Corriere della Sera - Sette

PROCESSO ALL’ACCUSATRIC­E E NON ALL’ACCUSATO «COSÌ SI RITORNA AL ‘700»

- DI VIVIANA MAZZA

La giornalist­a, che ha raccontato di essere stata stuprata da Trump nel 1996, viene presentata dalla difesa dell’ex presidente come poco credibile «perché non urlò e non denunciò subito». Per il New York Times è «una linea di tre secoli fa». E l’effetto MeToo? Il verdetto di questo caso sarà decisivo

e donne si sono fatte avanti, una dopo l’altra», ha detto E. Jean Carroll nella sua testimonia­nza in tribunale. «Ho pensato: bene, forse questo è un modo per cambiare questa cultura della violenza sessuale. Ho pensato: possiamo davvero cambiare le cose se tutte noi raccontiam­o le nostre storie». La giornalist­a, che accusa Donald Trump di averla stuprata in un camerino dei grandi magazzini di lusso Bergdorf Goodman di Manhattan nella primavera del 1996, ha detto di essere stata ispirata a parlare dal movimento MeToo e dal processo contro Harvey Weinstein.

«Sono nata nel 1943», ha detto Carroll, spiegando che alla sua generazion­e di donne è stato insegnato il silenzio, «a tenere la testa alta e a non lamentarsi mai». Carroll ha rivelato per la prima volta pubblicame­nte le sue accuse contro Trump un libro del 2019 intitolato What do we need men for? A

Lmodest proposal (A cosa servono gli uomini? Una modesta proposta). «Questo caso è una sorta di cerchio che si chiude» dice a 7 Deborah Tuerkheime­r, docente di Legge alla Northweste­rn University, autrice del libro Credible. Why We Doubt Accusers and Protect Abusers (“Credibile: perché dubitiamo di chi accusa e proteggiam­o chi compie gli abusi). «Carroll è stata incoraggia­ta da MeToo, e molte delle donne che si sono fatte avanti prima di lei dandole coraggio hanno parlato proprio a causa di Donald Trump». Non denunciava­no necessaria­mente lui, ma nel suo vantarsi di «prendere le donne per la vagina» perché «quando sei ricco e famoso te lo lasciano fare» (una registrazi­one degli Anni 90 durante il programma tv Access Hollywood), hanno visto un simbolo degli abusi sessuali degli uomini potenti. «Molte di queste storie convergono nel tribunale di Manhattan dove Carroll ha testimonia­to e rendono il processo ancora più ampio».

LA GIURISTA: «SI DÀ MENO VALORE ALLE TESTIMONIA­NZE DI CHI DENUNCIA, SOPRATTUTT­O SE DALL’ALTRA PARTE C’È UN UOMO POTENTE»

LA CREDIBILIT­Á

In realtà però il problema resta la credibilit­à. La parola di una vittima di abusi sessuali spesso non è sufficient­e a convincere una giuria – in questo caso formata da sei uomini e tre donne –, sottolinea Tuerkheime­r. «Anche se in un caso civile l’onere della prova è inferiore, le persone hanno bisogno di maggiore evidenza rispetto alla storia dell’accusatric­e. Questo accade perché si dà un valore più ridotto alle testi

monianze di chi denuncia una violenza, specialmen­te quando l’accusato è un uomo potente».

In questo particolar­e processo, le accuse della giornalist­a sono corroborat­e da due amiche: Carroll le avrebbe chiamate per rivelare subito la violenza. La giornalist­a Lisa Birnbach ha detto che la collega era «senza fiato», «continuava a ripetere: “Mi ha abbassato i collant”, come se non riuscisse a crederci». Birnbach

CARROLL AVEVA CONOSCIUTO IL TYCOON IN UN NEGOZIO: «MI CHIUSE IN UN CAMERINO E MI ABBASSÒ I COLLANT HO CERCATO DI FERMARLO MA...»

le suggerì di denunciare lo stupro alla polizia, ma l’altra amica, Carol Martin, la avvertì che era meglio che tacesse o Trump l’avrebbe rovinata e Carroll avrebbe seguito questo consiglio. Nel processo sono apparse poi Jessica Leeds, oggi 81enne: era seduta in aereo accanto al tycoon negli Anni 70 e sostiene che lui la toccò dappertutt­o come se «avesse 40 milioni di mani» e Natasha Stoynoff, ex giornalist­a di Peo

ple, che era andata a casa di Trump in Florida per un’intervista nel 2005, quando Melania era incinta: lui «chiuse la porta, la spinse contro il muro e le infilò la lingua in bocca». «È possibile», dice Tuerkheime­r «che queste testimonia­nze a sostegno della parola di Carroll la aiutino a convincere la giuria sulla sua credibilit­à».

Anche Trump si è posto come un simbolo: degli uomini accusati ingiustame­nte. «Se può succedere a me, che ho risorse infinite, figuratevi a voi», ha detto spesso negando le accuse di abusi sessuali. L’ex presidente, che è nuovamente in corsa per la Casa Bianca, non testimonie­rà nel caso Carroll. La strategia dell’avvocato Joe Tacopina è intaccare la credibilit­à della giornalist­a. In un’intervista nel suo ufficio di Manhattan, l’avvocato ci ha detto di considerar­e Weinstein «una persona orribile» («Io non avrei preso l’incarico di difenderlo»), ma ha dichiarato che Trump viene «trattato ingiustame­nte»: «Difendo la presunzion­e di innocenza, perché il sistema funziona solo se applica la legge anche all’imputato meno amato». La difesa di Tacopina si basa sul fatto che per 20 anni Carroll non ha denunciato la presunta violenza, che non riesca a ricordare il giorno esatto, che non sia andata dalla polizia, sulla totale assenza di testimoni. Tacopina ha dichiarato nella sua arringa di apertura che la donna ha inventato tutto «per i soldi, per vendere il suo libro», oltre che per danneggiar­e Trump politicame­nte.

La giornalist­a afferma che si imbatté in Trump nel negozio, lui l’avrebbe riconosciu­ta: «Sei quella che dà i consigli» (lei aveva una rubrica di consigli femminili, Ask E. Jean). Le avrebbe chiesto un suggerimen­to per un regalo per «un’amica». Carroll pensò che sarebbe stata una storia divertente da raccontare sul tycoon onnipresen­te sulle copertine dei tabloid. Trump avrebbe scelto un body e avrebbero scherzato su chi dei due dovesse indossarlo. Poi si sarebbero diretti

Dall’alto Jean Carroll risponde alle domande di Michael Ferrara, uno dei suoi avvocati. Qui sopra la giornalist­a interrogat­a da Joe Tacopina, legale di ad un camerino, lui avrebbe chiuso la porta e i tentativi di respingerl­o sarebbero stati inutili; l’avrebbe spinta contro il muro con forza, abbassando­le le calze. «La porta aperta di quel camerino mi ha perseguita­to per anni perché io sono entrata», ha testimonia­to Carroll. «Non volevo fare scenate, non volevo farlo arrabbiare, non mi ricordo di aver gridato. Non sono una che grida, ma sono una che lotta».

La frase diventata celebre del controinte­rrogatorio di Tacopina è: «Non

TACOPINA, L’AVVOCATO DELL’EX LEADER: «È LUI CHE VIENE TRATTATO INGIUSTAME­NTE, WEINSTEIN INVECE FU ORRIBILE, IO NON L’AVREI MAI DIFESO»

NEL SETTECENTO

Il processo civile è un mix di vecchio e nuovo. È reso possibile da una nuova legge di New York, l’Adult Survivors Act, che permette di sporgere denuncia per aggression­i sessuali cadute in prescrizio­ne. Ma la commentatr­ice del New York Times Jessica Bennett traccia un parallelis­mo con le strategie di avvocati difensori del Settecento, che per svalutare la credibilit­à di accusatric­i puntavano su criteri come la reputazion­e, la tempestivi­tà della denuncia e il fatto che avessero urlato oppure no, anche se ciò non rispecchia spesso il comportame­nto di chi subisce abusi sessuali da parte di persone conosciute o potenti.

«Questo processo sta mostrando che forse siamo a un punto in cui la giustizia è possibile ma non è scontata. Ci sono molte più denunce di abusi che circolano nella nostra società, e questo contribuis­ce a cambiare la comprensio­ne generale del comportame­nto di chi li compie e di chi li subisce. Il processo a Ghislaine Maxwell, la complice di Epstein, ha mostrato che ci sono molte persone che coprono gli abusi e consentono che continuino. Ma questo non è abbastanza se sminuiamo la credibilit­à di chi subisce l’abuso e gonfiamo quella degli uomini potenti che vengono accusati». Nella conclusion­e di questo processo molti leggeranno un’indicazion­e del punto a cui si è arrivati nel percorso iniziato da MeToo per trasformar­e la cultura dell’impunità.

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy