«GLI EVASORI NON SONO FURBI MA SCROCCONI, COME QUELLI CHE NON SI PAGANO LA PIZZA»
Quinto figlio dell’ex ministro e partigiano Attilio, è stato scelto da cinque diversi governi alla guida del Fisco: «Da ragazzo ero un po’ scapestrato. La madre di Nanni Moretti, mia professoressa di latino e greco, mi diede una lezione che non ho dimenticato...». Da dove viene la pazienza? «Intagliando il legno»
coprire tutto l’orizzonte Ernesto Maria Ruffini ha cominciato ancor prima di nascere. Suo papà, Attilio, avvocato mantovano di origine trentina, si sposta a Palermo per mettere su famiglia con Zina Maria, agrigentina. Poi, nel 1969, subito dopo la nascita di Ernesto Maria, ultimo dei suoi cinque figli – che deve il nome al prozio, il cardinale Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo dal 1945 al 1967 – Attilio si trasferisce a Roma, città con la quale già faceva la spola, essendo stato eletto nel 1963 alla Camera nelle file della Democrazia cristiana. Tutta l’Italia, dalle Dolomiti alla Valle dei Templi, nell’albero genealogico. «Massimo D’Azeglio, che diceva “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, sarebbe stato soddisfatto» sorride Ruffini. E c’è tutto l’arco costituzionale negli sponsor politici della carriera del direttore generale dell’Agenzia delle Entrate. Avvocato, comincia subito dopo la laurea alla Sapienza, a lavorare nello studio di Augusto Fantozzi, che era già stato ministro delle Finanze nel governo Dini.
AUN SOGNO
E dire che al liceo classico Visconti Ernesto Maria aveva fatto la sua parte tra manifestazioni e autogestioni: «Niente di organizzato. Ero un po’ scapestrato ma c’era anche tanta sete di giustizia, di un mondo migliore». Furono proprio quelle aspirazioni a spingerlo, dice lui, a occuparsi di tasse, «perché col fisco si trovano risorse per costruire la società che vogliamo. Il fisco, quindi, è la cosa più “politica” di cui uno può occuparsi». Ecco allora che nel 2010 accetta l’invito di Pippo Civati a partecipare alla prima Leopolda, dove presenta il suo progetto di riforma “Fisco 2.0”. «Tredici anni fa sembrava avveniristico, poi pian piano tante cose le abbiamo fatte, dalla precompilata alla fatturazione e gli scontrini elettronici». Matteo Renzi lo nota. Ruffini, intanto, dialoga anche con un altro ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, che nel 2013 firma la postfazione al suo libro L’evasione spiegata a un evasore, con prefazione niente poco di meno che di Romano Prodi. Dell’anno scorso, invece, è la prefazione del Presidente Mattarella all’ultimo libro di Ruffini Uguali per Costituzione.
Un’ascesa sotto l’ombrello della sinistra, dove veniva collocato, un po’ frettolosamente, tra i Visco boys, coronata, nel 2015, dalla chiamata di Renzi, nel frattempo divenuto presidente del Consiglio,
alla guida di Equitalia, dell’odiata Equitalia, con la mission di ristabilire un rapporto sereno tra l’ente della riscossione e i contribuenti. Quindi nel 2017, col governo Gentiloni, la promozione a direttore generale dell’Agenzia delle Entrate e subito dopo dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione che aveva nel frattempo assorbito la stessa Equitalia. Poi una breve interruzione tra il 2018, quando il primo esecutivo Conte lo manda via, e il gennaio del 2020, quando il Conte 2, ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd), lo richiama al
ERNESTO MARIA RUFFINI
LA VITA Ernesto Maria Ruffini è nato a Palermo il 21 giugno 1969. laureato alla Sapienza di Roma in Giurisprudenza,
è diventato amministratore di Equitalia nel 2015. E’ direttore dell’Agenzia delle entrate dal 2017
LA FAMIGLIA
Il padre dell’amministratore era il ministro Attilio Ruffini (nella foto), nato nel 1924 e morto nel 2011. Nipote del cardinale Ernesto Ruffini, fu partigiano, avvocato e quindi deputato della Dc e più volte ministro. Ha avuto 5 figli. Oltre a Ernesto Maria, Paolo, ex direttore di Rai3.
LA CARRIERA Ernesto Maria Ruffini ha lavorato come avvocato tributarista nello
studio dell’ex ministro Augusto Fantozzi, dove è rimasto fino alla nomina ad Equitalia. Nel 2010 ha partecipato alla prima edizione della manifestazione La Leopolda di Renzi e Civati durante la quale ha presentato il suo progetto di riforma fiscale, molto incentrato sulla digitalizzazione, presentata come Fisco 2.0. Che poi è diventato un libro L’evasione spiegata a un evasore: anche a quello dentro di noi, pubblicato nel 2013 con prefazione di Romano Prodi. vertice dell’Agenzia, dove viene riconfermato dal governo Draghi e, il 10 gennaio scorso, dal governo Meloni. In 13 anni, appunto, da Pippo Civati a Giorgia Meloni: tutto l’arco costituzionale, governo tecnico compreso. Qual è il segreto? «Non c’è un segreto. È normale quando si interpreta l’incarico come un servizio alla Stato. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte e impegnarci per il bene del Paese, indipendentemente dal governo che c’è. Garantire la continuità amministrativa è fondamentale».
Ha lavorato con ministri tecnici, da Padoan a Franco, e ministri politici, da Gualtieri a Giorgetti, ma sostiene che non si può dire se siano meglio i tecnici o i politici alla guida dell’Economia: «Bisogna conoscere la materia, ma avere anche sensibilità politica». Troppo equanime? «Sono pur sempre figlio di un democristiano, peraltro partigiano», dice sorridendo. E che democristiano: più volte ministro, e due volte vicesegretario del partito, la prima con Amintore Fanfani, la seconda con Benigno Zaccagnini. Buon sangue non mente. Qualche settimana fa, nella sala della Regina, alla Camera, dove ha svolto l’annuale relazione sull’attività dell’Agenzia, Ruffini è riuscito a schierare in prima fila ad ascoltarlo tutti i suoi predecessori, un segno tangibile di quella «continuità amministrativa» che per l’attuale direttore è un valore in sé.
Adesso lavora a stretto contatto con il viceministro Maurizio Leo. «È un avvocato tributarista, parla la mia stessa lingua», dice dell’esponente di Fratelli d’Italia che ha presentato il disegno di legge delega per riformare il fisco. Un disegno ambizioso, che punta alla flat tax per tutti, una rivoluzione, che si scontra con le scarse risorse a disposizione. «Una complessiva riforma si può fare. L’Agenzia è già al lavoro per la compilazione dei Testi unici che dovranno mettere ordine in una giungla di norme ingestibile. E le risorse si possono trovare tagliando le troppe deduzioni e detrazioni, un sistema confuso nemico
del sacrosanto principio costituzionale dell’imposizione progressiva». Ma che ne sarà di questo principio se davvero si arriverà all’aliquota unica per tutti i contribuenti? Significherebbe, per esempio, pagare tutti il 24 per cento di Irpef a prescindere dal proprio reddito. È giustizia questa? «La flat tax dipende da come la si fa. Se all’aliquota unica si affianca un sistema di tax expenditure, cioè di sconti fiscali, inversamente proporzionale al reddito, come dimostrato da numerosi studi, la progressività è possibile».
LO SCROCCONE
E come la mettiamo con l’evasione che vale pur sempre 100 miliardi l’anno? «Intanto, cominciamo col dire che l’evasione fiscale erariale e locale; quindi, al netto dell’evasione contributiva che non è accertata da noi ma dall’Inps, è calata: solo nel 2014 sfiorava i 100 miliardi e nel 2019 (ultimo dato utile al raffronto, ndr) ammontava a 87 miliardi. Per ridurre l’evasione bisogna agire su più leve.
Detto che in Italia le tasse sono troppo alte, questo riguarda chi le paga, non certo gli evasori. E non penso che il fattore determinante per ridurre l’evasione sia solo abbassare le tasse, in quanto chi evade lo fa perché non sente come dovere il contribuire alla collettività». Ruffini fa questo paragone: «L’evasore è un po’ quello che a Roma chiamiamo lo scroccone. Quello che va in comitiva in pizzeria e se ne va prima che portino il conto, che così resta a carico di chi è rimasto al tavolo. È un furbo questo? No, l’evasore non è un furbo, ma uno scroccone».
Peccato, però, che gli scrocconi vengano periodicamente premiati con rottamazioni e sanatorie varie, decisi, senza troppe differenze, sia dai governi di centrodestra sia da quelli di centrosinistra. «Rottamazioni e sanatorie non ci sarebbero se la riscossione avesse strumenti più efficienti e l’evasore fosse consapevole di non poterla fare franca. Eppure, nel 2022 la lotta all’evasione ha fruttato il record di oltre 20 miliardi recuperati. Ci siamo riusciti malgrado gli organici fossero scesi del 40 per cento rispetto alla pianta organica. Ora, grazie alle nuove disposizioni di legge, riprendiamo ad assumere. E dopo il via libera del Garante della privacy, possiamo fare un salto di qualità con l’incrocio delle nostre banche dati con l’anagrafe dei rapporti finanziari. Infine, dobbiamo proseguire sui processi di digitalizzazione e tracciabilità». Sì, ma a riformare il sistema ci hanno provato in tanti, da Visco a Tremonti, da Padoan a Franco, ma sempre con risultati parziali. «Sono ottimista per natura. Aspettiamo e vediamo», dice.
LA MADRE DI NANNI MORETTI
Del resto, l’importanza di saper attendere gliela insegnò al liceo Visconti la professoressa di latino e greco, Agata Apicella. Il nome vi dice poco, ma era la mamma di Nanni Moretti. «Avevo il vizio di guardare l’orologio nell’impaziente attesa che suonasse la campanella. Un giorno se ne accorse e mi chiamò alla lavagna per l’interrogazione, ammonendomi: “Non bisogna mai guardare l’orologio di fronte a una signora”. Una lezione che non ho più dimenticato». E non è la sola. Anche l’arte, la passione che Ruffini, fin da bambino, coltiva per la pittura e la scultura, gli ha insegnato la virtù della pazienza «perché i colori e i materiali hanno i loro tempi e occorre rispettarli, e perché è la stessa attesa a riservare spesso sorprese». E adesso cosa aspetta il “tributartista”, come si divertiva a chiamarlo il suo maestro Fantozzi guardando le sue tele e sculture di legno intagliato? «Le prossime vacanze, perché sono un po’ di anni che non le faccio. Spero in montagna, anche se mia moglie e mia figlia sono per il mare. Ma come sempre ci metteremo d’accordo».
«SONO UN PO’ DI ANNI CHE NON FACCIO LE VACANZE, IO SOGNO LA MONTAGNA ANCHE SE MIA MOGLIE E MIA FIGLIA SONO PER IL MARE»