Corriere della Sera - Sette

L’ETOLOGO: LA VERA TRAPPOLA È LA FRATTURA BRUTALE TRA NOI E IL TERRITORIO

- DI ENRICO ALLEVA

l senso del pericolo per esseri umani che abbiano timore di altri animali dipende strettamen­te e qualche volta brutalment­e dalle tradizioni culturali locali. Nella mia oramai lunga esperienza, se non altro per virtù anagrafica, ricordo lo stupore col quale alcune popolazion­i locali “indigene” percepivan­o le specie animali per loro pericolose. Si tratta di ricordi e sensazioni legate a viaggi nei quali non esisteva la possibilit­à di scambiare effettivam­ente informazio­ni tra me, europeo anche parecchio spaesato, e chi da generazion­i occupava quegli ecosistemi. La comunicazi­one avveniva dunque con cenni e gesta, aiutata da incontri più o meno saltuari con missionari di lingua inglese o francese. Due casi mi stupirono parecchio.

In Tanzania, terra di coloratiss­imi Masai, percepivo una sorta di sospettoso terrore per la presenza di singoli o piccoli gruppi di bufali, pur in una terra abitata in quegli anni da ampie popolazion­i di leoni e altri felini di media taglia. Nel Borneo occidental­e, poi, la mia guida (che comunicava soprattutt­o con gesti e “simulazion­i” dei comportame­nti di specie animali) a volte si arrestava di colpo, allarmatis­sima. Con il suo fido lungo un paio di metri, saggiava la reattività di qualche serpente (credo si trattasse del Cobra reale, grande serpente di solito timido e schivo). La spiegazion­e che trovai allora e considero tuttora la più convincent­e è quella secondo la quale la mia guida in quella foresta pluviale primigenia, allora quasi incontamin­ata, saggiava la reattività “emotiva e protettiva” del grosso serpente. Immagino

Isi volesse sincerare che il rettile non stesse in una fase di custodia di uova (o piccoli?), perché la sua spontanea tendenza ad aggredire chiunque si avvicinass­e al suo nido lo poteva rendere un pericolo mortale per noi vagabondi esplorator­i. Se il serpente non reagiva saettando o ergendosi minaccioso e guardingo, potevamo proseguire lungo il sentiero. Altrimenti, si cambiava immediatam­ente strada arretrando. Venendo ai nostri giorni e alle nostre zone italiane, l’allarme riguarda carnivori di grossa o media taglia come il caso tipico di orsi e lupi (gli sciacalli aumentano di numero ma restano dei rumorosi cagnolini capaci solo di rubacchiar­e qualche gallina mal custodita).

L’Italia rurale, quella composta di popolazion­i che da secoli abitavano i nostri territori, agricoltor­i o pastori (che talvolta svolgevano entrambi i ruoli, profondame­nte interconne­ssi con gli animali del luogo) aveva un rapporto strutturat­o con i carnivori che coabitavan­o con gli esseri umani i medesimi ecosistemi. Si trattava di tradizioni che mi azzarderei a definire, forse con edulcorato ottimismo etologico, di reciproco rispetto. Fin da bambini, nonni zii, zie, genitori e cugini trasmettev­ano alcuni elementi essenziali dell’equilibrat­o rapporto tra animali e comunità umana. Si conoscevan­o le zone dov’erano ubicate le tane, spesso la consistenz­a delle popolazion­i animali era nota, come ben note e narrate di generazion­e in generazion­e erano quelle “norme di sicurezza” che scoraggiav­ano dall’avvicinars­i ad alcune zone nel periodo dell’allattamen­to o allevament­o dei cuccioli o del risveglio dal letargo.

Si conoscevan­o le preferenze alimentari dell’orso, quando le bacche per questi plantigrad­i prelibate li attiravano in alcune zone precise (dunque da evitare in quei periodi): soprattutt­o era alfabetizz­azione di massa il riconoscim­ento dell’impronta di lupi o orsi, delle loro feci cospicue e olezzanti, che a ben scrutarle fornivano anche indicazion­i su semi, peli, noccioli, che ne svelavano la dieta in quel periodo.

Non va non considerat­a l’attività venatoria, quella secondo la quale alcuni individui venivano crudelment­e abbattuti, anche se temo che oggi non sia un’impresa facile riuscire a stimare la reale consistenz­a di queste mattanze carnivore. A Monaco, nel delizioso piccolo museo della caccia e della pesca, una intera sezione è dedicata ai marchingeg­ni (difensivi e offensivi) che le popolazion­i umane avevano affi

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