Ah, se Napoli festeggiasse il primo scudetto come una distaccata città del Nord. Anzi, no!
Che vi aspettate? Un grande infarto di esultanza che blocchi tutto da Chiaia al Vomero a Ponticelli in una jam session di traffico assordante e immobilizzante? Immagino invece che i napoletani vogliano smentire tutti i luoghi comuni che li riguardano. Discutendo in Galleria del sinistro di Maradona come Aristotele discuterebbe della causa efficiente e di quella finale. Però in fondo non me lo auguro: le piccole gioie non vanno soffocate, non è salutare né giusto.
e il Napoli vincerà il campionato di calcio... So benissimo che i tifosi non gradiranno per niente quel «se» che, al massimo, sono disposti a sostituire con un «quando»: ma spero che lo accettino almeno come una scaramanzia. Del resto, qui si tratta di parlare di futuro, costruire uno scenario, come si usa dire, per quel momento di trionfo che si fa di domenica in domenica più vicino.
Cosi, ho provato a immaginare come potrebbe essere per la città e per i napoletani il giorno della conquista del titolo di campioni. L’ho immaginato non come è probabile che sia in un ambiente che ha sofferto per tanto tempo e con tanti dolorosi alti e bassi ed è arrivato al traguardo addirittura affamato di successo e incapace di trattenere il proprio entusiasmo; ma come potrebbe venire vissuto da gente abituata a dominare i propri impulsi e a godere magari con un po’ di snobismo. Ho fantasticato, insomma, che Napoli festeggi non da metropoli esuberante e un po’ pazza del Sud, ma da città compassata e un po’ distaccata del Nord.
(...) Supponiamo che sino al termine dell’ultima partita del girone di ritorno (il calendario parla di Ascoli-Napoli) la vittoria non sia stata matematicamente sicura. Finalmente, però, il gioco è fatto: il Napoli è campione d’Italia. Solita sarabanda sul campo, inevitabile e doverosa, con invasione pacifica e conquista degli abbracci riluttanti e delle maglie sudate degli undici calciatori vittoriosi. Questa manifestazione è doverosa, quasi un rituale
(...) Ma che cosa vi aspettate ancora? Che Napoli intera si blocchi come per un grande infarto d’esultanza? Che da Chiaia al Vomero a Ponticelli un serpentone di auto strombettanti, cariche di pazzarielli con bandieroni e maglie azzurre, trasformi il solito traffico già rumoroso, in una vera jam session assordante e immobilizzante? Che la città si moltiplichi per mille, per urlare il proprio entusiasmo? E che nessuno pensi che ci sia diritto al silenzio, al riposo, al sonno per tutta la notte, dato che l’impegno di tutti è di festeggiare?
SIo immagino invece che i napoletani vogliano, in questa grande occasione, dare una ponderosa smentita a tutti i luoghi comuni caratteriali che li riguardano. Abbiamo vinto il campionato? E allora? Gruppetti di tifosi in Galleria discutono con calma e disinteresse accademico degli ultimi virtuosismi balistici del sinistro di Maradona, ma come Aristotele discuterebbe della causa efficiente e di quella finale. Se intravedono qualche sostenitore delle altre squadre, mettiamo Juventus, o Roma o Milan o Inter, anziché subissarlo di beffe e salacità, gli fanno un sorrisetto comprensivo come per dire: «Coraggio, vedrete che la prossima volta andrà meglio!».
(...) Verso le undici qualcuno comincia a nascondere educatamente gli sbadigli: lo scudetto c’è, ora sarà meglio andare a dormire. Durante la notte non ci sarà, per via Caracciolo, una versione calcistica del carnevale di Rio. E domattina, ai cancelli di Pomigliano d’Arco, tre quarti dei lavoratori non mancheranno all’appello per effetto della sbornia d’entusiasmo calcistico.
Debbo dire subito che questo scenario delle reazioni napoletane alla vittoria del Napoli non mi piace affatto. Esso non mi sembra né umano, né generoso né, alla fine, augurabile. Personalmente, non sono un tifoso nel senso stretto della parola; non amo la sfrenatezza degli ultras di una parte e dell’altra; trovo infantili, se non peggio, molte delle manifestazioni con le quali la gente degli stadi esprime pubblicamente felicità o disappunto.
Però non mi augurerei neppure che l’eventuale successo del Napoli in campionato venisse accolto con tanta compassatezza e distacco. È vero che uno scudetto vale quel che vale, e che i problemi, i bisogni di Napoli, ma anche dell’Italia intera, riguardano ben altro che un campo di calcio. (...)
In realtà son certo che se, come auguro, il giorno del successo arriverà, i napoletani se lo sapranno godere con spontaneità, senza abusi ma anche senza finta freddezza. Che oro di Napoli sarebbe, altrimenti? (...)
di GAETANO AFELTRA
GIORNALISTA E SCRITTORE, GAETANO AFELTRA NACQUE AD AMALFI (SALERNO) NEL 1915 E MORÌ A MILANO 90ENNE NEL 2005. AL CORRIERE DAL 1942, AUTOSOSPESOSI NEL ‘43, TORNÒ DOPO LA LIBERAZIONE. DAL ‘61 FU VICEDIRETTORE. LASCIÒ DI NUOVO E DAL ‘72 ALL’80 DIRESSE
IL GIORNO. TORNÒ NEL 1983 E COLLABORÒ FINÒ ALLA MORTE.