Corriere della Sera - Sette

HELIN, 22 ANNI

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SPERO CHE QUESTO REGIME OPPRESSIVO E CONSERVATO­RE FINISCA E CHE SAREMO IN PACE

tre mesi dal disastroso terremoto che ha ucciso più di 50 mila persone e creato quasi sei milioni di profughi, la Turchia è a un bivio. Domenica si terranno le elezioni presidenzi­ali e politiche che potrebbero segnare la caduta dell’attuale capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan, 69 anni di cui 20 al potere, in cerca del terzo mandato. Il suo rivale Kemal Kiliçdarog­lu, 74 anni, dal 2010 guida il più grande partito di opposizion­e, il Chp di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Turchia moderna. Lo chiamano il Gandhi turco, sia per la somiglianz­a col Mahatma che per la sua calma e modestia da contrappor­si all’egocentris­mo del «Sultano», come è soprannomi­nato. A sostenerlo è l’Alleanza della Nazione, un fronte molto eterogeneo, composto da nazionalis­ti, liberali e socialdemo­cratici, e che comprende, oltre al Chp e

Aall’Iyi Parti di Meral Aksener, il Partito della democrazia e del progresso (Deva) di Ali Babacan, l’ex vice primo ministro e zar dell’economia turca dei primi governi Erdogan, il Partito del Futuro guidato dall’ex ministro degli Esteri, Ahmet Davutogˇlu, e due piccole formazioni il Partito della Felicità (islamista) e il Partito democratic­o (conservato­re).

TESTA A TESTA

Alle urne sono chiamate 65 milioni di persone. I sondaggi prevedono una forte affluenza e un testa a testa tra i due principali candidati. A fare la differenza potrebbero essere i 5,2 milioni di giovani che hanno raggiunto l’età per votare e che rappresent­ano l’8% dell’elettorato. Loro sono nati e cresciuti con Recep Tayyip Erdogan al potere, non hanno mai visto altro: «Sono stanco di svegliarmi ogni giorno e pensare alla politica» dice Elif, 18 anni «quando lui se ne sarà andato potrò finalmente dedicarmi agli esami e dire quello che mi pare».

Come lei la pensano tanti suoi coetanei.

A Kadikoy, nella parte asiatica di Istanbul, i ragazzi affollano i bar come potrebbero farlo in qualsiasi altra città occidental­e ma sentono l’oppression­e di una società dove la libertà di espression­e è sempre più limitata. La Turchia continua a detenere il record di giornalist­i imprigiona­ti in un Paese democratic­o e, nell’ultimo rapporto di Reporter Sans Frontieres, è passata dalla 149sima alla 165sima posizione (i Paesi in classifica sono 180). Seina, 23 anni, ha il capo coperto da un velo marrone e indossa una sgargiante giacca verde: «Quando ero più giovane avevamo tv e giornali che davano diverse visioni delle cose, ora tutti lavorano per la stessa persona e noi possiamo informarci solo sui social media». Ma bisogna stare attenti a quello che si scrive perché un tweet può portare guai seri: «Ho paura a parlare anche su internet» ammette Irem, 23 anni «preferisco non correre rischi e rimanere in silenzio». Per strada un mu

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