GIOCHI D’INFANZIA CON MIA FIGLIA QUANTO MI HANNO RESO FELICE (INVECE LEI LI HA GIÀ DIMENTICATI)
Qui vado a ricostruire dei ricordi d’infanzia. Non miei, ma di mia figlia. Rievoco momenti felici vissuti da me e da lei che oggi, tredicenne, pare aver dimenticato. C’era un gioco: la festa di compleanno. Mettevamo i pupazzi in cerchio, e se all’inizio erano solo i pupazzi grandi e le bambole, piano piano si sono aggiunti i piccoli.
Dalla cesta mia figlia tirava fuori pupazzetti microscopici quasi invisibili che difatti io non avevo mai visto o forse avevo guardato distrattamente perché omaggio di merendine e sorprese di ovetti. Ciarpame che credevo di aver buttato, e invece – scoprivo – mia figlia era riuscita a salvare. Ogni giorno noi mettevamo pupazzi e bambole in cerchio – attente che i grandi non rubassero spazio ai piccoli, o addirittura li schiacciassero, il rischio c’era. Il cerchio completo era di cinquanta commensali circa ai quali distribuivamo i piatti (avevamo una pila di piatti colorati, ricordi?). Ecco noi davamo i piatti a ciascuno, anche ai microscopici. Poi il cibo.
Avevamo due carrelli di cibo giocattolo che cercavamo di elargire in modo equo, a prescindere dalla dimensioni del commensale. Sicché i microscopici, sempre loro, avevano questo cibo – un pomodoro, una pera – 10 volte più grande di loro, cosa che a me adulto pareva un insegnamento sbagliato, poiché – pensavo–i bambini devono imparare le dimensioni del reale, le proporzioni vere. Cercavo allora di sostituire il pomodoro grande con un chicco di riso, ma mia figlia si opponeva. La viveva come un’ingiustizia.
Prima di iniziare chiedevo: «Di chi è il compleanno oggi?».
«Kikonico» rispondeva lei.
Ogni giorno della sua infanzia è stato il compleanno di Kikonico, un orsetto rosa di una nota catena di giocattoli con un orecchio più grande dell’altro, la bocca storta, e un rammendo sul petto che valeva da cicatrice. Lui, come gli altri componenti della crew, per esempio Pakonico (l’amico papero), in quanto imperfetti dovevano abituare i bambini alla differenza. Affinché già da piccoli i bambini capissero che la mancanza, il difetto sono ricchezza.
Non è necessario essere eccellenti – dovevano insegnare l’orso e il papero. Possiamo essere storti, feriti. Minuscoli, quasi invisibili – categoria, questa, aggiunta da mia figlia.
Dunque noi, cinquanta più me e te attorno alla torta di legno, ogni giorno o quasi (ma qui potrei falsificare io il ricordo, moltiplicare giorni, momenti lieti in una forzatura di felicità), ogni giorno della tua infanzia dimenticata noi abbiamo cantato tanti auguri.
AH, L’ORSETTO KIKONICO E IL PAPERO PAKONICO... CON I PUPAZZI IN CERCHIO SIMULAVAMO UNA FESTA DI COMPLEANNO