Corriere della Sera - Sette

ANDREW SEAN GREER: «MIO FRATELLO GEMELLO MI HA FATTO CAPIRE CHE NON SIAMO COSÌ UNICI»

- DI LUCA MASTRANTON­IO

l tema del doppio, dei problemi esistenzia­li e degli effetti comici che può produrre la copia di ciò che crediamo unico, è un classico della letteratur­a. Dalle commedie dell’antica Roma al Marchese del Grillo con Alberto Sordi, passando per Shakespear­e e i racconti fantastici come Alice nel Paese delle meraviglie, libro cui si è ispirato il Salone del libro 2023. “Attraverso lo specchio” allude alla soglia che Alice varca per entrare nel mondo della fantasia. Tra gli ospiti c’è l’americano Andrew Sean Greer, autore di Less a zonzo (La nave di Teseo), sequel del fortunato Less (premio Pulitzer), entrambi incentrati sulle agrodolci fughe d’amore di uno scrittore gay di nome Arthur Less, elegantame­nte goffo. Greer è di casa in Italia, tra la Toscana della Fondazione Santa Maddalena e la città di Milano; ha vinto ad Alba il Premio Bottari Lattes con Le vite impossibil­i di Greta Wells (Bompiani) e il 19 maggio a Torino parlerà proprio de “Lo scrittore e il suo doppio”. In molti romanzi Greer gioca con i piani temporali, le vite potenziali, gli universi paralleli, ma il doppio per lui non è solo un tema letterario: è esistenzia­le, perché ha un fratello gemello omozigote, come racconta da San Francisco, via Zoom. Sorpreso e felice della domanda sul gemello. «Non mi chiedono mai di mio fratello» esordisce «forse non vogliono essere troppo autobiogra­fici nelle domande, ma mi fa piacere parlarne, i miei libri sono pieni di gemelli e io ho un gemello, Michael, con cui è stato bello crescere assieme, anche se complicato». Avete mai sfruttato la somiglianz­a per fare degli scherzi?

I«Una volta sola, a scuola, a Washington D.C., avevamo, credo, 12 anni. Ognuno ha messo i vestiti dell’altro e ci siamo scambiati le classi. Lo scherzo riuscì, ma io ero triste. Anche i miei amici più vicini pensavano che io fossi mio fratello, non io, che brutta sensazione. Credevo che sarebbe stato divertente e invece era stato l’opposto. Mi chiesi: “Chi sono io?” Pensavo di essere molto più distinguib­ile, non solo per come mi vestivo. Ma non era così. Mio fratello fu scoperto prima di me, perché l’insegnate quando entrò in classe lo studiò bene. Io ero felice che fosse finita, decisi che non avremmo più fatto scherzi».

Basta vestirsi in maniera diversa e riconoscib­ile per non essere confusi?

«No. Attorno ai 20 anni, a una festa un mio caro amico, un po’ ubriaco, andò da mio fratello, che aveva scambiato per me, e gli parlò della nostra amicizia, di quanto fosse importante. Mio fratello non l’ha interrotto perché, poi disse, non voleva rovinare quella bella esternazio­ne d’affetto verso di me. Posso aggiungere che se sento per strada il nome di mio fratello mi giro come se avessi sentito il mio, sono abituato alle persone che ci confondono. Anche a lui capita la stessa cosa».

Questa identità ambigua, a rischio di errore, ha influenzat­o la sua scrittura?

«Ho capito che la gente non pone attenzione agli altri quanto vorremmo, quando gli altri siamo noi. Allo stesso tempo offre una grande possibilit­à, se uno coglie i dettagli giusti, se impara ad osservare, può raccontare cose che sono sotto gli occhi di tutti ma vengono ignorate».

A San Francisco c’è stata la rivoluzion­e della beat generation, oggi comandano gli imperi digitali. Sono due mondi in continuità o in opposizion­e?

«Dei romanzi mi piace l’onestà, la sincerità, sappiamo che si tratta di un esperiment­o di identità ed esperienza. Cosa sarebbe di me se io facessi un lavoro diverso? Se io fossi donna? Di colore? Se in alcuni momenti della mia vita le cose avessero preso un’altra piega? E non è solo questione di desiderare altro, di essere altro, ma anche di liberarsi. Torno a mio fratello: a volte vorrei scrivere una biografia della sua vita, una autobiogra­fia al posto suo, perché la mia visione è diversa dalla

«LA LETTERATUR­A È SINCERA NEL FARTI FARE UN’ESPERIENZA DI IDENTITÀ ALTRA DA TE, INVECE I SOCIAL NON DICHIARANO LA LORO FINZIONE»

sua, anzi, sbagliata, per certi versi, ma mi piace l’idea che per un momento potrei giocare, interpreta­ndo lui, e liberarmi da questo gioco degli specchi… Tutto questo con i social non si può fare, il problema dei social è che spesso non sono sinceri nel dire che è un esperiment­o sociale, psicologic­o, di identità. In realtà è marketing o performanc­e. Io uso Instagram così, quando esce un libro, per pubblicità».

La nuova corsa all’oro è l’intelligen­za artificial­e. Lei come la sta vivendo?

«Mi sforzo di vivere in modo analogico e umano il più possibile. Vado al caffè Trieste, evito i locali dove la gente affoga nei laptop e ordina cibo con una app senza parlare con i camerieri, annoto su un quadernett­o le cose che mi servono per i libri, frequento librerie indipenden­ti... Non dico che non uso le app, sono comode, ma mi sforzo di non scegliere la via più facile quando questa taglia fuori un contatto umano. A me di parlare con un robot medico non mi va, preferisco telefonare a un dottore in carne e ossa».

In Less si è perso cita Melville, Moby Dick, sull’importanza delle persone che si offrono generosame­nte a essere ridicole. Non trova che oggi la risata sia inibita dal “politicame­nte corretto”?

«Sì. Anche. Una sera a cena, in Italia, ho raccontato una storia divertente, e non faceva ridere, mi ha detto un mio amico. Mi sono reso conto che invecchian­do ciò che ti faceva ridere prima non fa più ridere le nuove generazion­i, serve un modo nuovo, storie nuove, perché non puoi terminare una cena senza una storiella. Io cerco di raccontare in chiave satirica storie che per me non sono divertenti, ma così entro in contatto con altre persone. Unica regola: non fare humour su cose crudeli per altre persone. In questo libro ho un trucco, il narratore è Freddy, il compagno di Less, così prendo in giro il protagonis­ta attraverso chi gli vuole bene».

Freddy fa una battuta sull’Alabama, dove non basta essere bianchi, dice, per non essere picchiati, perché odiano i gay più dei neri. Lei ha mai vissuto episodi di omofobia?

«Negli Anni 90, in Montana, insegnavo a scuola e il preside diceva che non dovevo dire agli studenti che ero gay, sennò venivo licenziato. E poi mi trovavo sulla macchina scritte offensive e violente».

Cosa associa alla parola “amore”?

«Un’immagine che ho messo in Less a zonzo. Rifacendo il letto ho trovato i fazzoletti usati dal mio partner e... non ero arrabbiato. “Oh, che dolce!”, ho pensato: “Questo deve essere amore”».

Dolore. A cosa associa questa parola?

«Mi rivedo sul prato dell’università, che piango perché sono uscito con un ragazzo che mi ha detto di non amarmi. Un’immagine che mi ferisce, ma che mi è utile per accedere a quel sentimento, se lo devo usare in un libro, ora che sono felice».

Le lacrime. Nel libro cita la cappella degli Scrovegni a Padova, di Giotto, La strage degli innocenti. Perché?

«Mi commuove che un pittore del 1300 possa rappresent­are qualcosa in cui ci si possa riconoscer­e secoli dopo. Le lacrime, poi, sono nere. Forse per il dolore delle donne cui uccidono i figli. O perché sono venute così, era una delle prima volte che si provava a dipingere delle lacrime».

San Francisco è nota anche per i suoi ponti. Lei, da lì, come vede il progetto italiano del Ponte sullo Stretto?

«Mi chiedo se serve davvero per l’Italia un’opera del genere... è una vecchia fantasia dei politici italiani! No? Credo che non verrà mai costruito, o almeno, io sarò morto prima. E preferisco Scilla e Cariddi! Verso i ponti, e parlo anche di quelli di qui, nutro sentimenti misti perché uniscono e dividono. Se sono fatti per le merci, e non per le persone, dividono, perché hanno un impatto sul territorio devastante, penso a pescatori o piccole imbarcazio­ni; e in alcuni casi, diventano più un monumento che uno strumento per la mobilità».

«IL PONTE SULLO STRETTO? A SAN FRANCISCO AMIAMO I PONTI, MA POSSONO DIVIDERE LE PERSONE, SE SONO PENSATI SOLO PER LE MERCI»

 ?? ?? LA COPERTINA DEL NUOVO ROMANZO DI GREER, LESS A ZONZO (LA NAVE DI TESEO, TRAD. ELENA DAL PRA). L’AUTORE SARÀ AL SALONE DI TORINO IL 18 (CON GIULIA ZIINO) E IL 19 MAGGIO (CON ILIDE
CARMIGNANI ED ELENA DAL PRA)
LA COPERTINA DEL NUOVO ROMANZO DI GREER, LESS A ZONZO (LA NAVE DI TESEO, TRAD. ELENA DAL PRA). L’AUTORE SARÀ AL SALONE DI TORINO IL 18 (CON GIULIA ZIINO) E IL 19 MAGGIO (CON ILIDE CARMIGNANI ED ELENA DAL PRA)

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