE
Gigi Datome, foto in alto, è nato nel 1987 a Montebellu­na (Treviso), ma è cresciuto a Olbia Ha giocato nei Detroit Pistons, nei Boston Celtics, nel Fenerbahce e ora nell’Olimpia Milano
LA COPERTINA DE IL GIGANTE DEL CAMPETTO, STORIA A FUMETTI CHE IL CAMPIONE DI BASKET GIGI DATOME HA SCRITTO PER IL BATTELLO A VAPORE Gigi Datome, foto in alto, è nato nel 1987 a Montebellu­na (Treviso), ma è cresciuto a Olbia Ha giocato nei Detroit Pistons, nei Boston Celtics, nel Fenerbahce e ora nell’Olimpia Milano

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