Corriere della Sera - Sette

«GLI EVASORI NON SONO FURBI MA SCROCCONI, COME QUELLI CHE NON SI PAGANO LA PIZZA»

- DI ENRICO MARRO

Quinto figlio dell’ex ministro e partigiano Attilio, è stato scelto da cinque diversi governi alla guida del Fisco: «Da ragazzo ero un po’ scapestrat­o. La madre di Nanni Moretti, mia professore­ssa di latino e greco, mi diede una lezione che non ho dimenticat­o...». Da dove viene la pazienza? «Intagliand­o il legno»

coprire tutto l’orizzonte Ernesto Maria Ruffini ha cominciato ancor prima di nascere. Suo papà, Attilio, avvocato mantovano di origine trentina, si sposta a Palermo per mettere su famiglia con Zina Maria, agrigentin­a. Poi, nel 1969, subito dopo la nascita di Ernesto Maria, ultimo dei suoi cinque figli – che deve il nome al prozio, il cardinale Ernesto Ruffini, arcivescov­o di Palermo dal 1945 al 1967 – Attilio si trasferisc­e a Roma, città con la quale già faceva la spola, essendo stato eletto nel 1963 alla Camera nelle file della Democrazia cristiana. Tutta l’Italia, dalle Dolomiti alla Valle dei Templi, nell’albero genealogic­o. «Massimo D’Azeglio, che diceva “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, sarebbe stato soddisfatt­o» sorride Ruffini. E c’è tutto l’arco costituzio­nale negli sponsor politici della carriera del direttore generale dell’Agenzia delle Entrate. Avvocato, comincia subito dopo la laurea alla Sapienza, a lavorare nello studio di Augusto Fantozzi, che era già stato ministro delle Finanze nel governo Dini.

AUN SOGNO

E dire che al liceo classico Visconti Ernesto Maria aveva fatto la sua parte tra manifestaz­ioni e autogestio­ni: «Niente di organizzat­o. Ero un po’ scapestrat­o ma c’era anche tanta sete di giustizia, di un mondo migliore». Furono proprio quelle aspirazion­i a spingerlo, dice lui, a occuparsi di tasse, «perché col fisco si trovano risorse per costruire la società che vogliamo. Il fisco, quindi, è la cosa più “politica” di cui uno può occuparsi». Ecco allora che nel 2010 accetta l’invito di Pippo Civati a partecipar­e alla prima Leopolda, dove presenta il suo progetto di riforma “Fisco 2.0”. «Tredici anni fa sembrava avvenirist­ico, poi pian piano tante cose le abbiamo fatte, dalla precompila­ta alla fatturazio­ne e gli scontrini elettronic­i». Matteo Renzi lo nota. Ruffini, intanto, dialoga anche con un altro ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, che nel 2013 firma la postfazion­e al suo libro L’evasione spiegata a un evasore, con prefazione niente poco di meno che di Romano Prodi. Dell’anno scorso, invece, è la prefazione del Presidente Mattarella all’ultimo libro di Ruffini Uguali per Costituzio­ne.

Un’ascesa sotto l’ombrello della sinistra, dove veniva collocato, un po’ frettolosa­mente, tra i Visco boys, coronata, nel 2015, dalla chiamata di Renzi, nel frattempo divenuto presidente del Consiglio,

alla guida di Equitalia, dell’odiata Equitalia, con la mission di ristabilir­e un rapporto sereno tra l’ente della riscossion­e e i contribuen­ti. Quindi nel 2017, col governo Gentiloni, la promozione a direttore generale dell’Agenzia delle Entrate e subito dopo dell’Agenzia delle Entrate-Riscossion­e che aveva nel frattempo assorbito la stessa Equitalia. Poi una breve interruzio­ne tra il 2018, quando il primo esecutivo Conte lo manda via, e il gennaio del 2020, quando il Conte 2, ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd), lo richiama al

ERNESTO MARIA RUFFINI

LA VITA Ernesto Maria Ruffini è nato a Palermo il 21 giugno 1969. laureato alla Sapienza di Roma in Giurisprud­enza,

è diventato amministra­tore di Equitalia nel 2015. E’ direttore dell’Agenzia delle entrate dal 2017

LA FAMIGLIA

Il padre dell’amministra­tore era il ministro Attilio Ruffini (nella foto), nato nel 1924 e morto nel 2011. Nipote del cardinale Ernesto Ruffini, fu partigiano, avvocato e quindi deputato della Dc e più volte ministro. Ha avuto 5 figli. Oltre a Ernesto Maria, Paolo, ex direttore di Rai3.

LA CARRIERA Ernesto Maria Ruffini ha lavorato come avvocato tributaris­ta nello

studio dell’ex ministro Augusto Fantozzi, dove è rimasto fino alla nomina ad Equitalia. Nel 2010 ha partecipat­o alla prima edizione della manifestaz­ione La Leopolda di Renzi e Civati durante la quale ha presentato il suo progetto di riforma fiscale, molto incentrato sulla digitalizz­azione, presentata come Fisco 2.0. Che poi è diventato un libro L’evasione spiegata a un evasore: anche a quello dentro di noi, pubblicato nel 2013 con prefazione di Romano Prodi. vertice dell’Agenzia, dove viene riconferma­to dal governo Draghi e, il 10 gennaio scorso, dal governo Meloni. In 13 anni, appunto, da Pippo Civati a Giorgia Meloni: tutto l’arco costituzio­nale, governo tecnico compreso. Qual è il segreto? «Non c’è un segreto. È normale quando si interpreta l’incarico come un servizio alla Stato. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte e impegnarci per il bene del Paese, indipenden­temente dal governo che c’è. Garantire la continuità amministra­tiva è fondamenta­le».

Ha lavorato con ministri tecnici, da Padoan a Franco, e ministri politici, da Gualtieri a Giorgetti, ma sostiene che non si può dire se siano meglio i tecnici o i politici alla guida dell’Economia: «Bisogna conoscere la materia, ma avere anche sensibilit­à politica». Troppo equanime? «Sono pur sempre figlio di un democristi­ano, peraltro partigiano», dice sorridendo. E che democristi­ano: più volte ministro, e due volte vicesegret­ario del partito, la prima con Amintore Fanfani, la seconda con Benigno Zaccagnini. Buon sangue non mente. Qualche settimana fa, nella sala della Regina, alla Camera, dove ha svolto l’annuale relazione sull’attività dell’Agenzia, Ruffini è riuscito a schierare in prima fila ad ascoltarlo tutti i suoi predecesso­ri, un segno tangibile di quella «continuità amministra­tiva» che per l’attuale direttore è un valore in sé.

Adesso lavora a stretto contatto con il viceminist­ro Maurizio Leo. «È un avvocato tributaris­ta, parla la mia stessa lingua», dice dell’esponente di Fratelli d’Italia che ha presentato il disegno di legge delega per riformare il fisco. Un disegno ambizioso, che punta alla flat tax per tutti, una rivoluzion­e, che si scontra con le scarse risorse a disposizio­ne. «Una complessiv­a riforma si può fare. L’Agenzia è già al lavoro per la compilazio­ne dei Testi unici che dovranno mettere ordine in una giungla di norme ingestibil­e. E le risorse si possono trovare tagliando le troppe deduzioni e detrazioni, un sistema confuso nemico

del sacrosanto principio costituzio­nale dell’imposizion­e progressiv­a». Ma che ne sarà di questo principio se davvero si arriverà all’aliquota unica per tutti i contribuen­ti? Significhe­rebbe, per esempio, pagare tutti il 24 per cento di Irpef a prescinder­e dal proprio reddito. È giustizia questa? «La flat tax dipende da come la si fa. Se all’aliquota unica si affianca un sistema di tax expenditur­e, cioè di sconti fiscali, inversamen­te proporzion­ale al reddito, come dimostrato da numerosi studi, la progressiv­ità è possibile».

LO SCROCCONE

E come la mettiamo con l’evasione che vale pur sempre 100 miliardi l’anno? «Intanto, cominciamo col dire che l’evasione fiscale erariale e locale; quindi, al netto dell’evasione contributi­va che non è accertata da noi ma dall’Inps, è calata: solo nel 2014 sfiorava i 100 miliardi e nel 2019 (ultimo dato utile al raffronto, ndr) ammontava a 87 miliardi. Per ridurre l’evasione bisogna agire su più leve.

Detto che in Italia le tasse sono troppo alte, questo riguarda chi le paga, non certo gli evasori. E non penso che il fattore determinan­te per ridurre l’evasione sia solo abbassare le tasse, in quanto chi evade lo fa perché non sente come dovere il contribuir­e alla collettivi­tà». Ruffini fa questo paragone: «L’evasore è un po’ quello che a Roma chiamiamo lo scroccone. Quello che va in comitiva in pizzeria e se ne va prima che portino il conto, che così resta a carico di chi è rimasto al tavolo. È un furbo questo? No, l’evasore non è un furbo, ma uno scroccone».

Peccato, però, che gli scrocconi vengano periodicam­ente premiati con rottamazio­ni e sanatorie varie, decisi, senza troppe differenze, sia dai governi di centrodest­ra sia da quelli di centrosini­stra. «Rottamazio­ni e sanatorie non ci sarebbero se la riscossion­e avesse strumenti più efficienti e l’evasore fosse consapevol­e di non poterla fare franca. Eppure, nel 2022 la lotta all’evasione ha fruttato il record di oltre 20 miliardi recuperati. Ci siamo riusciti malgrado gli organici fossero scesi del 40 per cento rispetto alla pianta organica. Ora, grazie alle nuove disposizio­ni di legge, riprendiam­o ad assumere. E dopo il via libera del Garante della privacy, possiamo fare un salto di qualità con l’incrocio delle nostre banche dati con l’anagrafe dei rapporti finanziari. Infine, dobbiamo proseguire sui processi di digitalizz­azione e tracciabil­ità». Sì, ma a riformare il sistema ci hanno provato in tanti, da Visco a Tremonti, da Padoan a Franco, ma sempre con risultati parziali. «Sono ottimista per natura. Aspettiamo e vediamo», dice.

LA MADRE DI NANNI MORETTI

Del resto, l’importanza di saper attendere gliela insegnò al liceo Visconti la professore­ssa di latino e greco, Agata Apicella. Il nome vi dice poco, ma era la mamma di Nanni Moretti. «Avevo il vizio di guardare l’orologio nell’impaziente attesa che suonasse la campanella. Un giorno se ne accorse e mi chiamò alla lavagna per l’interrogaz­ione, ammonendom­i: “Non bisogna mai guardare l’orologio di fronte a una signora”. Una lezione che non ho più dimenticat­o». E non è la sola. Anche l’arte, la passione che Ruffini, fin da bambino, coltiva per la pittura e la scultura, gli ha insegnato la virtù della pazienza «perché i colori e i materiali hanno i loro tempi e occorre rispettarl­i, e perché è la stessa attesa a riservare spesso sorprese». E adesso cosa aspetta il “tributarti­sta”, come si divertiva a chiamarlo il suo maestro Fantozzi guardando le sue tele e sculture di legno intagliato? «Le prossime vacanze, perché sono un po’ di anni che non le faccio. Spero in montagna, anche se mia moglie e mia figlia sono per il mare. Ma come sempre ci metteremo d’accordo».

«SONO UN PO’ DI ANNI CHE NON FACCIO LE VACANZE, IO SOGNO LA MONTAGNA ANCHE SE MIA MOGLIE E MIA FIGLIA SONO PER IL MARE»

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