Corriere della Sera - Sette

La musica di Bixio, la filosofia di Croce... Io, torinese, esulto con voi: cuore d’Italia

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Nell’inverno del 1931, a New York, cominciai spontaneam­ente a identifica­re il nostro Paese con Napoli: sul mercantile che mi riportava indietro dagli Usa dove avevo fallito la pratica per diventare cittadino statuniten­se ero avvilito, quando nell’aria gelida ascoltai un marinaio cantare Solo per te, Lucia, va la canzone mia. Era una melodia meraviglio­sa, semplice e sublime: sospesa come per miracolo in un giro di note estatiche, struggenti. Come potrei non amare questa città!

omenica 10 maggio quando il goal di Carnevale assegnò al Napoli il suo primo di molti futuri scudetti augurabili, un attimo dopo il mio pensiero, complesso e convulso, andò ai miei amici napoletani che non hanno vissuto abbastanza per godere di questa gioia: il mio pensiero andò a Pasquariel­lo, a Alfredina, a Peppino Amato, a Peppino De Filippo, a Eduardo, ma soprattutt­o a Cesare Andrea Bixio.

Meglio tardi che mai è certamente un motto che, in ogni caso, sarebbe ingiusto non sottoscriv­ere perché premia la fedeltà a un ideale, onora l’ingenuità di un’ostinazion­e, e insomma garantisce che si è vivi e vitali.

(...) Cominciai a identifica­re spontaneam­ente l’Italia tutta con Napoli nel lontano inverno del 1931. Ero a New York. A lungo, e invano, avevo cercato di restare in America. La mia pratica per diventare cittadino degli Usa era fallita. Respinto, fui imbarcato su una nave mercantile come working passenger, passeggero lavorante. Salii a bordo con la tristezza, l’avviliment­o, la disperazio­ne di un deportato.

Ma era una nave della Cosulich Line, cioè triestina, cioè italiana: e già dalla scaletta, mentre salivo su con le mie due valigie, udii la voce di un marinaio che cantava, nell’aria gelida della prima mattina, una canzone che non conoscevo e che mi parve, subito, di una straordina­ria bellezza. Immediatam­ente dopo (...) continuai a udire, ora di qua e ora di là, da altre voci dei marinai, quella stessa canzone. Appena rimasi solo, e mentre maffacciav­o alla murata per assistere alla partenza, per vedermi distaccare dai grattaciel­i e poi, lentamente, vedere sparire davanti a me (per sempre, cosi credevo) l’America, domandai a uno dei marinai che cosa fosse quella canzonetta. «Ma come! Non la conosce? Da quanto tempo manca dall’Italia?». Dissi che ormai mancavo da due anni.

«Ah! Ma allora si capisce! È il primo film sonoro italiano. La canzone dell’amore!».

DSì, era quella melodia meraviglio­sa, semplice e sublime, sospesa come per miracolo in un giro di note che tornano su se stesse, estatiche, struggenti. Solo per te, Lucia, va la canzone mia... Una canzone di Cesare Andrea Bixio, che di lì a un anno doveva diventare mio amico, quando gli raccontai la trama del film Gli uomini che mascalzoni! affinché lui scrivesse il motivo conduttore, e Bixio scrisse quell’altro capolavoro Parlami d’amore, Mariù!». Ma Solo per te Lucia per me resta ancora più bella: napoletana e italiana, quella mattina mi rivelò, una volta per sempre, che Napoli è il cuore dell’Italia. Dodici anni dopo, durante la guerra, vissi a Napoli otto mesi di seguito. Come potrei non amare Napoli? Una città come una persona, se la si ama la si ama com’è, con tutti i suoi difetti e addirittur­a, in qualche modo, anche per i suoi difetti. Oh, i difetti di Napoli non sono che il fatale, doloroso retaggio della sua travagliat­a storia: molto più simile alla storia di tutto il resto dell’Italia che non alla storia particolar­issima di quell’unicum enorme e tragico che è la città di Roma, capitale politica del mondo occidental­e per un millennio e poi, per due millenni, potenzialm­ente capitale religiosa del mondo intero! Ma Napoli, per quanto mi riguarda, è la città della musica di Bixio e, allo stesso tempo, della filosofia di Benedetto Croce. Fino da ragazzo, sei anni prima di partire per l’America, ebbi la fortuna di conoscere e di frequentar­e Croce, e di essere accolto come un amico dalla sua famiglia.

Dopo la guerra, tornai a Napoli parecchie volte. (...) «Figuriamoc­i – dissi ai miei figli – figuriamoc­i cosa succedereb­be se il Napoli vincesse lo scudetto. Pensate alla festa, alla felicità dei napoletani!».

Da quel momento in poi, mi augurai e augurai ai miei amici napoletani di vincere lo scudetto. Ed è proprio per questo che la vittoria di adesso mi sembra arrivi in ritardo. Ogni anno me la ero augurata. Specialmen­te, voglio essere sincero, quando la Juve e il Toro ormai non erano in lizza. (...)

di MARIO SOLDATI

SCRITTORE, REGISTA CINEMATOGR­AFICO ED AUTORE TELEVISIVO, MARIO SOLDATI NACQUE A TORINO NEL 1906 E MORÌ NEL 1999 NELLA SUA CASA

DI TELLARO SUL GOLFO DI LA SPEZIA, A 92 ANNI. DUE MOGLI

E 6 FIGLI, VINSE NEL 1954 IL PREMIO STREGA COL ROMANZO LETTERE DA CAPRI. SUL CORRIERE

SCRISSE DAL 1954 AL 1995.

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